Bioeconomia: Ue istituisce osservatorio su attività a basso impatto ambientale

La Commissione europea annuncia la creazione di un osservatorio dedicato alle attività economiche basate su un uso intelligente e sostenibile delle risorse naturali. Un'occasione anche per aggiustare il tiro rispetto ad alcune contraddizioni della strategia Ue in materia di bioeconomy lanciata un anno fa.

Bioeconomia: Ue istituisce osservatorio su attività a basso impatto ambientale
L'annuncio è arrivato durante la conferenza sulla bioeconomia di Dublino, dalla commissaria per la ricerca, l'innovazione e la scienza Máire Geoghegan-Quinn: la Commissione europea sta istituendo un osservatorio per monitorare i progressi delle attività che rientrano nella bioeconomy e valutarne l'impatto sull'economia complessiva dell'Unione. L'iniziativa era già prevista nell'ambito della strategia “Innovating for Sustainable Growth: a bioeconomy for Europe”, lanciata nel febbraio scorso per promuovere investimenti e politiche a favore della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo di competenze per la bioeconomia. Un termine che raccoglie una vasta gamma di attività produttive fondate sull'uso intelligente delle risorse biologiche rinnovabili, ma anche dei rifiuti, e vale, secondo Bruxelles, 2mila miliardi di euro per 22 milioni di posti di lavoro. Coordinato dal centro comune di ricerca della Commissione, l'osservatorio sarà attivo per tre anni, a partire da questo mese, e dal 2014 disporrà anche di un portale web per la divulgazione dei dati raccolti. Il suo compito sarà quello di valutare e facilitare lo scambio di informazioni circa le politiche - a livello comunitario, nazionale e regionale - dirette alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, in linea con gli obiettivi della tabella di marcia Ue per il 2050. Sotto la lente, quindi, le strategie di sviluppo degli Stati membri, gli investimenti pubblici e privati nei settori coinvolti, le innovazioni rese disponibili dalla ricerca per ridurre la pressione sulle risorse naturali. Il tutto, almeno nelle intenzioni, secondo un approccio olistico, cercando cioè di riconoscere le interconnessioni tra le politiche realizzate nei diversi settori produttivi, dall'agricoltura all'energia, fino alla manifattura. È l'approccio che l'Europa dice da tempo di voler adottare, ma che poi sembra incapace di seguire fino in fondo e il caso della bioeconomia non sembra fare eccezione: che intende, ad esempio, la strategia Ue quando parla di “intensificazione sostenibile della produzione primaria”? Come si conciliano i dati secondo cui gli allevamenti zootecnici hanno impatto significativo in termini di consumo di risorse e di emissioni di protossido di azoto e metano in atmosfera con la prospettiva di modelli di produzione di carne più intensivi? E ancora: qual è il guadagno della proposta, in discussione in questi mesi, di abbandonare gradualmente il biofuel agricolo – che sottrae terreni rurali all'agricoltura - per passare a biocarburanti ricavati dalla combustione dei rifiuti? L'incenerimento non è forse, nella strategia comunitaria sui rifiuti, l'ultima opzione insieme al conferimento in discarica per il trattamento degli scarti? L'osservatorio è probabilmente un'occasione per riconoscere questo tipo di contraddizioni e per rivedere le politiche europee in modo che sicurezza alimentare, contrasto al cambiamento climatico e creazione di posti di lavoro non diventino obiettivi che si insidiano a vicenda. La pubblicità dei dati, inoltre, ha il doppio valore di rappresentare uno stimolo a una competizione positiva tra gli stati membri nel campo della bioeconomia e un modo per accrescere la trasparenza nei confronti dei cittadini. Non solo sui risultati, ma anche sulle strade scelte per arrivarci, e sui criteri con cui i governi e le istituzioni Ue misurano il successo delle proprie politiche.

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