Sterminare i tonni per salvare le tartarughe, paradossi del nostro tempo

Una nota azienda che opera nel settore della pesca e della commercializzazione dei tonni, ha finanziato una campagna per la salvaguardia delle tartarughe marine. Andrea Romeo la descrive come "l'ennesimo folle paradosso creato dal sistema".

Sterminare i tonni per salvare le tartarughe, paradossi del nostro tempo
Dum vitant stulti vitia, in contraria currunt (Per evitare un errore, gli stolti cadono nell'errore contrario) Quinto Orazio Flacco Dal mare alla rete del pescatore, dalla rete del pescatore al mercato, dal mercato sulla vostra tavola ed infine nel vostro stomaco: che altro deve fare la sogliola? Spazzarvi anche per terra?!? Tutte le sogliole, su Rieducational Channel! Corrado Guzzanti (Vulvia). Oggi si sentono tante di quelle storie bizzarre che ormai nulla ci stupisce. Tutto ci scivola addosso poiché il controsenso e il paradosso sono diventati la regola. Ancor più difficile, se non impossibile, è percepire i controsensi del sistema, i catch 22. Per chi non lo sapesse, il catch 22 (tradotto in italiano come comma 22) è un paradosso, un tunnel senza uscita dove l'unica speranza di sopravvivere è stare al gioco, continuare ad alimentare il sistema, andare in qualche modo avanti. Dicevamo, da un lato il capitalismo e i suoi folli paradossi, i catch 22, dall'altro abbiamo chi cerca in qualche modo di comprendere e risolvere i paradossi creati dal sistema, di contrastare questa macchina infernale in una sorta di battaglia tra Davide e Golia, dove però Golia ha il vantaggio di avere dalla sua parte mezzi tecnologicamente molto avanzati e potenti e perfino il consenso della massa che, se nel mondo della finzione tifa per Davide, nella realtà risulta morbosamente allineata alla forza di Golia. In molti hanno smascherato le aberrazioni del sistema, lo hanno fatto alcuni filosofi, alcuni politici, alcuni intellettuali, lo fanno di continuo gli attivisti per i diritti umani e animali e gli ecocentristi (spesso burlati e mai creduti nemmeno dinanzi all'evidenza), ma nulla (o poco) cambia. E così arriva l'ennesimo paradosso e nessuno se ne accorge. Il sistema, con fare giocoso e soft, si mostra ancora una volta in tutta la sua violenza e aggressività. Appena un paio di mesi fa infatti il famoso brand Mareblu ha finanziato una campagna insieme a Legambiente per la salvaguardia delle tartarughe marine. Come possiamo prendere parte anche noi a questo paradossale teatrino che sa del più eccellente esempio di ossimoro vivente nella storia dell'uomo? Semplice, finanziando la multinazionale del tonno anche noi avremo un ruolo attivo nella salvaguardia delle tartarughe marine! Ed ecco dunque il catch si presenta in tutta la sua essenza, e la gente, addormentata, si impegna a comprare tonnellate del 'buonissimo' tonno 'pinna gialla' Mareblu 'indispensabile' al sostentamento umano, immancabile nelle scorte delle case degli italiani, la cosa più buona in assoluto che la natura ci abbia mai dato. Così facendo partecipiamo ad una giusta causa, salvare le tartarughe marine! Cosa si può volere di più dalla vita? Il capitalismo ci coccola, ci permette di essere attivi in modo passivo, in tutto relax! Quindi che gli animalisti si mettano l'anima in pace e comprino anche loro tonnellate di tonno se ci tengono alla salvaguardia delle tartarughe marine, altrimenti non ci sarà altra via che l'estinzione! E quando anche i tonni saranno prossimi all'estinzione? Potremo sempre fare una nuova campagna col merluzzo o con le sogliole “Comprate le sogliole Mareblu e salverete il tonno!”. Che questa campagna sia non solo un controsenso, quanto una grandissima presa per i fondelli, non è soltanto evidente, ma incredibilmente ovvio. Gli scienziati che hanno analizzato lo sfruttamento di risorse naturali (come il petrolio o il tonno) concordano sul fatto che nessuna risorsa risulti essere infinita, che l'andamento dello sfruttamento segue esattamente la famosa curva di Marion King Hubbert per cui l'eccessivo exploiting porta irrimediabilmente al collasso della risorsa fino al suo esaurimento: ovviamente nel caso di esseri viventi non si parla di esaurimento, quanto di estinzione. Ad esempio, lo sterminio delle balene per l'olio di balena nella metà dell'Ottocento ha quasi portato all'estinzione della 'balena franca' in pochi decenni usando strumenti tecnologici che oggi ci fanno ridere. Nell'Ottocento usavano ancora le clave, mentre oggi per la pesca al tonno vengono usate tecnologie avanzatissime come radar connessi ai satelliti, reti gigantesche per la tecnica della circuizione, etc. Ne deriva che dopo decenni di iper-sfruttamento, alcune specie di tonno sono già in via d'estinzione. Lo hanno detto sulla rivista Science un paio di