Migranti, sui respingimenti del 2009 l'Italia è sotto accusa

È forse vicina all'epilogo la vicenda dei migranti respinti in Libia nel 2009 dal Governo italiano. Gravi le accuse da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo: palese violazione del diritto d'asilo, respingimento e tortura.

Migranti, sui respingimenti del 2009 l'Italia è sotto accusa
Avevano vagato per 3 giorni e 3 notti, all'addiaccio, senza cibo né acqua, i circa 200 migranti che, nella notte fra il 6 e il 7 maggio 2009 furono intercettati a sud di Lampedusa dalle motonavi italiane e consegnati nelle mani dei poliziotti libici. Fra di loro 41 donne, alcune incinte, e molti bambini. Soccorsi dalle motovedette italiane, era stato fatto credere loro che sarebbero sbarcati a Lampedusa. Speranza subito spenta con l'arrivo nel porto di Tripoli. Qui, senza neppure essere stati identificati, venivano consegnati alle autorità libiche contro la loro volontà ed abbandonati al loro destino. A solo un mese di distanza da quella tragica notte, il leader libico Gheddafi veniva accolto in Italia tra fasti e onori. È arrivato il momento della resa dei conti. Il 22 giugno il Governo italiano è stato infatti chiamato a rispondere, per la prima volta, davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo sui respingimenti collettivi di migranti verso la Libia. “I ricorrenti, 11 somali e 13 eritrei, sono vittime di una chiara violazione dell'art. 3 della Convenzione che vieta il respingimento verso Stati in cui vi è il rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti”, dichiarano gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, difensori di 24 dei migranti vittime dei respingimenti, e componenti del direttivo dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani. Numerosi rapporti di Human Rights Watch e di diverse organizzazioni che si occupano di violazione dei diritti umani parlano infatti dell'esistenza di centri di detenzione in pieno deserto, dove i migranti vengono ammassati come bestie, senza materassi né bagni, sottoposti a botte e torture, e, nel peggiore dei casi, destinati al mercato di esseri umani. Ancora oggi molti di loro sono detenuti, altri sono riusciti a sfuggire e sono sparsi per i centri di accoglienza di tutta Europa. Qualcuno non ce l'ha fatta, ed ha perso la vita al largo delle nostre coste in una nuova traversata. All'epoca dei fatti il Governo aveva escluso che si fosse trattato di rimpatrio coatto: i migranti erano stati portati in un paese 'civile', che garantiva loro il diritto d'asilo alla stregua di qualunque altro paese europeo. “In questo specifico caso il respingimento è avvenuto verso un paese dove, non solo si rischiano torture e maltrattamenti - incalza l'avv. Lana - ma anche il rimpatrio verso il paese d'origine, spesso teatro di guerre civili, non essendo la Libia firmataria della Convenzione di Ginevra”. Non solo. “Ermias Berhane, uno dei ricorrenti, ad esempio, ha trascorso gran parte degli ultimi due anni in un centro di detenzione libico. Scappato dai bombardamenti in Libia, è riuscito ad arrivare in Italia ed ha ottenuto proprio in questi giorni il riconoscimento dello status di rifugiato. Per cui abbiamo un Governo che da un lato respinge collettivamente in alto mare i migranti, mentre dall’altro riconosce formalmente che fra di loro vi sono dei rifugiati, palesando la contraddittorietà della politica dei respingimenti”, continua l'avv. Saccucci. Il fatto stesso che il Governo italiano sia stato chiamato a rispondere dei respingimenti di massa davanti alla Corte di Strasburgo costituisce un importante segnale, considerando l'esiguo numero di ricorsi normalmente accolti dalla Corte. La decisione sul caso è inoltre stata affidata alla Grande Camera della Corte, come avviene per le questioni più delicate. Il processo ha visto inoltre la partecipazione di numerose organizzazioni non governative come Human Rights Watch, Amnesty International, la Fédération internationale des ligues des droits de l’ Homme e la Human Rights Law Clinic della Columbia University di New York nonché di rappresentanti dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Alto Commissariato dei diritti umani (UNOHCHR) delle Nazioni Unite. Il verdetto arriverà dopo l'estate. “Siamo molto fiduciosi. Si tratta di un passaggio decisivo verso il ristabilimento dei diritti fondamentali”, concludono gli avvocati. La decisione sarà di estrema rilevanza poiché andrà ad incidere non solo sulle politiche italiane ed europee in materia di immigrazione, ma anche sull’apertura o meno verso i migranti degli stessi Stati membri.

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