Transizione, decrescita e politica nelle campagne elettorali (Terza parte)

Dall'energia alla fame nel mondo, dai comfort all'egoismo, dalla globalizzazione al picco del petrolio. Questi i principali argomenti che vengono sollevati da chi si pone degli interrogativi sull'approccio che il movimento della transizione/decrescita adotta nei confronti di un futuro che ancora non si vede, ma già esiste nell'immaginazione di molti. Ecco alcune brevi risposte alle più comuni domande.

Transizione, decrescita e politica nelle campagne elettorali (Terza parte)
Questo articolo, che pubblichiamo in tre puntate, è tratto da 'Breve guida per i confronti elettorali di Transizione', 'A Draft Guide for Holding Transition Hustings' by Rob Hopkins, Peter Lipman, Ciaran Mundy Jules Peck, Alexis Rowell e Shaun Chamberlin (Transition Network 2010). La traduzione in italiano è di Erica Giuliani. La revisione e l' adattamento sono a cura di Dario Tamburrano. Parte I: strategie di confronto elettorale Parte II: quanto sono resilienti i vostri candidati politici? Parte III: le 10 domande più comuni a chi parla di transizione/decrescita nei confronti elettorali Nel corso della vostra campagna elettorale, è probabile che vi vengano fatte delle domande sull'approccio della Transizione (e della Decrescita, n.d.r.). Qui, abbiamo provato a dare delle risposte concise alle domande più comuni... Ma sicuramente la tecnologia ci aiuterà ad uscire da questa situazione, prenderemo l'energia che ci serve dal nucleare/fusione fredda/alghe/Elio 3 sulla luna... Per questa volta, le banche inglesi sono uscite intatte dalla stretta creditizia. Per salvare il nostro sistema bancario dal collasso, ci siamo tuffati nel debito, ancora più a fondo di quanto fossimo in precedenza. Purtroppo, questa mentalità dell'indebitamento ha contagiato anche il nostro modo di ragionare sull'energia. Continuare a credere a sistemi energetici immensi, costosi e centralizzati, come il nucleare, non ci aiuta a diventare resilienti. Di fatto, si prendono in prestito risorse dal domani, in cambio di un lascito di rifiuti tossici che dovranno essere manutenuti con molta meno energia di quanta ne abbiamo a disposizione oggi. Non c'è nessuna fonte magica di energia che sia economica, sostenibile, a bassa emissione di carbonio, e in grado di funzionare in un mondo meno interconnesso di quello attuale. Siamo di fronte ad una problematica che è più profonda della sola scelta di quale fonte energetica usare. Ci stiamo avvicinando ai limiti, dal momento che siamo 7 miliardi di persone su un pianeta limitato. Per logica, le fonti energetiche del futuro dovranno essere gestite localmente, meno centralizzate e a bassa emissione di carbonio: ma se vogliamo affrontare la realtà, il vero nodo della questione è che dobbiamo ridurre la quantità di energia che usiamo oggi. [Citazione a margine: “Il collasso dell'economia è una cruda metafora del collasso di alcuni dei nostri sistemi di valori. L'individualismo è stato quasi innalzato a religione, l'apparenza resa più importante della sostanza. L'unica speranza è che vengano rimessi in discussione i valori secondo i quali abbiamo vissuto negli ultimi 30 anni”. Ben Okri] [Citazione a margine: “Cosa potrebbe cambiare la direzione della nostra civiltà? Sono profondamente convinto che la sola opzione è un cambiamento nella sfera dello spirito, nella sfera della coscienza umana. Non basta inventare nuove macchine, nuove leggi, nuove istituzioni. Dobbiamo sviluppare una nuova comprensione del vero scopo della nostra esistenza sulla Terra. Solo attraverso questo fondamentale cambiamento di prospettiva potremo creare nuovi modelli di comportamento e una nuova base di valori per il pianeta”. Vaclav Havel] [Altra citazione alternativa/supplementare: “Non puoi risolvere i problemi energetici di oggi con le nuove tecnologie di domani”. Un partecipante alla conferenza di Jeddah] Ma la rilocalizzazione del cibo in Occidente non porterà la fame nel Sud del mondo? Parlando di rilocalizzazione, alcuni credono che se l'Occidente diventerà più resiliente, rafforzando la sicurezza alimentare nazionale, ricostruendo fabbriche locali, eccetera, ciò porterà automaticamente ad un impoverimento dei paesi in via di sviluppo. Non è così. Pensate forse che il Sud del mondo uscirà dalla povertà se continuerà a smantellare la sua resilienza alimentare e se aumenterà la sua dipendenza dal commercio globale, che a sua volta dipende essenzialmente dal petrolio a basso costo, sul quale non possiamo più contare? Per uscire dalla povertà davvero si ritiene fare affidamento