Medicina ambientale: la ricetta del medico è saperne di più

Diversi studi testimoniano il legame tra situazioni ambientali, quali elettrosmog, OGM, muffe, sostanze chimiche, e l'insorgere di patologie. In Italia se ne parla ancora poco, ma qualcosa si muove. Ce lo racconta Antonio Maria Pasciuto, membro del Consiglio Direttivo di Europeam, l'Accademia europea di medicina ambientale, e fondatore di Assimas, l'Associazione Italiana Medicina Ambientale e Salute.

Medicina ambientale: la ricetta del medico è saperne di più
“Non si può più fare finta di niente”. Così Antonio Maria Pasciuto, medico specializzato in Medicina interna e da trent'anni impegnato sul fronte della medicina ambientale, spiega l'importanza di far circolare il sapere medico sugli effetti che determinati agenti ambientali, con cui tutti noi entriamo in contatto, possono produrre sull'organismo. L'elenco va dagli insetticidi e i pesticidi alle nanoparticelle, dai metalli pesanti ai coloranti e conservanti, dall'elettrosmog agli OGM. Per approfondire questo interesse, negli anni Ottanta Pasciuto va in Germania: qui incontra l'European Academy for Environmental medicine e si forma in quella che lui definisce non una nuova branca del sapere medico, ma un approccio trasversale alla medicina. “Tanti sintomi in tutti gli ambiti della medicina – spiega infatti Pasciuto - sono generici e spesso scambiati per diagnosi. Pensiamo alla cefalea: se non si rintracciano le cause, ci si ferma a terapie sintomatiche e il problema resta”. Ma per rintracciare le cause, occorre essere informati su quali siano i rischi connessi all'esposizione a diverse sostanze e contesti e anche quelli che possono derivare dalla loro combinazione. Da qui nasce il progetto Assimas, l'Associazione Italiana Medicina Ambientale e Salute, che nei prossimi mesi avvierà una serie di iniziative per informare i cittadini e formare il personale sanitario interessato alla medicina ambientale. “Un medico deve sapere che la tosse può essere dovuta alla presenza di formaldeide o l'ipertensione a metalli pesanti, per pensare di verificare queste connessioni”, spiega Pasciuto, ricordando però che il metabolismo delle sostanze presenti nell'ambiente dipende anche dalla suscettibilità e vulnerabilità dei singoli: “Se è vero che la maggior parte delle patologie è connessa a sovraccarichi che ci vengono dall'ambiente, di tipo fisico, chimico e sociale – chiarisce Pasciuto - questo non significa che tutti finiranno per ammalarsi nella stessa misura se esposti alle stesse pressioni. In gioco c'è sempre un equilibrio tra ambiente, genetica e capacità di adattamento dell'organismo”. A partire da questo presupposto, il presidente di Assimas contesta il principio della dose massima tollerabile rispetto a certe sostanze, calcolata generalmente in base a studi su animali non umani. “Una sostanza non entra mai in contatto con l'organismo isolatamente, ma sempre insieme a tante altre, spesso sconosciute ai nostri corpi. Corpi che tra l'altro affrontano nell'arco di una vita l'incontro con tante sostanze sempre nuove, ad una velocità sconosciuta nel passato”. Le possibilità di adattamento sono fortissime, aggiunge Pasciuto, ma non inesauribili. La medicina ambientale propone allora un'alternativa all'approccio statistico che va sempre più affermandosi e che individua automaticamente, in presenza di certi valori, il farmaco valido, e quindi impone una regola ai nostri corpi, per tutti la stessa. Ma medico e farmaco, osserva Pasciuto, non dovrebbero sostituirsi a ciò che dice il nostro corpo: “Se, in senso etimologico, la terapia è servizio, cura, il therapon è il compagno d'armi, l'aiutante”. Se partiamo dall'idea che non ci sono risposte valide per tutti e che la salute è uno stato dinamico, la medicina ambientale rappresenta quell'allargamento di prospettiva necessario per far fronte all'emergere di patologie croniche che ormai diversi studi hanno messo in relazione alle crescenti pressioni che ci vengono dall'ambiente e all'introduzione di nuovi materiali. Un caso su cui il dottor Pasciuto si sofferma è quello delle nanoparticelle: i rischi non sono ancora chiari, ma varrebbe la pena attenersi al principio di precauzione, per evitare quanto avvenuto con l'amianto. “Oggi conosciamo i pericoli dell'asbesto, ma quando non si conoscevano non c'è stata nessuna accortezza e oggi lo troviamo ovunque”. Non si tratta di difendersi a priori da innovazioni che possono rivelarsi molto utili, spiega Pasciuto, ma “cautela vuol dire non attendere che il pericolo sia dimostrato al cento per cento per valutare delle alternative e assicurare un'informazione adeguata al consumatore”. In Germania, ad esempio, continua Pasciuto, si sta già lavorando a modificare la legislazione perché la presenza di nanoparticelle sia comunicata in etichette e imballaggi. In questo modo chi compra è anche in grado di inviare all'industria segnali di quello che non va e di incentivarla ad adeguare l'offerta.

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