La Milano da bere che affoga negli scandali

Inquinamento, caos, stress, costi altissimi, scandali: sono il risultato della "Milano da bere" che affoga nella sua assurdità, in una Pianura Padana che è fra le zone più inquinate del mondo. Forse è il caso di cambiare modello.

La Milano da bere che affoga negli scandali

Per convincere tutti che il consumismo e i relativi soldi erano la nuova fede si dovevano creare e diffondere dei modelli a cui aderire e la televisione era ed è il mezzo pubblicitario e propagandistico per eccellenza.
Negli anni Sessanta e Settanta grazie anche alla televisione che esaltava il cittadino, la città moderna ridicolizzava il povero abitante di campagna, dipinto come zotico e ignorante, il martellamento fu così forte che masse di immigrati si riversarono nelle città a garantire forza lavoro. Del resto in città c’erano “i signori” con i soldi in grado di comprare le merci che la televisione pubblicizzava. Quelle stesse merci che poi gli immigrati avrebbero prodotto, agognato e comprato per sentirsi signori anche loro.
La città con le sue luci, moderna, scintillante, scattante, falsamente attiva ma sopratutto alla moda; quindi chi meglio di Milano poteva incarnare questa farsa a scopo di lucro? E visto che per la società del consumismo i soldi sono tutto, la città della finanza doveva diventare il simbolo principale, infatti le capitali della finanza mondiale New York e Londra condizionano il mondo e per noi abbiamo Milano. Un modello fatto di spot, di edonismo, di niente sostanzialmente. Un niente trainato dai soldi al cui servizio erano e sono gli obbedienti servitori della politica. E dove se non nell’urbanistica dovevano convergere gli affari? Berlusconi infatti inizia la sua epopea proprio dal mattone e con uno stile di vita che trova il suo slogan pubblicitario perfetto negli anni ‘80 con “la Milano da bere”. Cosa ci avrebbe portato la Milano da bere, lo avremmo tragicamente sperimentato con il ventennio berlusconiano che, sempre grazie alla televisione, ha devastato la cultura oltre che il paese stesso.
Però i suoi pseudo antagonisti delle pseudo sinistre non hanno fatto certo meglio e hanno sposato gli stessi concetti e copiato in tutto e per tutto i modi di procedere, ovvero la città come luogo di saccheggio urbanistico per fare affari. Del resto con i prezzi tra i più alti d’Italia per qualsiasi cosa, a Milano il mattone diventa un business enorme che scatena altrettanto enormi appetiti. E così si costruisce all’impazzata, in alto, in basso, a destra, a sinistra, sopra, sotto, cemento ovunque. Si fanno i centri logistici, i grattacieli, i quartieri mostro, le Expo, le Olimpiadi e ogni altra follia assortita, ovvero mangiatoie infinite di soldi gentilmente offerte dagli stessi cittadini che continuano imperterriti a votare chi li spenna. Quando poi ci sono giunte comunali di pseudo sinistra, spesso vogliono pure far credere che si impegnano per l’ambiente, quando è evidente che hanno ben altri interessi e obiettivi che salvaguardare l’ambiente e quindi di conseguenza la salute dei cittadini.
Adesso per l’ennesima volta la magistratura fa venire alcuni nodi al pettine; ma siamo sicuri che (qualsiasi cosa esca fuori dalle inchieste milanesi recenti, che vedono indagate una quantità impressionante di persone compreso il Sindaco) quelli che verranno dopo non faranno lo stesso, se non peggio? E il perché è presto detto: se l’unica cosa che muove sono i soldi, non si potrà che cementificare l’impossibile. Inquinamento, caos, stress, costi altissimi, scandali, sono il risultato della Milano da bere che affoga nella sua assurdità, in una Pianura padana che è fra le zone più inquinate del mondo.
Il cemento, i grattacieli, la moda, l’apparenza, i soldi, la ricerca spasmodica del “successo”, la competizione, l’arrivismo, non portano da nessuna parte, se non alla devastazione ambientale e delle persone. A Milano come in altre città, forse è il caso di cambiare modello perché quello che percorrono è molto simile a un incubo e infatti sono tanti i milanesi che se ne vanno.

Foto: Mikhail Nilov per Pexels

 

 

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