Marlane Marzotto: il processo entra nel vivo

Con le testimonianze di due ex operai è partita la fase dibattimentale del processo alla Marlane Marzotto, la fabbrica tessile di Praia a Mare, nel cosentino, al centro di una vicenda giudiziaria per i decessi e le patologie tumorali contratte da oltre cento lavoratori.

Marlane Marzotto: il processo entra nel vivo
Sei udienze, una ogni quindici giorni, da ottobre fino alla fine dell'anno. È questo il calendario della fase dibattimentale del processo alla Marlane Marzotto, dopo la prima testimonianza, resa il 28 settembre, da Luigi Pacchiano, ex delegato del sindacato Slai Cobas e operaio presso la fabbrica, fino al 1995, quando è stato operato per un carcinoma alla vescica. Come lui, oltre un centinaio di lavoratori impiegati nello stabilimento hanno contratto patologie tumorali e ora - dopo 15 anni di indagini, tentate archiviazioni e un lungo elenco di udienze preliminari da quanto il processo è stato avviato, nell'aprile 2010 - sembra giunto il momento di fare luce sul nesso tra le malattie e i decessi degli operai e le condizioni di lavoro nella fabbrica. Pacchiano è stato interrogato per sei ore: ha raccontato di misure di sicurezza inadeguate, di buste di latte consegnate agli operai per disintossicarsi dai fumi delle sostanze legate ai processi di lavorazione, che si sprigionavano dalle vasche aperte e dai pozzi in cui i capi venivano immersi per la colorazione. Sostanze che, inalate, sarebbero, secondo la pubblica accusa, all'origine delle tante morti, insieme all'amianto dei freni dei telai. Ma le lesioni e l'omicidio colposo non sono gli unici reati contestati ai tredici imputati, tutti ex responsabili e dirigenti dello stabilimento: a questi si è aggiunto infatti il reato di disastro ambientale, dopo che i carabinieri del NOE (Nucleo Operativo Ecologico) hanno rinvenuto, dietro segnalazione di uno degli operai, morto pochi mesi fa, rifiuti tossici, tra cui cromo esavalente, seppelliti nell'area circostante la fabbrica. L'avvelenamento del territorio sarebbe infatti la strada imboccata dalla proprietà, insieme al conferimento in discarica di materiali che avrebbero richiesto ben altro trattamento, per smaltire gli scarti di lavorazione. Per questo la Procura aveva chiesto di effettuare uno screening sulla popolazione residente a ridosso della fabbrica, ma finora l'ordinanza è stata disattesa, osserva Alberto Cunto, coordinatore provinciale dello Slai Cobas di Cosenza ed ex lavoratore della Marlane, che con Pacchiano ha denunciato per primo la situazione nello stabilimento. E proprio Cunto è stato interrogato, insieme al tecnico ambientale della procura Emilio Osso, nell'udienza del 12 ottobre. Di nuovo, nel racconto del sindacalista, torna il quadro di un ambiente di lavoro saturo di fumo e polvere, l'assenza di sistemi di aerazione funzionanti e di dispositivi di sicurezza quali guanti e maschere. Anche per il management dell'azienda, finora contumace, auspica il sindacalista in una nota dello Slai Cobas, verrà il momento di andare alla sbarra e rendere conto del proprio operato. Altri non potranno raccontare la propria versione. Non potrà farlo l'ex tecnico della tintoria Marlane scomparso la scorsa settimana, ultimo della lunga lista di lavoratori deceduti.

Commenti

Questa vicenda è l'ennesima conferma della spregiudicatezza di alcuni (?), troppi imprenditori in un paese dove - d'altro canto - lo Stato si è dimostrato latitante nei controlli sull'ambiente e sulla salute dei lavoratori. Mi chiedo se non sia possibile conseguire profitti speculando sull'ambiente e sulle vite. E se la risposta dovesse essere negativa, allora bisogna ripensare daccapo l'organizzazione economica e sociale.
tiziana, 17-10-2012 12:17

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