su un qualcosa che sia così inaffidabile? Piuttosto che un incontro tra insediamenti umani ignoranti, improduttivi, dipendenti e vulnerabili, noi desideriamo una collaborazione tra comunità capaci, ricche, produttive, autosufficienti e resilienti. È la qualità del rapporto che è molto differente e che potrebbe essere di beneficio a tutti. Negli ultimi anni abbiamo iniziato a vedere chiaramente i risultati dell'aver vincolato i paesi in via di sviluppo alle reti alimentari dell'economia globale, con il prezzo del cibo che sale di pari passo con quello del petrolio e dei fertilizzanti. In realtà, la Rete di Transizione/Decrescita crede che vincolare i produttori del Sud del mondo al sistema globale li espone sia a crisi economiche che alimentari. Ma io lavoro tanto e voglio godermi la vita. Non ditemi che non devo volare, o guidare, comprare quello che voglio, o i prodotti economici del supermercato. Lo fanno tutti, perché io non dovrei? Dall'avvento dei combustibili fossili, ci sono stati grossi benefici per gli abitanti dei paesi industrializzati. Ma negli ultimi 50 anni, abbiamo visto crescere le disuguaglianze, aumentare i problemi di alcol e droga, e la disgregazione dei rapporti familiari. Tuttavia, nessun movimento per il cambiamento durerebbe a lungo se la gente non vedesse la sua vita migliorare quando entra a farne parte. È vero che sembra molto difficile abbandonare alcune cose, ma insieme possiamo creare delle comunità e una società che riconosca l'impatto del nostro stile di vita sugli altri e sull'ambiente. Sappiamo che, per molte persone, i valori e i legami della comunità e della famiglia, così come il contatto con la natura, contribuiscono molto al benessere e possono aiutare la società a funzionare meglio in quest'epoca di cambiamento. La pubblicità martellante e il filtro dei media rendono difficile far arrivare questo messaggio, ma la verità è che è un messaggio positivo. Vivere in maniera semplice, più lentamente, usando meno risorse, facendo più attività fisica e rafforzando i legami familiari e comunitari ci può rendere felici, oltre ad essere un adattamento fondamentale in un mondo senza combustibili fossili. Ma molte persone sono intrinsecamente egoiste. Non è realistico tentare di cambiare il loro modo di pensare ed agire, e portarli ad aiutare gli altri o l'ambiente. Certo, è sicuramente vero che tutti portano in sé la capacità di essere egoisti a volte. Ma altrettanto radicati in noi, e molto più importanti per la maggioranza delle persone, sono i nostri istinti sociali e cooperativi. Ci siamo evoluti come creature sociali, in grado di vivere in grandi gruppi cooperanti che funzionano al meglio attraverso una serie di valori condivisi come l'onestà, la compassione, la fiducia e un senso di appartenenza. Questi fattori sono spesso minimizzati nelle comuni descrizioni del Darwinismo o dell'efficienza dei mercati competitivi, ma la realtà è che, se non ci fossero valori condivisi e fiducia reciproca, la società non funzionerebbe affatto. In ogni caso, un numero sempre maggiore di persone si va rendendo conto di come la crisi energetica che si va profilando all'orizzonte causata dal picco del petrolio, andrà ad influenzare molti aspetti della loro vita quotidiana. In queste fasi di cambiamento, la gente cercherà supporto in relazioni sociali e familiari più strette ed interconnesse. Senza pensarci, noi già accettiamo un'ampia serie di regole, scritte e non scritte, nei rapporti in famiglia, con gli amici, i colleghi, i membri della nostra comunità e la società in generale. Queste regole non solo governano le nostre vite per garantire che ci comportiamo con decenza ed onestà, ma ci danno anche un senso di appartenenza e di scopo comune. È a questa capacità, la più alta del genere umano, ovvero la condivisione di un senso di appartenenza ed uno scopo, a cui dobbiamo fare ricorso per creare il nostro futuro. Ma abbiamo bisogno dell'economia, dopotutto, dipendiamo dal settore finanziario che ha dato impiego a più di un milione di persone nel 2008 e contribuisce notevolmente al prodotto interno lordo, ai posti di lavoro, alle entrate statali. [Citazione a margine: “Nei due decenni tra il 1988 e il 2008, il surplus commerciale generato dai servizi finanziari è esploso da meno di 5 miliardi di sterline a circa 38 miliardi, mentre il settore ha contribuito per circa il 14% alla tassazione nazionale”. The Ecology of Finance, New Economics Foundation, Novembre 2009] Affidarsi al settore finanziario è il classico esempio di rischio legato ad un sistema non resiliente. La recente crisi del