Il movimento delle città in Transizione

Transizione: in un mondo di scarsità energetica, il nostro bene più prezioso sono le relazioni umane. Se volete riassumere in poche parole questo movimento che non si fa riassumere, potrebbero andare bene queste. Ieri sera ne ha parlato anche Report, noi da tempo siamo in contatto con le realtà che ne fanno parte e che contribuiscono a rendere la decrescita una strategia di cambiamento concreta.

Il movimento delle città in Transizione
Il Movimento delle città in Transizione, o delle Transition Towns, nasce nel 2005 in un angolo dell’Irlanda, il paesino di Kinsale, idillica via di mezzo tra le brughiere del Nord e una specie di Cinque Terre con yacht e baia, resa unica dalla presenza di una scuola di Permacultura (se non sapete cos'è la permacultura portate pazienza, ne parliamo la prossima volta). Qui insegna un giovane ex-pubblicitario inglese, Rob Hopkins, che un giorno decide di far vedere ai suoi studenti un film di cui gli hanno parlato bene, una produzione americana che si chiama The End of Suburbia. Ed è qui che il nostro eroe dalle orecchie a sventola ha il suo 'Peak Oil Moment': insieme a tutti i suoi studenti torna a casa sconvolto e depresso all’idea che il nostro mondo, così com’è, non può andare avanti. Lo dicono i limiti fisici di un pianeta tondo su cui si cerca di fare lo sviluppo lineare. Lo dicono gli ambientalisti da decenni. Ma a molta gente, incluso Rob, il concetto che "porta a casa" l'idea di quanto questo modello di sviluppo sia in crisi, è capire come funziona il picco del petrolio. Il picco del petrolio in breve: - il petrolio è una sostanza straordinaria, contenente un'energia superiore alle nostre immaginazioni. Ci ha permesso di arrivare a livelli mai visti prima nella storia di prosperità economica, produzione alimentare, crescita demografica, interconnessione, ricerca, movimento di persone, beni e così via; - la nostra attuale società è completamente dipendente dal petrolio. Sul petrolio e sugli idrocarburi in genere si basano trasporti (e trasportiamo ogni cosa), produzione energetica, agricoltura (fertilizzanti, macchinari…), materie plastiche, medicinali, comunicazioni… tutto. una società dipendente da una sola sostanza non è resiliente: in caso di shock non può adattarsi al cambiamento; - siamo arrivati al picco della produzione petrolifera mondiale, probabilmente un paio di anni fa (ci sono motivi politico-strategici per cui saperlo di preciso è difficile). L'era del petrolio facile a buon mercato - e quindi dell'energia facile a buon mercato, è finita; - e dopo? E dopo deve cominciare per forza di cose la decrescita. Qualcuno deve uscirsene con un piano, o meglio con una moltitudine di piani, per preparare individui, comunità, città e nazioni al dopo-picco. Senza poi dimenticare il modo in cui questa questione delle risorse si interseca con il cambiamento climatico. Più idrocarburi buttiamo in atmosfera, più incerto diventa il nostro futuro sul pianeta. Un circolo vizioso che ci obbliga ad immaginarci un'altra via. Torniamo quindi a Rob, che dopo poco ritroviamo a casa sua, nel Devon, in Inghilterra, dove comincia a cercare di accorpare pezzi di metodologia presi da varie fonti, dal marketing alla psicologia, all'ecologia profonda, per vedere quali ingredienti poter mettere insieme per costituire un percorso di discesa energetica condiviso e partecipato, a partire dall'esistente. Quest’ultima questione, 'partire dall'esistente', non è un dettaglio da niente. Il percorso di transizione si differenzia qui dal 'cugino' movimento degli ecovillaggi, asserendo che a fianco di esperienze che fondano comunità in un certo senso 'partendo da zero' vanno necessariamente creati anche percorsi che lavorano sulla comunità esistente - e sui talenti, le conoscenze e le capacità che in quella comunità già ci sono. Nasce così il Manuale pratico della Transizione (che si trova anche in Italiano, pubblicato da Arianna Editrice), un potente riassunto di buone pratiche da applicare 'dal basso' per immaginare, insieme ai propri vicini, il futuro della propria comunità. Partendo da una cognizione informata di come stanno le cose nel nostro mondo oggi, ed unendo a questa lucidità un forte senso dell'importanza di una visione positiva. E poi lavoro sul gruppo, con strumenti di democrazia partecipata, come l'Open Space, che rimettono le decisioni nelle mani della saggezza che nasce dall'unione di tante teste, tutte diverse. Molte attività pratiche, per riappropriarsi del 'saper fare' che ci sosteneva in tempi di scarsità e ci arricchiva la vita, sempre (l'abbondanza è al supermercato o nelle marmellate fatte a mano?). E anche una transizione personale, interiore, perché se al cuore della nostra forza ci sono le reti di persone questo significa apertura verso gli altri, inclusione e confronto, tutte cose che possono spaventare e metterci in crisi. Ma sempre con il sostegno del gruppo, perché in un gruppo si cambia meglio e con meno fatica, spezzando il senso di isolamento e di impotenza che spesso accompagna la vita di chi vuole avere una parte attiva nella società. In Italia le città di Transizione sono oggi una dozzina (ma tantissimi altri sono i posti dove "ci stanno pensando"), a partire dal paese 'pioniere', Monteveglio (BO), dove si organizzano incontri, corsi, orti, progetti e convegni e dove anche il consiglio comunale è entrato, con una storica direttiva, 'in transizione' (ma, attenzione, è stato il Comune ad aderire, rispondendo ai positivi risultati ottenuti dall'associazione). Il blog di riferimento della rete nazionale è Transition Italia, dove si possono trovare informazioni, risorse, video, approfondimenti e un calendario degli appuntamenti... e qualche idea per come cominciare a fondare un gruppo di transizione nella propria zona. Una delle prime realtà ad aderire, San Lazzaro di Savena, ha cominciato formando un gruppo di lettura per approfondire insieme il Manuale di Hopkins. In molte altre esperienze si è partiti dai cineforum, incontrandosi per vedere e poi discutere di un documentario (geniali i Transition Kino di Ferrara), oppure sono stati i GAS ad aggiungere gruppi di transizione alle proprie attività, mentre dalla rete nazionale si sono rese disponibili persone per tenere Transition Talks, ovvero incontri di presentazione (il contagio tra gruppi vicini è fondamentale). Ma a Lame, un quartiere di Bologna (eh già perché ci sono Città di Transizione ma anche Transition Paesi, Isole... e Quartieri) sono invece partiti dal teatro, per cercare nella creatività l'energia per progettare la discesa energetica e perché, come ho sentito dire in un’intervista da un membro di Transition Japan, "if it's not fun, it's not sustainable" (se una cosa non ci fa stare bene, se non ci divertiamo facendola, ma come può essere sostenibile?)

