L’effetto serra: il fantasma del palcoscenico

La presa di coscienza reale e profonda dei cambiamenti climatici passa attraverso l'osservazione dei cicli della natura, stravolti alla radice e rimescolati in una folle casualità. L'avvicinamento agli altri esseri viventi (umani e non) e la realizzazione del loro attuale disagio di vivere può essere la via di salvezza che ci porta a scoprire soluzioni individuali e sociali per fermare il disastro ambientale in corso

L’effetto serra: il fantasma del palcoscenico
Pochi giorni fa, il 10 novembre, ho cucinato una padella di zucchine con relativi fiori. Le zucchine a novembre sono fuori stagione, noi non mangiamo verdure fuori stagione, ma quelle zucchine erano del nostro orto. Il nostro orto non è in Sicilia o in Marocco, è a cinquecento metri di altezza nella Toscana centro-settentrionale. Le zucchine alla fine di agosto avevano detto “basta” e cominciato a ingiallire e seccare. Poi, dopo un ottobre intero a venti gradi e oltre, hanno pensato di essersi sbagliate e hanno ricominciato a vegetare e dare frutti e fiori. Intanto, i boschi sono ancora verdi. Di un verde spento che vira al marrone spento. Le rose in giardino stanno fiorendo e così i tagete; in giardino sta anche crescendo una bella pianta di pomodoro, il cui seme sarà stato nel terriccio del composto con cui abbiamo concimato le piante. I cavoli invece sono attaccati inesorabilmente da lumache e chiocciole che, a novembre, non sono in letargo mentre dovrebbero, ma sono vispe e probabilmente si stanno riproducendo fuori stagione. L’altro giorno, mentre raccoglievamo le olive, ci siamo “beccati” una dose abbondante di punture di zanzare. A novembre. Non è un’annata eccezionale, è il normale, tragico andamento dell’effetto serra negli ultimi decenni. Nonostante ci siano “autorevoli” personaggi e famigerati scienziati che continuano a negarlo, con una faccia tosta degna di miglior causa. Lo negano anche di fronte ai risultati di ricerche rigorosissime, accuratissime, approfondite e decennali degli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). “Gli dei accecano coloro che vogliono perdere” (Pindaro). Chi vive in campagna non ha bisogno di ricerche scientifiche a meno che non sia stato anche lui accecato, non dagli dèi, ma dal fragore cacofonico dei media ufficiali, impegnati a distogliere l’attenzione da qualsiasi riferimento ai disastri ambientali che vada al di là della macabra superficialità. L’evidenza quotidiana e stagionale glielo dimostra senza possibilità di dubbio. In trent’anni, nella zona del Chianti in cui vivo, sono scomparsi prima i peschi: gelate sempre più tardive, estati sempre più calde; poi gli albicocchi: a loro sono bastate le gelate sempre più tardive; infine i ciliegi: non sopportano calure e siccità estreme. I vecchi ricordano quando da bambini andavano a rubare le ciliegie primaticce in questo o quel podere particolarmente fornito di rigogliosi e generosi ciliegi primaticci. I pomodori degli orti, che un tempo qui da noi maturavano verso la fine di giugno, ora cominciamo a mangiarli in agosto, perché tutte le piantine messe a terra prima di maggio, sono destinate a soffrire e ammalarsi per temperature che, magari estive in marzo, si abbassano improvvisamente intorno ai dieci gradi in aprile, a maggio, e negli ultimi anni persino nella prima metà di giugno. Un clima in convulsioni che stermina gli impollinatori: la primavera scorsa tacevano tutti i loro ronzii, i fiori disertati sfiorivano tristemente senza allegare. Chi coltiva la terra e produce il cibo sa che ogni anno per lui e per le sue creature diventa più difficile. La vita delle piante, la vita degli insetti e degli animali selvatici è sempre più precaria, non della naturale precarietà di tutte le vite, ma della precarietà di una nave nella tempesta. La tempesta è un clima che sta diventando inadatto alla vita come si è sviluppata sul nostro pianeta in centinaia di migliaia di anni. L’11 novembre 2013 un vento di tramontana soffiava con raffiche a ottanta chilometri orari; un vento di tramontana “eccezionale”, dovuto alla “eccezionale” discesa della temperatura di circa dieci gradi in una notte. Squassava i cipressi come se volesse strapparli dalla terra, faceva cadere coppi dal nostro tetto e da quello dei