L’impronta ecologica: quanto suolo occupiamo per vivere?

L’Associazione dei Comuni Italiani ha presentato in questi giorni un rapporto sui nostri comportamenti e sulle nostre azioni che provocano l’immissione in atmosfera di anidride carbonica. Ha cioè calcolato la 'carbon footprint' pro capite degli italiani. Prima di esaminare e commentare gli esiti di questo interessante studio, introduciamo il fondamentale concetto di 'impronta ecologica'.

L’impronta ecologica: quanto suolo occupiamo per vivere?
Cittalia è una fondazione gestita dall’ANCI, l’associazione dei Comuni italiani, che ha lo scopo di monitorare attraverso studi e ricerche l’evoluzione della realtà sociale, economica e ambientale delle città italiane. Proprio in questi giorni la fondazione sta presentando il Rapporto Cittalia 2010 – Cittadini sostenibili; lo studio prende in esame le emissioni di anidride carbonica (CO2) provocate dai cittadini italiani, ne quantifica le origini, gli effetti, la conoscenza da parte delle persone e ipotizza un percorso culturale e amministrativo per affrontarle. L’argomento, molto interessante e attuale, è basato sulla realtà italiana dei giorni nostri e prende in esame le aree metropolitane, inserendosi in questo modo anche nel dibattito politico che sta preparando l’avvento di questa nuova dimensione amministrativa. Tuttavia, per poter affrontare consapevolmente la discussione, è opportuno fare un passo indietro e porsi una domanda. Perché calcolare le emissioni di CO2 di ciascun cittadino, ovvero la sua carbon footprint? Ovviamente non si tratta di un mero esercizio statistico, bensì di un’analisi che ci permette di inquadrare non solo a livello metropolitano italiano ma addirittura a livello globale la situazione del pianeta e, cosa ancora più importante, consente di quantificare il livello di sfruttamento perseguito dall’uomo. Tutto ciò è possibile grazie al calcolo dell’impronta ecologica. Se volessimo definire in poche parole l’impronta ecologica, potremmo descriverla come la porzione di terreno di cui ha bisogno ciascuna persona per vivere, cioè per ricavare le risorse che impiega e smaltire i rifiuti che produce. Immaginiamo di vivere da soli, isolati dalle altre persone e di avere a disposizione un luogo delimitato. La prima cosa che faremmo se ci chiedessero quanto questo dovrebbe essere grande, sarebbe certamente pensare alle attività che dobbiamo svolgere per vivere e quanto spazio esse richiedono. Per esempio, coltivare un orto richiederà un dato numero di metri quadrati, il pascolo di uno o più animali pure, così come il suolo su cui edificare la nostra casa, il bosco da cui ricavare il legname per costruire oggetti utili, lo specchio d’acqua per i nostri bisogni idrici e così via. Queste sono cose banali, a cui tutti noi penseremmo subito; ciò che è un po’ meno banale - ma forse ancora più importante - sono altre voci da tenere in considerazione quando si calcola l’impronta ecologica, per esempio la porzione di terreno necessaria per smaltire i rifiuti o l’ampiezza dell’area verde che contiene il numero di piante necessarie ad assorbire l’anidride carbonica che produciamo. Insomma, si tratta di tradurre in ettari di suolo tutto ciò che ci serve per vivere. L’esempio che ho fatto è però troppo semplice, poiché attualmente la nostra vita non si riduce certo a coltivare un orto, allevare un animale e fare il bagno in un lago. L’elettricità che consumiamo, i processi produttivi dei beni che utilizziamo, il carburante per le nostre macchine e le nostre macchine stesse: tutto può essere trasformato in suolo occupato. Senza dimenticare che le cose che usiamo e consumiamo producono degli scarti, quindi è necessario tenere in considerazione anche lo spazio necessario a smaltire questi scarti. Per la precisione, l’impronta ecologica si suddivide in sei grandi aree che corrispondono ad altrettante destinazioni del suolo; abbiamo quindi suolo edificato (il terreno necessario per abitare), le aree boschive, le aree di pesca, i pascoli, le coltivazioni e infine il suolo adibito alla produzione di energia fossile. Un territorio che comprendesse zone destinate a ciascuno di questi utilizzi sarebbe in grado di sostentare un uomo moderno. Già, ma quanto dovrebbe essere grande questo territorio? Provo a dare qualche numero, che poi spiegherò. Il