sistema finanziario globale giunto prossimo al collasso, hanno dimostrato esattamente quanto sia facile che dei comportamenti in una parte del sistema, ne superino i confini e si abbattano su tutti noi. Possiamo permetterci di affidarci ad una ricchezza apparente, basata su derivati finanziari, che non hanno relazione alcuna col mondo reale dei limiti fisici e che possono essere spediti oltre confine alla sola pressione di un tasto? Per ironia, se si guarda al reale impatto di questi posti di lavoro generati nel mondo legato alla finanza, questo si rivela decisamente negativo. Secondo la New Economics Foundation, calcolando il ritorno sociale sulla base degli investimenti, “i maggiori banchieri della City, mentre incassano stipendi tra 500.000 e 10 milioni di sterline, distruggono 7 sterline di ricchezza sociale per ogni sterlina di valore generata”. Ma la Transizione/Decrescita è una fantasia borghese Sicuramente la Transizione/Decrescita è una fantasia, perché consiste nel creare una visione positiva del futuro e lavorare affinché si realizzi. Ma, come disse George Bernard Shaw: “Alcuni uomini vedono le cose come sono attualmente e si chiedono 'Perché?'. Io sogno cose che non sono mai esistite e dico 'e perché no?'”. La Transizione/Decrescita è inclusiva – tutti possono farne parte, devi solo volere una società migliore, più verde, più equa, ed essere pronto ad agire per costruirla. La Transizione/Decrescita attrae persone di tutti i tipi, con tutti i tipi di motivazioni. Alcuni sono convinti dal punto di vista intellettuale della necessità di un cambiamento. Altri vogliono coltivare il proprio cibo o imparare cose nuove. Alcuni vogliono sentirsi parte di una comunità. Chi viene dai settori meno agiati della società spesso ha più da insegnare riguardo a ciò che significa costruire una comunità forte, e più da guadagnare da quello che viene definito “Great Reskilling”, una riappropriazione di massa delle competenze, dato che non possono usufruire delle protezioni materiali alle quali ricorrono i più benestanti in caso di necessità. Rilocalizzare le economie significa operare in modo che i lavoratori, che creano la ricchezza da cui dipendiamo, facciano parte della medesima società nel ruolo di consumatori. In questo modo, lo sfruttamento dei lavoratori è molto più facile da riconoscere e prevenire. Non ha senso dire che i più poveri “hanno bisogno” di accedere ai beni o ai prodotti alimentari più economici, quando questo significa sfruttare ulteriormente altri lavoratori o causare danni a lungo termine alla loro terra, alle loro acque, o alla loro cultura locale. Alla fine sono i più poveri a subire le conseguenze più gravi quando la situazione diventa difficile, e sono proprio loro che hanno più bisogno di economie resilienti, che siano meglio preparate al cambiamento climatico e al picco del petrolio. Ma la globalizzazione è una cosa buona Le multinazionali guardano per prima cosa al profitto e al valore azionario. Questo le porta inevitabilmente ad insediarsi dove i fattori di produzione sono meno costosi, le leggi più elastiche e i margini di profitto maggiori. Quando la produzione e i servizi sono delocalizzati all'altro lato del pianeta, diventa praticamente impossibile sapere se i diritti umani sono rispettati e i lavoratori ricevono un salario dignitoso. Ogni cosa è ridotta al minimo possibile, laddove produrre o fornire qualcosa è il più economico possibile. E se domani un fattore di produzione diventa più costoso o le leggi più rigide, la multinazionale si sposterà altrove in un batter d'occhio. La globalizzazione ha reso le multinazionali più potenti di molti stati nazionali. Il loro scopo principale, per definizione, è massimizzare il profitto e il valore del proprio pacchetto azionario. Questa forma di comportamento sociale è profondamente antidemocratica, e, come ci dimostra chiaramente il cambiamento climatico, anche estremamente pericolosa per la salute di qualunque popolazione e per le altre forme di vita sulla terra. La globalizzazione aumenta il rischio, perché le filiere dell'approvvigionamento si allungano facendo affidamento sulla disponibilità di petrolio a basso costo. Quando il prezzo del greggio aumenterà, queste filiere diverranno più fragili e potrebbero interrompersi. È probabile che i disastri naturali causati dal cambiamento climatico avranno lo stesso effetto sulla produzione globale Just-In-Time [1]. Quanto più lunghe sono le filiere di produzione da cui dipendiamo, tanto meno è probabile che riusciremo a gestire la situazione se dovessero interrompersi. 