vicini, strappava le foglie ancora verdi degli alberi nel frutteto e nel bosco. La strada che porta a casa nostra è ora coperta di un tappeto di foglie, come dovrebbe essere in autunno, peccato che le foglie (di quercia) siano verdi. Mentre un amico di Alzano Lombardo nello stesso giorno mi diceva al telefono che da loro, quattrocento chilometri più a nord, era una giornata primaverile da camicia e giacchetta. Quando ero bambina in Lombardia a novembre mettevamo il cappotto, dopo il soprabito in ottobre e la giacca sopra il golf in settembre. Eppure mi sembra di sentire come trapani nel cervello le voci dal tono sicuro e arrogante che dicono che questi eventi eccezionali ci sono sempre stati. Ma è vero! Il problema è che non sono più “eccezionali”! Sono ormai quotidiane eccezionali tempeste, eccezionali siccità, piogge eccezionali, freddi eccezionali, caldi eccezionali. Ma una società ormai in preda a un marasma non inferiore a quello climatico tenta ancora di negare l’innegabile. I Padroni del vapore pagano scienziati (una parte infima ormai) e organi di “informazione” (la gran parte ormai) per negare, mettere in dubbio, o semplicemente omettere, nascondere, confondere. Nelle Filippine un tifone apocalittico, come non se ne sono mai verificati prima, uccide decine di migliaia di persone, non si sa quante e probabilmente non lo sapremo mai, ma la notizia nel giro di due giorni viene spazzata sotto il tappeto: bisogna dimenticarla e, soprattutto, evitare di mettere in relazione questo “evento eccezionale” nella sua intensità (ossia ricorrente in quelle zone, ma a un altro livello di impeto però) con l’eccezionale riscaldamento del pianeta. Dobbiamo continuare a produrre, consumare, inquinare, distruggere, distruggerci. Non dobbiamo allarmarci, riflettere, correre ai ripari: che ne sarebbe dell’economia, del PIL, dei profitti, del dominio? Ma che ne sarà di loro, dei dominatori, dei loro figli e nipoti? I potenti e i loro servi hanno scoperto la formula magica per l’invulnerabilità e l’immortalità? O sono semplicemente incapaci di comprendere? Quelli che venivano chiamati “scemi di guerra”? Il risultato di una società aggressiva, feroce, competitiva, che seleziona ai suoi vertici i più psicologicamente disturbati? Il guaio è però che al giorno d’oggi noi gente comune, noi che ci preoccupiamo per il futuro dei nostri figli e magari anche per il futuro del pianeta e di tutti i viventi, abbiamo contratto la malattia degli “scordoni”: non abbiamo più memoria, spirito d’osservazione, capacità critica. E questo grazie alla nostra (tossica) dipendenza dagli “organi d’informazione”. Se la televisione ci dice che piove, usciamo con l’ombrello anche se c’è il sole. Se televisione, radio, giornali ci bombardano con le manfrine sul debito pubblico e la necessità di “tagliare” (lo stato sociale, ovviamente, non le grandi opere), noi ci preoccupiamo del debito pubblico. I “media” sono ormai i nostri sacerdoti, la nostra religione, la nostra cultura, la nostra memoria; grazie a loro non siamo più in grado di vedere la vita, la realtà. E così tutti in coro ci dimentichiamo l’effetto serra e le sue devastazioni e, se a novembre a Milano ci sono venti gradi all’ombra, diciamo: “Che bella giornata!”. Mentre dovremmo correre a comprarci il manuale dell’autosufficienza, convincere quattro amici e creare di corsa una comune agricola biologica fondata sulla permacultura, con le pale eoliche per l’energia, e sbrigarci a imparare a tessere la lana e il lino e ad addestrare cavalli e asini per viaggiare e trasportare. Ma come? Siamo matti? Qui si vuole tornare all’età della pietra? Al neolitico? Niente paura. Le popolazioni più longeve del pianeta sono popolazioni di agricoltori e piccoli allevatori che vivono in luoghi rimasti fuori dal gran flusso del “Progresso”; che vivono in maniera poco diversa da come vivevano i loro antenati nel neolitico, in genere immuni alle cause legali, agli assassinii, al ridurre i propri simili in schiavitù. Sono popolazioni arretratamente felici. «Un po’ di pazzia a primavera è opportuna anche per un re, ma Dio protegga il folle che pondera su questo portentoso spettacolo sull’intero esperimento verde come se fosse roba sua».
Emily Dickinson
2052 - Scenari Globali per i Prossimi Quarant'Anni.

