Congo: sempre più aspre le guerre per il coltan

Avevamo già trattato la questione coltan, in passato. È però triste e necessario constatare come la situazione nella Repubblica Democratica del Congo non sia affatto migliorata. Anzi, con la crescita continua delle vendite mondiali di apparecchi elettronici come cellulari, ipod e pc, i problemi legati all’accaparramento di questa preziosa risorsa si stanno ulteriormente aggravando.

Congo: sempre più aspre le guerre per il coltan
Il termine coltan deriva dalla contrazione dei nomi dei due minerali che lo compongono: columbite e tantalite, entrambi fondamentali per l’industria dei prodotti tecnologici. Basti pensare che il 60% di tutto il tantalio prodotto viene utilizzato per fabbricare i condensatori di telefoni, computer portatili, lettori mp3 e molto altro. È vero che condensatori di questo tipo rendono gli stessi apparecchi più efficienti, anche a livello energetico, ma l’impatto ambientale e soprattutto sociale che sta dietro alla produzione di questi giocattoli sempre più importanti nella nostra quotidianità (come il computer da cui il sottoscritto sta scrivendo) è francamente assurdo, e sotto molti aspetti inaccettabile. La Repubblica Democratica del Congo, con i suoi 62 milioni di abitanti, è il terzo Paese più grande dell’Africa. Nonché uno dei più ricchi di risorse: foreste, rame, oro, diamanti e soprattutto coltan, appunto, di cui il Paese centro-africano possiede l’80% di tutte le riserve mondiali. Una smisurata ricchezza che alle popolazioni locali, però, non ha portato alcun vantaggio, regalando invece lunghi anni di espropri, distruzione e guerre civili. In una singola parola: morte. Non si contano più le guerre fratricide per il controllo dei territori che custodiscono le più importanti riserve naturali del Paese. Guerre che, in realtà, sono ormai sia civili che internazionali, che interetniche. I gruppi coinvolti in questi conflitti, infatti, vedono il coinvolgimento di attori militari (spesso neppure 'legali'), ma anche di clan che si spartiscono le zone in questione. Sta di fatto che, fino al 2003, le stime più attendibili parlano di 200mila persone uccise dai diversi gruppi armati, e di quasi tre milioni di morti dovuti alle malattie e alla malnutrizione generate da questa incredibile situazione. Altra terribile conseguenza di ciò è che in Congo solo il 60% dei bambini supera i cinque anni di età. La maggior parte dei problemi sono però riscontrabili nella zona del lago Kivu, particolarmente ricca di biodiversità, dove i conflitti interetnici hanno appunto lasciato spazio a quelli per il controllo delle risorse. Lì, la maggior parte delle riserve di coltan si trova in zone forestali ed agricole, ma anche all’interno di alcuni parchi nazionali. Non stupisce dunque sentire parlare di espropri forzati, né tanto meno di un florido mercato illegale di questo minerale, in un Paese letteralmente piagato dalla corruzione. Le miniere abusive di coltan si stanno moltiplicando di anno in anno, sotto l’indifferenza delle istituzioni locali e sotto il controllo di multinazionali e bande armate, i cui guerriglieri, attraverso mediatori stranieri, rivendono sul mercato nero il prezioso minerale. Ma i lauti guadagni di queste attività illecite ne foraggiano di nuove: i ricavi provenienti dalla vendita del coltan, infatti, generalmente non vanno a finanziare opere utili alla popolazione locale, ma l’acquisto di altre armi, che ne aggravano ulteriormente la condizione. Secondo l’Onu sono ormai chiari i legami tra questi gruppi armati e le imprese straniere, in una rete ben definita che arriva ai destinatari più importanti di coltan: molti Paesi europei e nordamericani, presi dalla frenesia di acquistare in quantità sempre maggiori apparecchi elettronici che non potrebbero funzionare come fanno senza il minerale africano. Fra le popolazioni locali maggiormente colpite dagli sfollamenti e dagli espropri forzati eseguiti impunemente da imprese e forze governative, ci sono i pigmei. Questi, residenti per lo più in aree forestali, hanno più volte denunciato alla comunità internazionale la svendita o più spesso il saccheggio dei loro territori, ma la situazione non è mai cambiata in meglio, anzi. Persino le condizioni di chi in queste miniere ci lavora sono terribili. Molti minatori sono spesso abusivi, e con il lavoro che fanno sono esposti, senza nessuna forma di protezione o di tutela, a sostanze e polveri tossiche se non addirittura radioattive (come l’uranio), presenti in diverse proporzioni nei minerali prelevati. Fra queste persone, di conseguenza, come del resto fra quelle che vivono a ridosso degli scavi, è stato riscontrato un aumento nell’incidenza di tumori. Insomma, mentre nel ricco e civile Occidente siamo sempre più schiavi di apparecchi di cui in realtà abbiamo fatto benissimo a meno fino a pochi anni fa, in alcune parti del mondo le persone si vedono nel migliore dei casi levare la propria terra da sotto il naso. E mentre la produzione di coltan continua ad aumentare, noi ci dimentichiamo del fatto che le nostre azioni, le nostre scelte e i nostri 'consumi' hanno sempre delle conseguenze. Spesso in luoghi molto lontani da casa nostra. Ciò non significa che dobbiamo vivere di stenti o perennemente logorati dai sensi di colpa, ma che all’uscita dell’ennesimo aggeggio che ci propinano come il migliore mai creato, potremmo capire di vivere bene anche senza acquistarlo. E alla faccia della crescita, del PIL e del rilancio dei consumi tanto cari agli squali più o meno tecnici che ci governano, potremo pensare di avere evitato, una volta tanto, di foraggiare la mafia internazionale legata allo sfruttamento indiscriminato delle risorse e dei popoli schiavizzati dal nostro progresso.

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