Vivere sostenibile: la regola mancante (prima parte)

Dai trasporti ai rifiuti, dal cibo locale alle energie rinnovabili. Quali sono le regole del vivere sostenibile? Molti sono i 'vademecum' dell'ambientalismo ma spesso vengono tralasciate le regole principali, senza le quali non si fa un solo passo avanti. Vediamo perché.

Vivere sostenibile: la regola mancante (prima parte)
Fra i molti testi che circolano sulla rete aventi come argomento le buone regole del vivere sostenibile me ne è giunto uno che mi ha colpito per la sua esemplare tipicità, per essere un perfetto compendio di pregi e difetti, di presenze e assenze che caratterizzano l’ambientalismo oggi, in Italia e, probabilmente, non soltanto. Il documento riporta 18 regole per praticare una vita all’insegna della sostenibilità. Cominciamo col classificarle: 5 regole riguardano i trasporti 3 regole riguardano i rifiuti 3 regole riguardano i prodotti naturali per la casa 2 regole riguardano il cibo locale 2 regole riguardano l’acqua 1 regola riguarda una moneta alternativa 1 regola riguarda la televisione 1 regola riguarda le energie rinnovabili 0 regole riguardano le scelte alimentari. La prima cosa da dire è che tutte le regole presenti in quantità maggiore di zero sono ovviamente giuste, tanto che anch'io mi sforzo di seguirle. Però, adesso confrontiamo tutto ciò con il mondo reale. Nel mondo reale il principale responsabile degli impatti ambientali provocati dalle attività umane sulla Terra è il settore agroalimentare con il 31% del totale, contro il 18,5 dei trasporti e il 23,6 della costruzione e gestione degli edifici (queste 3 voci, da sole, coprono poco meno dell’80% del totale). Da studi apparsi su riviste scientifiche internazionali risulta che la provenienza locale del cibo è la variabile meno importante dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente mentre più importante (8 volte di più per l’esattezza) è il fatto che il cibo sia di origine vegetale. Quest’ultimo punto inoltre è tre volte più importante del fatto che il cibo sia prodotto biologicamente. I cibi a più alto impatto ambientale sono la carne di manzo, il pesce, il latte e i formaggi. Tutti questi si situano nettamente al di sopra dei limiti della sostenibilità, indipendentemente da come sono prodotti. Inoltre, il 70% dei consumi mondiali di acqua è provocato dall’agricoltura mentre i consumi domestici sono appena l’8%. La maggior parte dell’acqua dunque la consumiamo non quando beviamo o ci laviamo bensì quando mangiamo. Una parte rilevante di ciò che viene classificato sotto la voce agricoltura inoltre è in realtà zootecnia e perfino una parte rilevante di ciò che è agricoltura propriamente detta è oggi deviata verso la produzione di mangimi zootecnici (e questo è, fra l'altro, il principale motivo per cui 800 milioni di persone patiscono la fame). Possiamo dunque precisare meglio la frase precedente: la maggior parte dell’acqua la consumiamo non quando beviamo o ci laviamo bensì quando mangiamo cibi di origine animale. Ora, soffermiamoci ad esempio sulla regola che nella lista presa in esame porta il numero 6: “uso solo borse di tela” (giusto ovviamente: lo faccio anch'io) e immaginiamo un ipotetico ambientalista-tipo mentre, con la sua borsa di tela, entra in un certo negozio di prodotti alimentari, compra un etto di un certo alimento, se lo fa impacchettare e mette questo pacchettino piccolo piccolo in quella borsa in linea con le regole auree della perfetta sostenibilità. Improvvisamente si accorge che la borsa è diventata pesantissima tanto da non riuscire più a sollevarla. Quanto pesantissima? Esattamente 2000 Kg (2 tonnellate). Spiegazione. Guardiamo l’insegna del negozio: c’è scritto Macelleria. Il piccolo pacchettino contiene un etto di carne di manzo, per produrre il quale sono stati necessari 2000 litri, cioè appunto due tonnellate di acqua. Due tonnellate che il nostro ambientalista, così attento a mettere i nonsocosa che mescolano aria all’acqua del rubinetto, ha buttato nel cesso in un colpo solo. E magari le cose andassero così! Perché in realtà la sua borsa rimane leggerissima. È altrove che grava il peso di quelle due tonnellate. Ma un altrove, e di questo ben pochi ancor oggi se ne rendono conto, che fa presto a ricadere su ciascuno di noi. Ed è quello che sta effettivamente accadendo sulla Terra adesso. Sarà forse ora di cominciare a preoccuparci più del contenuto che del contenitore, mi pare. Insomma, queste 18 regole sono sì giuste ma il problema, il grosso e grave problema è che mancano, come al solito, le più giuste. Senza le quali non si fa un solo passo avanti. Come ha scritto Maurizio Pallante in La Decrescita Felice (edizione 2011): “È più ambientalista un vegetariano che guida un SUV che un carnivoro che va in bicicletta”. Fonti e blbliografia AA. VV., Livestock long shadow, FAO, 2006. AA. VV., Cibo e sostenibilità ambientale (Atti del convegno), Milano, 2010. C. L . W eber e H. S. Matthews, Food-Miles and the Relative Climate Impacts of Food Choices in the United States, Environmental Science & Technology, Vol. 42, No. 10, 2008. M. Tettamanti, L. Baroni e altri, Evaluating the environmental impact of various dietary patterns combined with different food production systems, European Journal of Clinical Nutrition, ottobre 2006. M. Pallante, La Decrescita Felice (Seconda edizione), Edizioni per la Decrescita Felice, Roma, 2010 VIVERE SOSTENIBILE: SECONDA PARTE

