'Se niente importa', un insieme di fatti e di storie

L’ultimo libro di Jonathan Safran Foer, 'Se niente importa', è colmo di dati sull’allevamento degli animali terreni e acquatici. Un saggio che, a detta dell'autore stesso, più che essere un manifesto per il vegetarianesimo è un insieme di fatti e di storie.

'Se niente importa', un insieme di fatti e di storie
"Anch’io pensavo che il mio libro sul mangiare gli animali sarebbe divenuto un manifesto schietto per il vegetarianismo. Non è stato così. Un manifesto schietto per il vegetarianismo merita di essere scritto, ma non è quello che ho scritto qui". Queste alcune frasi dalle pagine introduttive di Se niente importa (1)(titolo originale: Eating Animals) di Jonathan Safran Foer, uscito in Italia a febbraio 2010 presso Guanda editore. Lo scrittore americano Foer, tradotto in 36 lingue, è conosciuto soprattutto per il romanzo Ogni cosa è illuminata da cui è stato tratto l’omonimo film. Anche quest’ultimo libro - che tratta sia di salute, sia di ambiente, sia della difficoltà di nutrire la popolazione mondiale - ha riscontrato un certo successo: a settembre è stato presentato in varie università americane tra cui quelle di Yale e di Harvard. Perché uno scrittore di romanzi bestseller dovrebbe scrivere un saggio sul vegetarianismo? Foer spiega, che quando ha saputo che sarebbe diventato padre, ha deciso di porsi definitivamente il problema di mangiare gli animali oppure no. Non sarebbe stato in grado di spiegare a suo figlio perché 'usiamo' alcuni animali come cibo e altri come compagni di vita. "Anche se questo libro è il prodotto di un’enorme quantità di ricerca, ed è tanto oggettivo quanto un lavoro giornalistico lo possa essere […] lo vedo come una storia. […] I fatti sono importanti, ma non riescono, da soli, a fornire significato – soprattutto quando sono talmente legati a scelte linguistiche: che cosa significa la soglia del dolore dei polli misurata con precisione? Significa dolore? Che cosa significa dolore?". Anche una quantità di dati infinita non ci farà comprendere il dolore, "ma congiungi i fatti a una storia […] una storia sul mondo in cui viviamo, su chi siamo e su chi vogliamo essere – e puoi iniziare a parlare significativamente di mangiare gli animali". Foer racconta dunque varie storie, partendo da quella di sua nonna, una donna ebraica che durante la seconda guerra mondiale si trovava in Europa: "Mi ammalavo sempre più dalla mancanza di cibo […] Non ero troppo altezzosa per mangiare dalle pattumiere, mangiavo anche le parti che altri rifiutavano […] Ho mangiato cose delle quali non ti posso raccontare". Ma quando un contadino russo le offerse della carne di maiale, lei rifiutò, Foer le chiede: Perché non era kosher? Certo. Ma neanche per salvare la tua vita? Se niente importa, non c’è nulla da salvare. In seguito lo scrittore racconta brevemente la storia del suo cane George. Perché non ci verrebbe mai in mente di mangiare un cane? I cani sono degli animali intelligenti e sensibili, ma non più dei maiali, che invece mangiamo con la coscienza pulita. Si tratta dunque non di una scelta logica, ma di una tradizione culturale, Foer lo dimostra così: I francesi, che amano i loro cani, a volte mangiano i cavalli. Gli spagnoli che amano i loro cavalli, a volte mangiano le mucche. Gli indiani che amano le loro mucche, a volte mangiano i cani. Foer conclude il passaggio citando La fattoria degli animali di Orwell, (ammettendo però, che il contesto è un altro): "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri". Dunque nella cultura occidentale i cani non si mangiano. Milioni di cani e gatti ‘americani’ che muoiono tramite eutanasia ogni anno diventano il cibo del nostro cibo: la loro carne viene ad esempio somministrata alle mucche. Esse sono indubbiamente ‘vegetariane’ di natura, ma non resta loro che mangiare quello che mettiamo a disposizione noi. Così il criterio "mangiamo solo animali erbivori" (o al massimo onnivori), che guida inconsapevolmente molte culture occidentali, non è più valido. E allora, invece di usare cani e gatti come cibo del nostro cibo, perché non li mangiamo direttamente? "Per chi è già convinto, ecco una ricetta filippina - ironizza Foer - stufato di cane: innanzitutto uccidete un cane di media grandezza, poi bruciate il pelo su un fuoco vivo. Staccate attentamente la pelle finché è calda […]". "Se hai difficoltà a vedere qualcosa - commenta in seguito Foer - guarda leggermente al suo lato […] Mangiare gli animali ha una qualità invisibile: pensare ai cani e alla loro relazione con gli animali che mangiamo, è un modo di guardare obliquamente e rendere così visibile qualcosa di invisibile". Il libro, però, non parla solo ‘obliquamente’ dei cani, ma anche direttamente degli animali che mangiamo: in che ambienti vivono, le quantità di antibiotici che vengono loro somministrati e come vengono uccisi. Foer parla sia degli esseri cresciuti in modo ‘umano’ o ‘dignitoso’, sia degli allevamenti e della pesca industriali: "Ficcare un crocco nel fianco, nelle pinne o anche nell’occhio di un pesce crea un’impugnatura sanguinosa ma efficiente per tirarlo a bordo. […] Quanto distano da noi i pesci (o le mucche, i maiali e i polli) nel regno degli animali? La distanza o la somiglianza sono persino rilevanti? […] Se un giorno dovessimo incontrare una specie più potente e più intelligente di noi, e se questa ci guardasse come noi guardiamo un pesce, quale sarebbe il nostro argomento per non venir mangiati?". 1. Traduzione italiana di "Se niente importa" a cura di Irene Abigail Piccinini

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