Commenti

Credo molto interessante l'esperienza del dott Hopkins e sono convinto che il sistema vada divulgato. Ritengo questo un modo serio e concreto di "inizio di cambiamento" e non solo sterile utopia. Dobbiamo tutti comprendere che non solo è utile cambiare, ma credo proprio che non ci siano altre alternative nel futuro prossimo. Avendo commentato in modo diverso l'articolo sulle università occupate, è questa una chiara testimonianza che si può cambiare mettendo al bando i "bla bla bla" valorizzando, in alternativa, preparazione, conoscenza e volontà di fare in modo CONCRETO.
angelo, 18-12-2010 10:18
mi piacerebbe sapere se ci sono gruppi transition in Romagna magari tra Cesena ed Rimini.Le citta' di transizione possono nascere solo dove il comune lo permette? Le amministrazioni locali sia in Italia che all'estero sono predisposte alle iniziative anche se non possono lucrarci ?MI sembrerebbe molto, ma molto strano, almeno in Italia
agostino, 18-12-2010 03:18
ciao Agostino, qui trovi la mappa (in fondo al post) delle iniziative o mullers(intenzionati a partire)
Glauco, 18-12-2010 11:18
Ciao Agostino - come ha gia' scritto Glauco il consiglio e' cercare sulla mappa e contattare le persone interessate piu' vicine a te. Eventualmente se hai difficolta' puoi rivolgerti al network italiano che sapra' a chi indirizzarti. Il processo di transizione e' ideato per partire dal basso, da gruppi di cittadini che lavorano per attivare il cambiamento nel proprio comune/quartiere/borgo/paese; naturalmente l'appoggio delle amministrazioni comunali, se c'e', facilita le cose, ma il suggerimento e' di aspettare finche' l'iniziativa e' tanto partecipata da attirare l'interesse degli amministratori, cosa che di solito a un certo punto succede perche' un'iniziativa di transizione crea uno spazio di cittadinanza diverso, e questo e' interessante (anche) per gli amministratori. La dichiarazione "questa citta' e' in transizione" non presuppone nessuna targa messa su all'ingresso, se poi il Comune volesse aggiungerla... ben venga!
Deborah RM, 19-12-2010 09:19
mancava il link.... http://transitionitalia.wordpress.com/2010/12/12/report-e-limiti-dello-sviluppo/
Glauco, 19-12-2010 01:19

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.