Migrantes, l’incredibile storia di Flaviano e di un viaggio clandestino verso il sogno americano

La prigione, la solitudine, le piaghe, gli assalti di bande criminali, la fame, il freddo, il caldo, la sporcizia, la sete, la foresta, le montagne, il deserto e un muro da superare. Flaviano Bianchini a trent’anni decide di dire addio alla propria identità e al proprio passaporto per diventare Aymar Blanco, giovane peruviano in viaggio verso il sogno americano, da clandestino.

Migrantes, l’incredibile storia di Flaviano e di un viaggio clandestino verso il sogno americano

“Lo chiamano passaporto ma a seconda di quello che c’è scritto ti può portare in posti diversi. Se su quel cartoncino c’è scritto, per esempio, República de El Salvador sei fregato. Non ci esci nemmeno di casa. Sul mio invece c’è scritto Repubblica Italiana e quindi io vado dove voglio”. O meglio, andava. Perché nel 2012 Flaviano Bianchini, all’epoca trentenne, decide di riporre nel cassetto quel passaporto e di diventare Aymar Blanco, nato a Pucallpa, nel cuore dell’Amazzonia peruviana, nullatenente con un sogno: gli Stati Uniti d’America.
Da questa decisione nasce il libro Migrantes (BFS Edizioni Pisa), un libro che racconta la storia di quei 21 giorni in cui Flaviano è stato Aymar, un clandestino che ha attraversato tutto il Messico per arrivare negli Stati Uniti.

Come è nata quest’idea? “Lavorando in Sud America con Source International, un'organizzazione non governativa da me fondata per difendere le comunità locali dagli abusi delle grandi multinazionali offrendo loro gratuitamente strumenti scientifici e legali. Quotidianamente mi trovo faccia a faccia con la questione dell’immigrazione. In quasi ogni famiglia c’è almeno una persona che ha intrapreso il Viaggio: quello dal Sud America al sogno americano. Ma nessuno è mai partito con l’idea di raccontarlo… Così ho pensato di farlo io”.

Flaviano si occupa da anni di questi temi: dal 2005 passa in Sud America gran parte del suo tempo e proprio per questo cambiare le sembianze in Aymar Blanco è stato relativamente facile. “Per la lingua non ci sono stati problemi, ormai la parlo fluentemente e pure l’aspetto mi ha aiutato. Per il resto, una volta comprati al mercato i giusti indumenti, un paio di scarpacce e dei calzini logori, mi è bastato correre una decina di minuti, rotolarmi un paio di volte per terra e smettere di lavarmi per qualche giorno per diventare un perfetto migrante latino americano”. Con sé solo uno zaino, uno spazzolino, una bottiglia d’acqua, un po’ di carta igienica e pochi soldi, cuciti in una doppia fodera nelle mutande. Nessuna indicazione raccolta su internet per il viaggio: “Volevo essere uno di loro e loro non hanno cellulari o connessioni…”.

In molti pensano che la parte più difficile del viaggio di un clandestino sia attraversa il muro che divide il Messico dagli Stati Uniti ma in realtà non è così… “Ormai dal 1994 il Messico collabora con gli Stati Uniti contro la migrazione clandestina. Gli Usa sborsano ogni anno miliardi di dollari al Messico affinché faccia il lavoro sporco ed eviti che troppi immigrati raggiungano il Nord”. Per bloccare l’immigrazione il Messico non rilascia visti a cittadini sud americani e senza visto il passaporto è inutile, ma non basta: “Per chi decide comunque di intraprendere un viaggio illegale verso gli Stati Uniti il percorso è un sentiero minato. Rapine, rapimenti, violenze e sequestri, sono all’ordine del giorno… e spesso incappare in bande criminali o nella Polizia non fa molta differenza”.

Tu sei finito pure in cella… “Sì, anche se non è stato un vero e proprio arresto. Diciamo più un sequestro. Mi hanno tenuto dentro due giorni, rapinato e poi lasciato andare”.

Neanche in quel caso ti è saltato in mente di usare la tua vera identità? “Assolutamente no. Non volevo usare il mio scudo. Ero Aymar Blanco, punto”.

Avevi avvisato colleghi, amici e parenti delle tue intenzioni? “In realtà no. Nessuno sapeva chi ero davvero né tra i miei compagni di viaggio né a casa. Solo tre persone ne erano al corrente. Perché far preoccupare tutti per niente?”.

Qual è  stato il momento in cui hai avuto più paura? “Ho rischiato di morire assiderato sulle montagne del Messico, o di cadere dalla Bestia. La Bestia è il nome che i migranti danno a un treno merci che ti permette di attraversare un bel pezzo del Messico - spiega Flaviano - ma lo si deve fare attaccati al tetto o tra i vagoni… bisogna sempre stare attenti a non addormentarsi, a non cadere, a non finire catturati. Anche attraversare il deserto non è stato facile… camminavamo di notte, in silenzio e al buio per non farci scoprire. Siamo partiti in 25 e siamo arrivati in 19”.

Perché lo hai fatto? “Perché vorrei sensibilizzare la gente sul tema dell’immigrazione. Vorrei che si iniziasse ad aprire gli occhi su quello che succede. Spesso si parla del problema dei migranti ma non si riesce a capire il dramma di queste persone, la crudeltà di un simile viaggio e soprattutto il perché lo fanno. Nessuno è felice fuori casa. Perché un salvadoregno dovrebbe affrontare una cosa del genere per arrivare negli Stati Uniti? Forse perché è stato sfrattato dalla sua terra da una compagnia mineraria americana, o perché vive in una periferia in cui la criminalità ha raggiunto i livelli di una guerra e non c’è futuro per i suoi figli se non quello criminale. Provate a immaginarvi di nascere in un piccolo paesino del Nicaragua con un appezzamento di terra che sì e no ti garantisce una ciotola di fagioli a tavola - continua Flaviano - Un giorno arriva una multinazionale americana, ti dà 100 dollari e ti sfratta dalla tua terra. Tu non hai i mezzi per far nulla se non trasferirti a Managua in città, dove non troverai nessun lavoro e finirai in una periferia in mano a bande criminali. E mentre conduci questa vita disumana t’imbatti nel modello Americano e nelle immagini delle ville di Hollywood. Tu cosa faresti?”.

Si tratta di temi sempre più attuali a cui però, molto spesso, mancano delle risposte concrete, soprattutto dalla parte degli Stati… “L’unica soluzione sarebbe eliminare le frontiere! Quando dicono che non c’è spazio per tutti e che saremmo invasi è una cavolata. Primo, perché se non ci fosse spazio per tutti allora non ci dovrebbe essere spazio neanche per le risorse degli altri. Vogliamo che i nigeriani non vengano in Italia? Perfetto! Allora non basiamo la nostra economia sul petrolio nigeriano a basso costo. Secondo, se tutta la Siria si spostasse in Europa, sarebbe lo 0,2% della popolazione. Mi volete dire che l’economia più grande del mondo non può prendersi in carico uno 0,2% in più?”.

Commenti

Bravo Faviano! Avanti così!
Raul Citterio, 17-10-2015 04:17

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