Genitori di chi? Il compito infinito della nascita

Cosa significa essere genitori, di chi o di che cosa siamo i genitori, coloro cioè che generano, che mettono al mondo, attraversando una delle esperienze più formative e irrevocabili? Ci vuole meno tempo a partorire un rapporto, ci vuole davvero meno impegno, meno fatica, meno pazienza, meno invenzione?

Genitori di chi? Il compito infinito della nascita
Spesso mi sento ammonire "quando avrai un figlio ne riparliamo", per dire che un conto è immaginarsi le cose un conto è farle, un conto è non dormire perché si ha un’angoscia o una preoccupazione di lavoro o d’amore, un conto è svegliarsi per un bambino che piange e non si riesce a quietare, un conto è passare un pomeriggio con un esserino curioso ed estremamente vitale, e rifornirsi anche della sua curiosità e della sua energia, un conto è occuparsi di lui ventiquattro ore al giorno. A me, che non ne ho, la frase un po’ ferisce. Ma mi impone anche di interrogarmi su quanta verità ci sia, se c’è, in un’osservazione così concreta e difficile da controbattere. Mi chiedo perciò che cosa significhi essere genitori, di chi o di che cosa siamo i genitori, coloro cioè che generano, che mettono al mondo, attraversando una delle esperienze più formative e irrevocabili. E mi chiedo allora se mettere al mondo ed educare non sia quello che succede, o dovrebbe succedere, nei nostri rapporti di amicizia, coi nostri colleghi, con noi stessi e il nostro tempo. Se ogni piccolo progetto non richieda la stessa cura, la stessa attenzione, passione, dedizione che invade senza tregua l’esistenza di un padre o di una madre. Se ogni distrazione, depressione, sconforto, sfiducia che ci tradisce in molte circostanze non sia altrettanto letale e le sue conseguenze altrettanto disastrose e durature di quelle che gravano sulla vita di un gruppo famigliare. Di quante persone non siamo genitori? Quante persone ci piangono tra le braccia, oltre che sulla spalla, a quante persone proviamo a spiegare quotidianamente che cosa sia la morte, e che senso abbia la vita, di quante persone curiamo i dolori, le ansie, a quante diamo coraggio, nutrimento, parole, a quante insegnamo nuovi comportamenti, diversi modi di osservare un fatto? E da quante persone noi stessi impariamo tutto questo? Quante volte il gesto inconsueto compiuto da un altro ci illumina e ci dà gioia, proprio come accade quando un bambino pone una domanda mai formulata, o racconta la storia in un linguaggio inconsueto, e aperto alla possibilità che le cose non stiano come abbiamo sempre creduto, o non solo così? Ci vuole meno tempo a partorire un rapporto, ci vuole davvero meno impegno, meno fatica, meno pazienza, meno invenzione? Certo non passiamo attraverso le lacrime e le grida del travaglio. E non sentiamo muovere un'altra vita dentro la nostra. Ma forse questo è solo un limite attuale, non immutabile. Forse arriverà un giorno in cui sentiremo ogni essere, non solo umano, come venuto alla luce dal nostro più intimo desiderio, dal nostro buio più caldo e misterioso.

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