1. Il just in time (spesso abbreviato in JIT), espressione inglese che significa "appena in tempo", è una filosofia industriale che ha invertito il vecchio metodo di produrre prodotti finiti per il magazzino in attesa di essere venduti (sistema "push") nel sistema "pull", per il quale occorre produrre solo ciò che è stato venduto o che si prevede di vendere in tempi brevi. (Wikipedia) Ma perché dovremmo preoccuparci visto che in Cina ogni giorno viene costruita una nuova centrale a carbone? La Cina e altri paesi con grossa disponibilità di carbone (come l'India) sono molto più vicini alla linea del fronte del cambiamento climatico rispetto al Regno Unito. Circa la metà del territorio cinese è minacciata dalla desertificazione. Se i ghiacciai dell'Himalaya inizieranno a sciogliersi, questo problema raggiungerà molto presto proporzioni gravissime. È vero che la Cina conta principalmente sul carbone grezzo. Ma le emissioni pro capite in Cina sono circa il 30% di quelle inglesi. E il dato cinese esclude le emissioni derivanti dalla produzione di tutti i prodotti che noi importiamo, invece di produrli noi stessi. Si stima che un terzo delle emissioni cinesi siano legate all'esportazione – in altre parole, sono emissioni nostre, tranne che per il nome. Sì, se la Cina dovesse utilizzare tutto il carbone che ha a disposizione, l'intero mondo sarebbe in guai seri. Ma non siamo nella posizione di poter sindacare, dal momento che storicamente abbiamo lasciato un'eredità di emissioni pro capite che la Cina è ben lungi dal poter raggiungere. I gas serra permangono nell'atmosfera per tempi molto lunghi. Ad oggi, l'Europa è responsabile del 30.6% e gli Stati Uniti del 27.2% delle sostanze presenti nell'atmosfera (emissioni cumulative di combustibili fossili nel periodo 1751-2008). La Cina è responsabile del 9,1%. Quando si considerano le emissioni cumulative pro capite (emissioni dagli inizi dell'industrializzazione, divise per la popolazione nel tempo), la Gran Bretagna, seguita a breve distanza dagli Stati Uniti, domina la classifica con poco più di 300 tonnellate di anidride carbonica a persona, poiché è stata il primo paese ad industrializzarsi. La Cina, con circa 10 tonnellate a persona, quasi non merita menzione. Sicuramente questo non risolve il problema delle nuove centrali cinesi a carbone, ma dovrebbe dare a noi occidentali una ragione in più per rimboccarci le maniche e trovare una soluzione al danno che abbiamo fatto. A ciò si aggiunge il fatto che la Cina è decisamente avanti rispetto ai paesi ricchi nello sviluppo di fonti di energia rinnovabile. La Cina ha più impianti eolici di qualunque altro paese del mondo. In un anno (2007) i nuovi impianti eolici installati sono 1,5 volte di più di tutti quelli mai installati nel Regno Unito. Noi, come appartenenti al mondo sviluppato, dovremmo tagliare rapidamente le nostre emissioni così che miliardi di persone nei paesi emergenti possano uscire dalla povertà, grazie ad una crescita sostenibile a breve termine. Se noi per primi non interveniamo rapidamente e su larga scala, perché mai la Cina dovrebbe fare lo stesso? È necessario che tutti noi agiamo per evitare di precipitare nel caos climatico. Ma se il prezzo del petrolio aumenta, le forze di mercato favoriranno investimenti alternativi come le sabbie bituminose e i derivati del carbone. Queste fonti dureranno per secoli e sono già alternative economiche valide. Questo significa che il picco del petrolio è ben lontano. L'idea che ci siano fonti di combustibile come le sabbie bituminose e i derivati del petrolio che dureranno “cent'anni o più”, sebbene si basi sulla scoperta di ampi depositi di queste sostanze, non è corretta. In realtà, la consistenza di queste fonti di petrolio “non convenzionale” è irrilevante, dal momento che altri ostacoli ne limitano l'effettivo utilizzo. Considerata la disponibilità locale di acqua, gas naturale, oleodotti, ecc. gli esperti prevedono che lo sfruttamento di tutte le forme di petrolio non convenzionale porterà ad un aumento di circa 2 milioni di barili al giorno nel prossimo decennio, indipendentemente dal prezzo del petrolio. Allo stesso modo, si stima che un improbabile programma di emergenza decennale su scala mondiale potrebbe incrementare la produzione di liquidi derivati dal carbone fino ad aggiungere altri 3 milioni di barili al giorno. Questi due dati insieme compenserebbero circa un quarto del calo di produzione di petrolio convenzionale prospettato nel prossimo decennio, ritardando relativamente la data del picco del petrolio.

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