anni fa sostenendo che “delle 61 specie conosciute, 7 sono a rischio di estinzione”. Il tonno pinna gialla, quello tanto amato dagli italiani (forse perché tanto pubblicizzato in TV) e la stessa specie usata proprio da Mareblu, è una delle specie a rischio, insieme al tonno rosso pescato nel Mediterraneo per il palato dei giapponesi e per le tasche della Mitsubishi, la multinazionale giapponese che detiene il 40% del mercato di tonno rosso determinandone i prezzi. Lo dicono poi gli specialisti, lo dicono gli scienziati, lo dicono gli attivisti di Greenpeace, del WWF, lo hanno detto persino quelli della televisione a Report, la famosa trasmissione della RAI in una puntata del 23 maggio del 2010 dal titolo L'ultima mattanza. Anche dalla trasmissione vengono fuori numeri eccezionali. Innanzitutto denunciano un altro bel paradosso del sistema, ovvero il fatto che “la televisione giornalmente ci parla dell'estinzione di tonno rosso, e contemporaneamente ci mostra come preparare piatti a base di tonno rosso dal gusto discutibile”. Risulta che nelle scatole di tonno sono riportati gli stabilimenti di inscatolamento – informazione parziale e fuorviante – ma non la provenienza del tonno che viene dal Pacifico, dall'Indiano, dai mari tropicali e distribuito in tutto il mondo, anche in Europa e in Italia. Due milioni di tonnellate l'anno di tonno selvaggio vengono consumati da una popolazione sempre più affamata di questo pesce facendo razzia dei mari. 400 milioni di scatolette l'anno – messe una sopra l'altra potrebbero portarci ben quattro volte sulla Luna - vengono distribuite in tutto il mondo soltanto dallo stabilimento John West di Seychelles. Quindi quantitativi enormi che certamente non potranno non mutare gli equilibri di un ecosistema marino già in bilico, in quanto il tonno è un predatore apicale, quindi che ha un ruolo essenziale nell'equilibrio delle specie marine. Vengono fuori dunque tutti i personaggi del copione: ci sono le multinazionali e i magnati, come il coreano Kraison Chansiri, magnate del tonno (quello che ha inventato il chicken of the sea, il pollo marino) che in 30 anni ha costruito un vero e proprio impero grazie al massacro dei tonni. La Nostromo che con le sue accattivanti pubblicità ha causato, grazie all'utilizzo di tecnologie potentissime, la messa a rischio del tonno pinna gialla 'amato dagli italiani'. Ci sono multinazionali, nel migliore dei casi, che prendono fondi pubblici da capogiro per finanziare vasche di ingrasso e pescarecci: nel peggiore dei casi aziende fantasma. Vediamo Adolfo Valsecchi, quello che gestisce lo stabilimento nelle Seychelles, la Bolton, una multinazionale olandese che produce dai detersivi al tonno Riomare e Palmera, e perfino lo stesso Chansiri, fare delle campagne contro lo sfruttamento selvaggio dei tonni, seppure non permettono visite nei loro stabilimenti per capire quali siano le loro reali strategie per la tutela ambientale. Afferma Alsecchi che sono state costruite apposta delle commissioni regionali per gestire e monitorare la pesca del tonno, ce n'è una a guardia di ogni oceano. Una si trova a Vittoria, capitale delle Seychelles, formata da un piccolo gruppo di sei professionisti sottopagati per monitorare un mare gigantesco, insomma il loro ruolo è pressoché inutile perché senza mezzi non possono calcolare e controllare alcunché mentre le multinazionali possono continuare i loro stermini senza limiti e ad accumulare quantità di capitali da capogiro. Così la conserva più diffusa al mondo non ha obblighi di rintracciabilità perché l'interesse economico è più importante dell'ambiente e perfino dei diritti dei così detti 'consumatori' e di chi lavora in questi stabilimenti, gente di paesi – direi ovviamente – 'sottosviluppati' (e quindi sovrasfruttati). Vi è inoltre, in questo teatrino dell'assurdo, anche un florido commercio di navi pirata: un terzo del tonno pinna gialla viene pescato proprio dai pirati del tonno. Gli scienziati ci dicono che lo stato della popolazione pinna gialla desta preoccupazione, ovvero che bisogna diminuire la pesca prima che si arrivi al declino e quindi all'estinzione: ma a chi importa quando il circo ci mostra la splendida parata coi magnati, i clown, i pirati, i carri e chi più ne ha più ne metta? Attraverso l'uso di radar e reti (quella chiamata in gergo 'cattura accidentale') vengono pescati indiscriminatamente pesci di ogni specie, oltre alle tanto amate tartarughe marine, anche delfini e tonni giovani. Tra l'altro, nel caso del pinna gialla, non vi è alcuna legge che tutela la pesca di giovani esemplari, nonostante la tanto acclamata tutela della specie professata dai magnati del tonno dovrebbe cominciare proprio proibendo il commercio dei più giovani. Perfino coloro che parlano di