La pedagogia delle catastrofi: c'è bisogno dell'apocalisse?

Il dramma che sta vivendo il Giappone ha mostrato, nel modo più violento, che il progresso ci sta portando dritti verso l'autodistruzione e la devastazione di tutto. C'è bisogno di una apocalisse per rendersene conto e iniziare a costruire davvero un'alternativa credibile?

La pedagogia delle catastrofi: c'è bisogno dell'apocalisse?
Serge Latouche indica nella pedagogia delle catastrofi una (triste) possibilità per la quale forse il mondo si sveglierà dal torpore. Sono sempre stato un po' scettico sulla cosa, sia perché di catastrofi ne abbiamo avute e non mi pare che si stia invertendo la tendenza, sia perché ho sempre sperato che non si dovesse arrivare a quel punto per prendere finalmente coscienza di dove stiamo andando a finire. Ma forse in qualche modo ha ragione lui, solo che invece di catastrofi noi abbiamo probabilmente bisogno di apocalissi e chissà se basterà. Di sicuro non basterà se ci si continuerà ad affidare il nostro futuro, la nostra vita a qualcun altro. Si deve infatti prendere decisamente in mano il proprio destino senza delegare niente a nessuno. La natura ci dà tutte le risposte su come e cosa si deve fare, basta imitarla. Spesso nel nostro delirio di onnipotenza ci si dimentica che, guarda un po', siamo natura noi stessi. Non serve rivolgersi a messia alcuno, meno ancora a chi ha costruito tutto questo e ancora adesso lo difende di fronte a drammi di proporzioni enormi. Lo vediamo dove ci stanno conducendo 'i capi', i leader, coloro che devono pensare alla nostra sicurezza, al nostro benessere, un benessere fatto di radioattività e morte. Questo progresso e questa tecnologia non ci portano da nessuna parte, anzi ci portano dritti verso l'autodistruzione e la devastazione di tutto. C'è bisogno di una apocalisse per rendersene conto? Pare di sì ma se si supererà 'la nottata', non si faccia ancora il tragico errore di rivolgersi a chi ha contribuito giorno per giorno alacremente alla costruzione di tutto ciò con la nostra più o meno grande complicità. Per invertire la tendenza come è assolutamente necessario, bisogna iniziare tutti a costruire davvero una alternativa credibile, basata sul totale rispetto della natura, sull'apprendimento profondo dei suoi cicli, sulla coscienza dei limiti. Gli Amish che vengono tanto derisi perché ritenuti 'fermi' all'ottocento, prima di decidere se una nuova tecnologia è appropriata o meno, si riuniscono e ne discutono. Se la tecnologia in questione non convince, cioè porta più svantaggi complessivi che vantaggi o comunque potrebbe sconvolgere i loro equilibri, non la adottano. Cosa è meglio? Le barbe degli Amish o un bell'olocausto nucleare? Ma sistematicamente quando si fanno questi esempi ecco che subito si obietta: ma che si vuole ritornare indietro? Ma figuriamoci! E altre corbellerie simili. A parte che se so che di fronte a me c'è un burrone, sarei un idiota ad andare avanti ma in ogni caso chi lo ha detto che bisogna 'tornare indietro', se ho già oggi a disposizione delle tecnologie, delle conoscenze, dei saperi che mi possono comunque dare benessere senza portarmi all'autodistruzione? Chi è più indietro o più avanti? Chi rispetta se stesso, gli altri e la natura o chi devasta qualsiasi cosa e sacrifica chiunque in nome del profitto, in nome del dominio? Chi è più progredito, l'aborigeno che da millenni vive nel rispetto del suo habitat o chi lo distrugge sistematicamente finendo per suicidarsi? Sono convinto che quelli che oggi consideriamo buffi soggetti arretrati, saranno sempre più invece degli esempi preziosi da cui imparare molto.

Commenti

Credo che il vero punto sia che tra gli amish e l'Olocausto nucleare, ad esempio, ci sono un sacco di vie di mezzo che hanno vantaggi e non necessariamente tutti quei rischi! io non so se vorrei vivere come gli amish, pur non volendo il nucleare...
Francesca, 16-03-2011 02:16

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