Alaska: incagliata piattaforma petrolifera

È tenuta sotto stretta sorveglianza la piattaforma per trivellazioni petrolifere che il 2 gennaio, a causa di una violenta tempesta, ha rotto i cavi e si è incagliata sulle coste di un'isola disabitata nel golfo dell'Alaska. La piattaforma Kulluk della Shell a bordo ha un carico di quasi 600 mila litri di carburanti e oli.

Alaska: incagliata piattaforma petrolifera
È tenuta sotto stretta sorveglianza la piattaforma per trivellazioni petrolifere che il 2 gennaio, a causa di una violenta tempesta, ha rotto i cavi e si è incagliata sulle coste di un'isola disabitata nel golfo dell'Alaska. La piattaforma Kulluk della Shell a bordo ha un carico di quasi 600 mila litri di carburanti e oli. Per questo si teme un disastro ambientale per l'isola di Sitkalidak, situata proprio davanti al Parco Nazionale Kodiak. Sul posto ci sono le squadre di emergenza della Guardia Costiera americana che hanno riferito che “al momento ci sono perdite” ma “verifiche sono tutt'ora in corso”. Purtroppo “le condizioni meteo estremo e i mari agitati rappresentano ancora un ostacolo”, ha spiegato Susan Childs, responsabile Shell per questa emergenza. Il timore è che i serbatoi a bordo della piattaforma vengano danneggiati e che possano sversarsi in mare gli idrocarburi, con danni probabilmente più gravi di quelli verificatisi nel Golfo del Messico a causa delle condizioni meteo decisamente più proibitive. Negli Stati Uniti l’incidente ha riacceso il dibattito sulle trivellazioni off-shore di Shell. Il deputato democratico Ed Markey, capogruppo in Commissione Risorse Naturali, ha affermato: “le compagnie petrolifere non possono fare ricerche in modo totalmente sicuro nelle condizioni esistenti a quelle latitudini. In caso di incidente le conseguenza per l’ambiente sarebbero disastrose”. “Sappiamo già del terribile impatto che gli sversamenti possono avere in Alaska – ha spiegato Ben Ayliffe, direttore della campagna polare Greenpeace Usa - Nel 1989 la petroliera Exxon-Valdez si è schiantata a Reef Bligh ed ha sversato centinaia di migliaia di barili di petrolio nel Prince William Sound, ricoprendo vaste aree di mare e di costa con uno spesso rivestimento di greggio e uccidendo migliaia di uccelli marini, lontre, foche ed orche. Ancora oggi la regione ne soffre gli effetti”. “Purtroppo, questo tipo di incidente, - prosegue Ayliffe - questa volta con la Kulluk, non è nuovo per la Shell. I suoi tentativi di trivellare il petrolio nei mari gelati di Chukchi e Beaufort sono stati funestati da incidenti e disavventure in ogni fase del loro cammino: dalle navi di perforazione arenate ai motori incendiati, dall’insuccesso delle ispezioni di sicurezza alle apparecchiature essenziali che possono essere 'schiacciate come una lattina di birra', i tentativi della Shell di trovare petrolio nella regione artica sono barcollati da una farsa costosa e spericolata ad un’altra”.

Commenti

Vorrei esaminare la questione da due diverse posizioni. La prima, quella dello Stato che rilascia,come unico amministratore del bene pubblico delle risorse naturali(mare e petrolio),la licenza all' occupazione e alla perforazione. La seconda, quella dell' imprenditore concessionario. Preliminare a questo esame deve essere l'accertamento dell'esistenza o meno, nella legislazione costituzionale dello Stato, della norma sulla tutela dell' ambiente. Non conosco la costituzione statunitense sul punto, ma, per quanto riguarda, ad esempio, quella italiana, credo e constato che la norma, di cui all'art. 9,2°co. Cost., non copre, se non marginalmente, questa garanzia: si parla infatti di tutela del "paesaggio" e del "patrimonio storico e culturale della Nazione"; ma non si parla di "ambiente", che sarebbe il termine più appropriato, nella sua generalità, ad indicare tutto l' insieme delle risorse naturali del Paese. Quindi, affrontando le due posizioni, c'è da osservare. 1.Uno Stato veramente democratico dovrebbe separare nettamente il settore patrimoniale da quello ambientale.Solo per il primo settore dovrebbero valere i criteri liberali di mercato, mentre per il settore ambientale dovrebbero essere imposti severi criteri comunisti. Limitandoci al settore ambientale -che è quello che al momento ci interessa-, ogni autorizzazione di licenza-concessione dovrebbe essere preceduta da una consultazione generale referendaria con le corrispondenti susseguenti determinazioni di prezzi e garanzie. 2.Passando ora all' imprenditore privato e tenendo sempre presente l' interesse ambientale di cui sopra, è chiaro che allo stesso dovrebbero essere imposti costi di concessione,per occupazione di territorio, sfruttamento e assicurazione danni, di ingentissima entità, salvo la proporzionale riduzione e anche restituzione in termini di controllo dell' acquisizione concordata di redistribuzione delle forniture produttive al lordo dei danni eventualmente causati nel corso . Lo so che si leva subito una grossa critica all' ipotizzato assetto, basata sul fatto che questo imprenditore è il più delle volte partecipato dagli stessi Stati con quote determinanti (Eni, Enel ad es.), ma una rigida e severissima distinzione tra i due settori permetterebbe di riversare sulle diverse parti gli effetti negativi come quelli positivi. E' un po' la stessa questione che inquina il mondo bancario e finanziario, ma è inutile continuare a far finta di non vedere. Ci pensino gli elettori e i partiti italiani a quali sono i precetti della Costituzione che devono essere migliorati prima di lasciarsi irretire su riforme atte solo a rimescolare le stesse incoerenze e incongruenze. Buon 2013 e seguenti.
Franco, 04-01-2013 08:04
Attendo con pazzienza l'estinzione di tutte le specie animali, perche è l'unico modo per estinguere l'umano.
giuseppe, 05-01-2013 06:05
Facciamo volare aerei dal Paraguay all'Italia per portarci i pomodori, solo perché sono più convenienti di quelli napoletani. Se qualcuno dovesse realmente pagare i danni ambientali causati da quegli aerei dovremmo "accontentarci" dei pomodori napoletani. Ma non sta bene al WTO e ai suoi amici banchieri e politici che, in mome di un falso libero mercato, sta riempiendo di m...a questo povero pianeta. Se ci fosse un'autorità (ONU, dove sei?) e questa facesse il suo mestiere, farebbe in modo che, al primo incidente, l'azienda che l'ha provocato non solo paghi i danni (alla popolazione che in quei posti ci vive e lavora, non ai governi dei banchieri) ma sparisca letteralmente dal mercato. Diversamente sono tutte chiacchiere.
Toni, 07-01-2013 10:07

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