Conversazione con Maurizio Pallante. Quarta parte

La vita in campagna, il lavoro, la crescita dei figli, l'istruzione e il ruolo della donna. Ecco cosa ne pensa il fondatore del Movimento per la Decrescita Felice. Vi proponiamo la quarta e ultima parte dell'intervista a Maurizio Pallante.

Conversazione con Maurizio Pallante. Quarta parte
Abbiamo visto come si possa applicare la decrescita vivendo in campagna, ma che mi dici delle città? Prima di tutto, vorrei ricordare che comprare una casa in campagna costa molto meno rispetto ad una casa in città e lo stesso discorso vale per gli affitti. Vivendo in campagna, inoltre, le spese sono molto ridotte sotto tutti i punti di vista. Però se hai un lavoro 'normale' devi stare vicino alla città. Sì, questo è spesso un problema. Per questo noi crediamo che bisognerebbe incentivare al il telelavoro. Ad esempio io lavoro da casa scrivendo articoli e libri, mentre la mia compagna è insegnate part-time e pittrice come secondo mestiere, ma non è ancora arrivata ad un punto tale da essere autosufficiente. Comunque anche chi vive in città può cercare di potenziare al massimo il discorso dell’autoproduzione come d’altronde si faceva fino a due generazioni fa. Yogurt, pasta, pane, marmellate, sono tutti prodotti che si possono facilmente preparare in un appartamento. Inoltre, si può anche imbarattorale frutta e verdura per l’inverno. O ancora, si può costituire un GAS (Gruppo di Acquisto Solidale), per i prodotti che non si possono né produrre né scambiare. Ad esempio, non acquistiamo caffè, parmigiano e detersivi tramite un gruppo di acquisto. Ma molte persone riescono ad auto prodursi anche i detersivi e poi instaurano delle forme di scambio non mercantili con il vicinato. Molto spesso in un condominio la gente non si conosce e si perde completamente il rapporto col tessuto sociale, con la solidarietà, il dono e lo scambio. Spesso, in molti condomini, ad un piano di distanza, abitano una coppia anziana in pensione e una coppia giovane con un figlio. Questi ultimi, anziché portare il bambino all’asilo nido potrebbero affidarlo agli anziani e in cambio aiutare quest’ultimi a fare le cose che questi non sono più in grado di fare. Che scelta lavorativa suggeriresti a tuo figlio che non vuole vivere in città? Mio figlio vive in città! Comunque in generale suggerirei un part-time se è possibile e poi gli proporrei di dedicare un po’ di tempo all’autoproduzione, tenendo comunque sempre in considerazione il fatto che questi processi non possono mai svilupparsi esclusivamente a livello individuale, ma solo a livello collettivo e quindi costruendo una rete di relazioni diverse tra persone che hanno fatto le medesime scelte anche per supportarsi vicendevolmente. Non c’è il rischio che il paradigma della decrescita felice si possa applicare solo fino a quando sono poche persone a seguirlo? Uno spostamento cospicuo di persone verso le campagne non causerebbe inevitabilmente una ulteriore costruzione edilizia, con conseguente distruzione del territorio e aumento dei costi di vita? Sì, il rischio e concreto. Ecco perché è fondamentale trovare il modo di diffondere il modello della decrescita anche in città. Le città non sono sempre state così invivibili. Dal dopoguerra c’è stata la grande degenerazione. Io sono cresciuto a Roma, nel quartiere Trionfale. Andavo con nonna a fare la spesa al mercato. Lungo la strada da casa al mercato c’erano dei negozi, l’olio si comprava sfuso, con tutto il discorso dei vuoti a rendere e in ogni negozio la gente sapeva tutto, era come vivere in un piccolo paese. Nel quartiere, quindi, c’era comunque una dimensione relazionale di rapporto tra le persone, di conoscenza reciproca che purtroppo oggi si è persa completamente. Al mercato c’erano molti contadini che vendevano direttamente alle persone. Oggi stiamo riscoprendo i farmer market ma già prima era così. Al mercato di via Andrea Doria i contadini portavano i polli vivi, c’erano le gabbie di legno con questi animali vivi a cui i tirava il collo non appena c’era qualcuno che lo comprava. Quindi il rapporto città campagna fino all’immediato dopo guerra aveva una valenza di carattere diverso, non c’era questa rottura che c’è stata successivamente prima di tutto perché c’era un rapporto di vicinanza - uno non comprava le pere prodotte in argentina, ma quelle prodotte nella sua zona - e poi i contadini erano delle persone diverse: non erano votate a produrre il più possibile un singolo prodotto, ma facevano un po’ di tutto per sé e poi vendevano le eccedenze. Oggi il contadino è invece un imprenditore agricolo. Se questo modello tornasse a prevalere, si instaurerebbe un diverso rapporto città-campagna che non porterebbe a questa esplosione di megalopoli. Secondo te gli italiani possono accettare quanto proponi? Non so. Noi abbiamo alcuni alleati molto forti in questo