paese con l’impronta ecologica pro capite maggiore è la federazione degli Emirati Arabi Uniti: ogni cittadino di questo paese necessita di 10,7 ettari per vivere. Segue a ruota il Quatar con 10,5 ettari. Gli Stati Uniti hanno un’impronta ecologica pro capite di 8 ettari, l’Italia di 5. Fra gli stati con l’impronta ecologica più contenuta vi sono Afghanistan e Bangladesh con 0,6 ettari, seguiti da Palestina e Malawi con 0,7. Snocciolati in questo modo, non credo che questi dati possano suggerire molto. Ma se vi dicessi che, con lo stile di vita e di consumo che portano avanti gli americani, gli Stati Uniti dovrebbero essere grandi 24.700.000 di chilometri quadrati, invece dei 9.370.000 che misurano in realtà? O che noi italiani occupiamo virtualmente un territorio grande dieci volte l’Italia? O ancora che ci vorrebbe un pianeta grande il 40% in più della Terra per assecondare le nostre esigenze di vita e di consumo? Letti così, certamente questi dati fanno un altro effetto. È necessario però introdurre un’altra variabile, cioè quella della carrying capacity, letteralmente la capacità di carico. Questo dato è simile a quello dell’impronta ecologica e ci dice, sempre rispetto a quegli ambiti che abbiamo individuato prima (in questo caso però sono cinque, poiché si presuppone che non vengano usati combustibili fossili), quanto suolo un paese può offrire, cioè a quanto ammontano le sue risorse. Continuiamo a dare i numeri: la carrying capacity pro capite dell’Italia è di 1,1 ettari, vuol dire che ogni italiano dovrebbe poter vivere in uno spazio di queste dimensioni. Confrontando i due dati, possiamo vedere che la differenza è di 3,9 ettari (5-1,1); in questo caso, si dice che ogni italiano ha un deficit ecologico di 3,9 ettari, cioè occupa 3,9 ettari in più di quanto il suo territorio non gli permetterebbe di fare. I già citati Emirati Arabi Uniti hanno un deficit ecologico di 9,8 ettari, mentre gli Stati Uniti di 4,1. In Europa, peggio di noi fanno il Belgio con 6,7 ettari, l’Olanda con 6,2 e la Macedonia con 4,2. Tutti questi paesi sono in uno stato di overshooting, cioè sovrapproduzione e sovra consumo. Molto semplicemente, consumiamo più risorse di quante il territorio ne possa fornire e produciamo più scarti di quanti il territorio ne possa smaltire. In quanto detentori di deficit siamo quindi dei debitori. Ma chi sono i nostri creditori? È presto detto: tutti quei paesi la cui impronta ecologica pro-capite è inferiore alla carrying capacity e che quindi non sono in una condizione di sfruttamento eccessivo del territorio. Per esempio, gli svedesi hanno un’impronta ecologica di 5,9 ettari e il loro paese ha una carrying capacity di 9,7, che vuol dire che la Svezia ha una riserva ecologica di 3,8 ettari. Quella della Bolivia è di 16,3 mentre quella del Gabon è addirittura di 27,9 ettari. Ciò che avviene è quindi una sorta di scambio: virtualmente (ma spesso anche sostanzialmente) i paesi in surplus (riserva) forniscono le risorse che quelli in deficit non riescono a produrre e assorbiscono gli scarti che essi non riescono a smaltire. Questo sistema però comporta due grandissime criticità. La prima è che un simile trattamento è squilibrato e scorretto: non è giusto che i paesi virtuosi, che consumano poco e hanno uno stile di vita proporzionato, si debbano accollare gli eccessi di quelli in deficit, finendo per compromettere anche la loro situazione. La seconda è che questo meccanismo di scambio oltre a essere sbagliato non funziona neanche, poiché il deficit ecologico globale è in continuo aumento (attualmente è di 0,9 ettari pro-capite). Terminata questa doverosa premessa, torniamo all’argomento in discussione. Il Rapporto Cittalia 2010 ha uno scopo molto simile a quello del calcolo dell’impronta ecologica, anche se limitato solo al computo delle emissioni di anidride carbonica. Anche la metodologia è analoga: vengono prese in considerazione tutte le attività quotidiane dei cittadini che contribuiscono all’emissione di CO2. Nei prossimi giorni scenderemo nel dettaglio della ricerca, scopriremo i dati che lo studio ha portato alla luce e analizzeremo le contromisure da adottare in termini di mutamento delle nostre abitudini, iniziative di singoli e provvedimenti da parte delle istituzioni.

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.