pesca sostenibile non si fanno alcuno scrupolo nel commerciare tonni giovani (lo stesso Alsecchi dichiara di usare anche esemplari “minorenni”). Inoltre il 99% di ciò che non è commerciabile (si stima che vengano pescate 150 specie di pesci insieme ai tonni, tra cui le stesse tartarughe marine in via d'estinzione) viene ributtato in mare, quasi sempre morto, nel meglio dei casi ferito a morte. Nel Pacifico tonni e delfini vivono in simbiosi, e quindi l'uccisione dei tonni passa necessariamente da quella dei delfini. Nonostante le tecniche odierne abbiano ridotto l'uccisione dei delfini per la pesca al tonno, questo succede ancora oggi. Con la pesca dei tonni destinati al mercato del crudo attraverso le lenze invece vengono sterminati anche squali e tartarughe. Alcune specie di squali sono in via d'estinzione a causa di questo tipo di pesca. Ma i paradossi continuano. Dopo aver sfruttato le popolazioni del Sud Pacifico, dell'Indiano e dell'Atlantico Occidentale nei primi anni ottanta il Giappone entra nel Mediterraneo con l'intento di pescare il tonno rosso tanto amato dai giapponesi. Così dalle nostre parti arrivano i pesci degli oceani, e il tonno rosso invece viene destinato alle papille gustative dei giapponesi. Pur sapendo i governi europei – dati alla mano grazie allo sfruttamento dei giapponesi negli altri oceani - che necessariamente questo tipo di pesca porta al collasso delle specie, questi hanno aperto le porte ai nipponici e ai paesi del mediterraneo per il mercato giapponese: ancora una volta il denaro (in questo caso giapponese) è più importante di ogni cosa. Pasquale Della Monica il numero uno della pesca del tonno in Italia, fa affari d'oro coi giapponesi. Libici, turchi e italiani dichiarano guerra ai tonni che in primavera passano dall'Atlantico al Mediterraneo. I tonni vengono così catturati e torturati per giorni. Una volta catturati vengono trasportati per i mari, quindi ingrassati con pesce azzurro per poi essere colpiti con gli arpioni e quindi finire sulle tavole dei simpatici giapponesi e nei loro stomachi (potrebbero anche "spazzargli per terra" ormai che ci sono!). In breve il tonno rosso entra nel rischio collasso. Inutili le campagne e le denunce di attivisti di WWF, Oceana, MarViva e Greenpeace; nulla cambia perché gli interessi degli industriali sono più importanti e, come detto, la massa appoggia Golia. Vi è un'organizzazione che si chiama Icat composta di rappresentanti del governo e comitati scientifici. Nel 2009 l'Icat ha imposto una riduzione del 40% della pesca di tonno rosso nel Mediterraneo, grazie anche (o forse soprattutto) al Principato di Monaco che ne ha bandito il commercio. Nel 2010, 170 delegati dei paesi che fanno parte del Cites - una convenzione internazionale per la protezione di specie in via di estinzione e per la salvaguardia della fauna e della flora - si riunisce in Quatar per decidere della sorte del tanto 'amato' tonno rosso. La delegazione giapponese è la più numerosa e, prima della votazione, imbandisce una originale tavolata con sushi condito proprio con tonno rosso. La maggioranza vota per la non-proibizione: i giapponesi esultano, il sushi col tonno rosso è salvo, mentre la mattanza continua e l'estinzione sembra prossima! I dati che abbiamo visto finora sono relativi al 2010. Quest'anno, ed esattamente il 30 marzo del 2012, la New Economic Fundation ha pubblicato un articolo in cui ha calcolato che il consumo di pesce degli europei nel 2012 è stato così promiscuo e i mari razziati a fine marzo erano stati sfruttati talmente tanto che, per far fronte alle richieste dei 'consumatori', era inevitabile che i paesi dell'unione europea importassero il pesce prevalentemente da altri paesi. Affermano gli studiosi che “Se l’Unione Europea consumasse solo pesce proveniente dalle proprie acque, le risorse finirebbero il 6 luglio, rendendola totalmente dipendente dal pesce importato da acque extra europee a partire dal 7 luglio”. Non che non fosse così già negli anni passati, ma quest'anno sembrerebbe che lo sfruttamento di pesce nostrano sia stato ancora più massiccio rispetto agli anni precedenti. Insomma, siamo sull'orlo del declino. Ma l'unica cosa che importa al momento è salvare le tartarughe marine! Come? Facile! Finanziando Mareblu, parte della MWBrands che annovera tra le sue fila importanti multinazionali del tonno, come la stessa John West. Finanziate lo sterminio di tonni dunque, delle sogliole, delle spigole, dei merluzzi, quella dei polipi, delle stelle marine, dei cavallucci marini, degli squali, dei delfini, degli sgombri, delle balene, dei leoni marini, dei gamberi, delle aragoste…! Leggi anche: Consumi: in Italia abbiamo già finito il pesce di tutto l'anno

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