Commenti

Concordo sul fatto che è meglio mangiare direttamente vegetali invece che carne, ma non capisco questa demonizzazione. I 2000 litri di acqua li ha bevuti la mucca o sono serviti a irrigare i campi per il fieno ? In ogni caso credo che tale acqua possa rimanere in circolo ( quello che insegnavano alle medie) Credo che il problema sia quando all'acqua si mettono inquinanti che rimangono o quando si usa l'h2o prima per irrigare e poi per bere, e non il contrario. SAluti, Mauro
Mauro, 02-09-2011 07:02
per l%u2018attuale situazione finanziaria lancio la seguente proposta: Prendere in considerazione il collegamento delle idrovie europee attraverso il canale transalpino Danubio-Tirol-Adria con lo scopo di trasferire alla navigazione fluviale e costiera gran parte del trasporto merci nazionale ed internazionale evitando così la costruzione di 3 grandi opere, e cioè a) della Galleria di base del Brennero b) del Ponte sullo Stretto di Messina anche c) del tunnel ferroviario tra Lyon-Torino. Il canale transalpino collegherà la rete fluviale interna e tutti i mari d'Europa, e cioè Mediterraneo, Mare del Nord, Mar Baltico, Mar Nero e, sulla rete fluviale russa, il Mar Bianco ed il Mar Caspio. Il risparmio così ottenuto potrebbe diminuire il debito pubblico per ca. 50 miliardi %u20AC. Il Progetto Tirol-Adria invece comprende un finanziamento, che non aggrava le finanze dello Stato. Il progetto è pubblicato sul sito www.tirol-adria.com."
Albert Mairhofer, 02-09-2011 07:02
0 regole che riguardano i rapporti umani :(((
Marco B., 06-09-2011 12:06
non è solo questione di ambiente, sostenibilità ecc.ecc. io ho sperimentato che si tratta anche di benessere fisico. Da quando ho ridotto la carne ad un paio di pezzettini a settimana, e tolto di mezzo i salumi mi sento molto meglio. Meno affaticamento, miglioramento della digestione. Anche un sano egoismo aiuta il mondo.
maria, 06-09-2011 09:06
Risposta per Mauro. Un suino beve 20 litri di acqua al giorno, un bovino da ingrasso ne beve 50, una vacca da latte addirittura 200. C'è poi l'acqua che viene usata per la pulizia delle stalle e per le varie fasi della lavorazione della carne. Ma a monte di tutto ciò c'è l'acqua che viene utilizzata per le coltivazioni intensive necessarie a sostenere gli allevamenti intensivi (Perchè non dimentichiamo che carne e latte, agli attuali, pazzeschi livelli di consumo dei paesi industrializzati, significa inevitabilmente questo tipo di allevamenti. "Carne biologica per tutti" è solo un mito e basta). Per ogni tonnellata di mais occorrono 1000 tonnellate di acqua. L'acqua torna in circolo? Così sarebbe secondo natura ma non dimentichiamo che stiamo parlando di procedimenti industriali che prescindono dai cicli naturali. L'acqua usata per tali processi è sottratta ai cili naturali, trasformata in liquami e convogliata verso i fiumi e poi al mare. Da lì evapora ma solo un quinto dell'acqua evaporata torna sulle terre emerse in forma di pioggia (il resto va sui mari) Infine, quello dell'acqua era solo un esempio, uno dei molti impatti ambientali che la zootecnia provoca. Fra gli altri: emissione di gas serra, deforestazione, degrado dei terreni fino alla desertificazione, sottrazione di cibo a uso umano, inquinamento delle falde acquifere e infine, passando dall'ambiente alla salute, dilagare di tumori, obesità, diabete, malattie degenerative e altro ancora.
Filippo Schillaci, 06-09-2011 11:06
Il problema dell'acqua in zootecnica risiede nel fatto che si calcola che per produrre un chilo di carne viene consumata tanta acqua (tra irrigazione del foraggio, allevamento intensivo, etc) quanta ne usa una persona media per lavarsi in un anno! Non è questione di demonizzazione ma di coscienza a mio modesto parere
Elena, 07-09-2011 09:07