Commenti

Splendido articolo. Tutto verissimo. Ci stiamo autodistruggendo. Secondo me,abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno. Il Signore e' stanco della nostra stupidità e non fermerà qualcosa che si è già innescato.
Maria-Rossella Maccolini, 18-11-2013 05:18
Cara Sonia, ottimo articolo. La civiltà industriale va verso il suo destino. Da Konrad Lorenz: "L'unico introito legittimo di energia del nostro pianeta è costituito dall'irraggiamento solare, e ogni crescita economica che consumi più energia di quella che riceviamo dal sole, irretisce l'economia mondiale in una spirale debitoria, che ci consegnerà a un creditore spietato...." Il Creditore Spietato non è un fantasma del futuro: si presenta ogni giorno, e si porta via della vita vivente, ma ci lascerà fino all'ultimo lo sviluppo. Da Jean Servier (1967):"La storia ha un senso per i lemmings e per la civiltà occidentale: essa sfocia in un suicidio collettivo, prima della "planetizzazione" di una specie. Ogni individuo vede però in questo slancio ultimo una marcia verso una situazione migliore. Più i lemmings si allontanano dal punto di partenza, dicono i naturalisti, più sono eccitati; nulla li può fermare; davanti a un ostacolo sibilano e digrignano i denti per la collera. Anche noi, ben lontani ormai dalle nostre origini, sentiamo profondamente che nulla deve intralciare la nostra marcia verso ciò che chiamiamo il Progresso." Ma molti lemmings si salvano, SONO GLI ULTIMI della migrazione suicida, sono i più lenti, quelli che sono rimasti al margine... Ciao, Guido
Guido Dalla Casa, 25-11-2013 09:25
Terribilmente profetico!
Carla, 19-11-2013 10:19
Nessuno nega il fenomeno del riscaldamento globale. Gli scettici si chiedono se solo l'effetto serra ne sia la causa: http://www.lenntech.it/effetto-serra/discussione.htm
Lara, 22-01-2014 01:22
Quello che scrivi, Sonia, è per me sacrosanto. Manca totalmente un principio cautelativo condiviso, ANCHE in mancanza di dati certi. Se aspetto la certezza di star male invece che reagire ai sintomi, muoio di sicuro. Il primo enorme problema da abbattere è la nostra dipendenza globale alle Finanze. tutto, scienza compresa, è sottomessa al Denaro, quindi non aspettiamoci nulla di buono. Rimanendo in ambito scientifico, ti consiglio es. un articolo di McGregor, Timmermann, England, Timm, e Wittenberg: uno studio eloquente sulla varianza del Nino (altro dimenticato dei Media di regime). se hai difficoltà scrivimi a rmd1@libero.it che te lo invio; un pochino lavorai su questi argomenti (prima che la globalizzazione mi obbligasse a fare dell'altro, visto che la ricerca in Italia va cacciata come la peste). complimenti ancora RMd
Renato Medini, 21-01-2014 07:21

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