Immigrati: la protezione italiana, tra prassi ed emergenza

La cronaca propone una moltitudine di sigle e acronimi circa lo status degli esuli africani, le strutture e i progetti di accoglienza, gli enti istitutivi coinvolti a vari gradi nella gestione del destino di quanti approdano con mezzi di fortuna sulle nostre coste. Ricostruiamo che cosa la legge prevede per una gestione 'ordinaria' della situazione.

Immigrati:  la protezione italiana, tra prassi ed emergenza
Alla data di lunedì 21 febbraio, il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, stima circa 1.400 immigrati accolti e rende noto che alla dimensione del fenomeno, l’isola, nonostante l’atavica vocazione alla ricettività e accoglienza, non può più far fronte. È una questione di numeri, di saturazione di spazio e risorse. Che la situazione diventasse sempre più scottante e problematica lo aveva detto anche il Ministro degli Interni, Maroni, che già da giorni chiede l’aiuto dell’Unione Europea per fermare un flusso migratorio aggiuntosi dalle coste della Tunisia a quello usuale proveniente dalla Libia (nonostante l’accordo bilaterale di cooperazione con Italia). Solo dalle istituzioni comunitarie, infatti, l’Italia può ricevere aiuto e non dai singoli stati membri che in virtù dell'accordo di Dublino, secondo il quale ogni paese della Ue è responsabile degli immigrati che giungono sul proprio territorio nazionale, possono tranquillamente disinteressarsene. La settimana scorsa il Governo si è mosso per visitare un villaggio inabitato a Mineo (CT) da convertire in Centro di accoglienza. Alle recenti rivolte di Egitto e Tunisia ora si sommano quelle inquietanti dell’area della Cirenaica. E l’aiuto dell’Europa è sopravvenuto il 20 febbraio, con la missione Hermes dell'agenzia Frontex dell'Unione europea. I 50 esperti inviati dagli Stati membri UE a Lampedusa, assisteranno le autorità italiane nell'accoglienza e nell'identificazione degli immigrati. Solo in un secondo momento, la stessa missione europea fornirà un supporto aereo e navale per il pattugliamento delle coste italiane. Un’altra istituzione sovranazionale che ha la competenza a intervenire in siffatta situazione è l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Acnur) per i rifugiati. La cronaca ci propone quindi una moltitudine di sigle e acronimi circa lo status degli esuli africani, le strutture e i progetti di accoglienza, gli enti istitutivi coinvolti in vari gradi nella gestione del destino di quanti approdano con mezzi di fortuna sulle nostre coste. Si parla anche dell’adozione di misure straordinarie e della trasformazione delle strutture di accoglienza esistenti. Vogliamo perciò ricostruire che cosa la legge prevede nella situazione ordinaria, per cercare di leggere un po’ meglio tra le tante sigle richiamate e poter forse 'seguire' lo scenario di emergenza e timore che si profila. Innanzitutto diciamo che gli stranieri nel nostro Paese si distinguono in regolari (entrati con un permesso), irregolari (stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale di cui erano però in possesso all'ingresso in Italia) e infine clandestini, entrati in Italia senza regolare visto, e che non possono essere espulsi immediatamente in alcune circostanze, come nel caso – e ci siamo proprio - in cui richiedono soccorso. Il Ministero dell’Interno predispone nell’ambito dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e rifugiati) le misure e le strutture per fronteggiare una richiesta di asilo, accoglienza e contenimento di chi abbandona clandestinamente il proprio paese. A livello territoriale sono gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, a dover garantire interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo anche misure d’informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali d’inserimento socio-economico. Una volta toccato il suolo italiano, un esule può richiedere la protezione umanitaria (della durata di un anno), la protezione sussidiaria (durata di tre anni) o lo status di rifugiato, che gli consente maggiori vantaggi. Il tutto, attraverso un iter che gli instanti spesso disconoscono così come l’accordo di Dublino, e che parte dalle Commissioni territoriali con le interrogazioni e la raccolta di informazioni sugli stessi. Partiamo dall’ultima ipotesi. Il rifugiato è colui che - secondo l'art. 1A della Convenzione di Ginevra del 1951, recepita nell'ordinamento italiano dalla legge n.722 del 1954 - diviene titolare di protezione internazionale. Si tratta di persona che “(...) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese d'origine di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese(...)”. Nel caso, invece, in cui la Commissione territoriale, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale, ritenga possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, provvede alla trasmissione degli atti della richiesta di protezione al questore competente per un eventuale rilascio di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria (art. 5, comma 6 del decreto legislativo n. 286/1998). Nella protezione sussidiaria, chi ne diviene titolare - a norma dell'art. 2, lett. g) del Decreto legislativo n. 251/2007 - pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, viene protetto in quanto, se ritornasse nel Paese di origine, andrebbe incontro al rischio di subire un danno grave. Quanto alle strutture preposte, nel sistema ordinario, sono tre le tipologie di strutture atte ad accogliere e assistere gli immigrati irregolari: Centri di accoglienza (Cda), Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), Centri di identificazione ed espulsione (Cie). I Centri di accoglienza (Cda, noti anche come Cpa, Centro prima accoglienza o Cspa, Centro di soccorso e prima accoglienza) sono locali destinati a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L'accoglienza nel centro "è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l'identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l'allontanamento". Nei centri viene fatto un lavoro particolare che richiede attenzione e che spesso non è compatibile con un affollamento troppo pronunciato. Con i numeri di questi giorni la diagnosi e la prevenzione sanitaria , ad esempio, diventano problematiche così come è molto difficile l’attenzione alle persone che sono state più esposte a traumi (come per le donne oggetto di tortura o violenza) che abbisognano di un supporto psicologico e di un’attenzione particolare. I Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l'identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Lampedusa ospita un Centro di primo soccorso e accoglienza da 804 posti. Agrigento, Bari, Brindisi, Cagliari, Caltanissetta, Crotone e Foggia sono le altre sedi. I Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sono strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione. La funzione loro attribuita è quella di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle forze dell'ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari. In questi centri il termine massimo di permanenza degli stranieri è di 60 giorni complessivi (30 giorni, con ulteriori 30 su richiesta del questore e conseguente provvedimento di proroga da parte del magistrato). Lampedusa compare anche tra questi, con una struttura da 200 posti. Questo stralcio di tassonomia ci può fare capire come una struttura creata per un utilizzo non possa facilmente o ipso facto essere riconvertita per un altro e che la gestione di un centro richiede competenze e risorse gestionali anche molto diverse da quelle di un altro tipo.

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