Ciao Filippo (posso darti del tu?sul web in genere sono meno formale), ho letto più volte questo articolo e la sua prosecuzione e non posso che essere d'accordo, almeno per la maggior parte di quanto hai scritto. Probabilmente già conosci il documentario di Rebecca Hosking, "A farm for the future", video che è stato pubblicato anche qui su Il Cambiamento. Vorrei solo capire una piccola discrepanza tra il tuo articolo e il video, perché si parla (min 13.06) del settore alimentare come secondo in classifica come contributo all'inquinamento e al consumo di petrolio...forse dipende da cosa si include nel calcolo, se il trasporto del cibo va sotto "cibo" o sotto "trasporti". Una soluzione che invece il documentario dà per quel che riguarda la carne è proprio il fatto che provenga da "fattorie permacultrici", anche se la stessa Rebecca parla del fatto che è assolutamente necessario ridurre sostanzialmente il consumo di carne (e cereali) e il documentario ne dà le prove!
Giacomo Armani, 28-09-2012 03:28
I dati che ho riportato nell'articolo sono tratti dallo studio "Environmental Impact of Products" (EIPRO) del 2006, promosso dalla Commissione Europea e sono relativi per l'esattezza ai contributi al riscaldamento globale. Altri studi, dettagliatamente citati anche nell'EIPRO, danno percentuali diverse che collocano effettivamente il settore abitativo al primo posto e l'alimentazione al secondo (tutti invece collocano i trasporti al terzo). Queste differenze si spiegano col fatto che alcuni addendi della somma possono essere attribuiti a un ambito piuttosto che a un altro. Esempio banale: l'energia usata per cucinare in casa si può scegliere di attribuirla al settore abitativo o all'alimentazione. Queste differenze però sono piuttosto inessenziali se considerate dal nostro punto di vista di persone cui questi studi servono a orientare le proprie scelte e a comprendere la priorità da dare a ciascuna. Ciò che importa è che tutti gli studi attribuiscono percentuali molto elevate a entrambi i settori, alimentare ed abitativo, e ciò significa che non è lecito prescindere da nessuno dei due, che entrambi devono avere priorità massima nelle nostre scelte quotidiane. Per quanto riguarda il documentario dell'allevatrice Rebecca Hosking, esso, come troppe apologie della sedicente zootecnia sostenibile, è affetto da una drammatica assenza di numeri. E' vero che l'autrice accenna (a dire il vero molto fugacemente) al fatto che si deve mangiare meno carne. Ma quanto di meno? Quanto poi alla zootecnia praticata in sistemi permacolturali, non dimentichiamo che essi sono riproduzioni di ecosistemi naturali e che in questi ultimi la biomassa vegetale è sempre di uno o più ordini di grandezza superiore a quella animale. In altre parole questi sistemi, come tutti i sistemi estensivi, sono caratterizzati da produttività bassissime. Possiamo averne un'idea pensando che oggi i pascoli coprono l'80% circa del territorio occupato dalla zootecnia nel mondo ma da essi viene appena l'8% della carne e il 12% del latte (FAO, 2006). Trovo infine pericolosissima l'ipotesi di pascolo nei sistemi boschivi: è noto da sempre che ciò rappresenta un pericolo enorme per i boschi. Praticamente l'unica specie che può pascolare in un bosco senza far danni sono i maiali; sorgono tuttavia ulteriori problemi di competizione con le specie selvatiche e dunque alterazione degli ecosistemi, danni alla biodiversità ecc. Il tutto diventa inaccettabile se si pensa che per ottenere produzioni di una certa entità bisognerebbe applicare questi principi su estensioni vastissime. Quest'ultima caratteristica della zootecnia estensiva ha fra l'altro fatto sì che essa sia sempre stata causa di forti tensioni sociali.
Filippo Schillaci, 01-10-2012 10:01

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