momento: la crisi climatica, l’esaurimento delle risorse e l’aumento dei prezzi. Ha contribuito alla diffusione di questi argomenti molto di più l’aumento dei prezzi che tanti nostri discorsi. È però fondamentale che il lavoro soggettivo che facciamo noi e i processi sociali che avvengono oggettivamente si incontrino. Solo così si può sbloccare la situazione. Se non la si sblocca, detto con stile anglosassone, sono cazzi nostri… Come si inseriscono in questo discorso i processi migratori? La società fondata sulla crescita deve aumentare in continuazione il numero dei produttori consumatori di merci. Anche i processi migratori sin dall’inizio sono stati messi in moto perché le società fondate sulla crescita hanno bisogno di fare aumentare il numero di coloro che comprano le cose in maniera tale da farle produrre e il numero delle persone che producono le cose. In questo modo si instaura un circolo vizioso a causa del quale produci le cose, guadagni dei soldi con cui vai a compare delle cose. Una società di questo genere poteva tenere fuori dal mercato il 50% della popolazione umana? No, che non poteva! Vieni spesso accusato di maschilismo? Qual è il vero ruolo della donna nella visione della decrescita felice? Non ho mai parlato di chiudere le donne in casa anche perché se lo volessi… Il lavoro necessario a procurare il denaro per comprare le merci lo devono fare sia l’uomo che la donna, meglio entrambi con il part-time, in modo che la componente professionale e culturale dell’individuo venga valorizzata. Oggi, nella cultura corrente, noi chiediamo ad una donna: lavori o stai in casa? Affermazioni come questa sottintendono che il lavoro si faccia solo fuori casa. La realtà è che molte donne in casa lavorano ancor più che fuori! Ma siccome questi lavori producono beni e non merci, in una società che mercifica tutto non vengono considerati. Chi lavora in cambio di denaro a tempo pieno finisce quasi sempre con l’annullare se stesso, si aliena e ha come compensazione degli oggetti, delle cose. La cosiddetta realizzazione è un bisogno indotto da una società fondata sulla crescita. E per quanto riguarda la custodia dei figli? Entrambi i genitori devono accudire i figli, la donna soprattutto nei primi mesi. Una ricerca inglese ha dimostrato che i bimbi che vengono mandati all’asilo nido sviluppano problemi di natura ormonale e psicologica. C’è una connessione di rapporto causa effetto tra la degenerazione dei comportamenti sociali e il fatto che i bambini non stanno più con i genitori, la violenza nelle città è probabilmente legata con gli asili nido, ma non ho prove per poterlo dimostrare. Noi come mammiferi abbiamo questo rapporto con il corpo della madre, l’allattamento il seno l’odore, cose che noi abbiamo dimenticato. Tra l’altro, le fasi più importanti per il nostro sviluppo sono quelle dei primi tre anni di vita. Guai se il padre non avesse un ruolo educativo molto forte! Molti genitori cercano di colmare la loro assenza con l’acquisto di giocattoli incrementando una mercificazione del bambino ed uno sviluppo errato. Che mi dici della scuola? È necessario che la scuola introduca o reintroduca tutto il saper fare accanto alle materie teoriche. Alcune scuole hanno l’orto scolastico: il bambino vede le piante, la terra. È fondamentale per la conoscenza. Secondo noi, poi, bisognerebbe abolire il tempo pieno. Questo è infatti funzionale al discorso della crescita: i genitori, infatti, devono lavorare dalla mattina alla sera. Pensa che quando ho fatto l’assessore a Rivoli dal ‘90 al ‘95 ho incontrato dei commercianti che chiedevano che l’asilo nido fosse aperto fino alle 19.30... Ma che cavolo l’hai fatto a fare il figlio allora? La mattina appena sveglio lo prendi, lo imbacucchi e lo porti all’asilo. La sera, quando lo vai a prendere, sei distrutto fisicamente e se tuo figlio fa casino dai pure uno schiaffone perché sei esaurito. Ma che rapporto è questo? Alla fine tutto è funzionale al fato che noi abbiamo bisogno di produttori e consumatori di merci. Per un periodo della mia vita ho fatto il preside in una scuola. A quel tempo i genitori si mortificavano quando i figli venivano rimproverati. Adesso, invece, molti genitori arrivano in presidenza e dicono: “guardi preside, io faccio tutto per mio figlio, non gli faccio mancare niente! Io alla sua età avevo molte meno cose delle sue”. Non capiscono che il bambino non ha bisogno di oggetti, ma di tempo, di attenzione, di sensibilità, di fare delle esperienze insieme ai genitori. Evidentemente avvertono un senso di colpa che viene colmato comprando le cose; ma per avere i soldi per comprare le cose devi lavorare di più. E così all’infinito.

Commenti

PALLANTE, condivido e se le donne ti definiscono Maschilista, credimi, la cosa non è grave
Ermanno MASCIULLI, 15-09-2011 09:15

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