L’alta moda che distrugge le foreste pluviali

Chi mai avrà pensato che dietro le bellissime attrici e i fascinosi attori della Notte degli Oscar potesse nascondersi uno dei maggiori pericoli per le foreste pluviali? La haute couture. Lo spiega Lindsey Allen, direttore esecutivo di Rainforest Action Network.

L’alta moda che distrugge le foreste pluviali

Di una cosa la stampa non si è per nulla preoccupata mentre raccontava ogni dettaglio della Notte degli Oscar: chi indossa cosa. Avreste mai pensato che la risposta potesse essere “A Hollywood (ma naturalmente non solo) sono in molti a indossare…le foreste”? A farlo notare è Lindsey Allen, direttore esecutivo di Rainforest Action Network.

«Quasi nessuno sa che tra gli abiti di alta moda che abbiamo visto agli Oscar alcuni erano fatti…con gli alberi» spiega Allen. «Decine di milioni di alberi che ogni anno vengono trasformati in abiti. E troppo spesso questi alberi provengono dalle foreste che vengono così distrutte provocando gravissimi ripercussioni sulle comunità indigene e andando a favorire i cambiamenti climatici».

«Molti dei tessuti utilizzati dalle maggiori case di moda, compresi rayon e viscosa, sono ricavati dalla pasta di legno disciolta in sostanze chimiche altamente tossiche. Diventano fibre tessili ma a tutto svantaggio delle foreste e delle comunità che da generazioni dipendono da esse. La continua espansione dello sfruttamento delle risorse nelle foreste pluviali causa perdita di biodiversità, diritti umani calpestati, violazioni di legge e l’estinzione di intere specie (pensiamo soltanto alla tigre di Sumatra e all’orangotango). Tali pratiche rilasciano inoltre nell’atmosfera massicce quantità di anidride carbonica. Per esempio oggi l’Indonesia è uno dei paesi più inquinanti a causa anche della massiccia deforestazione».

Lindsey Allen richiama tutte le case di moda alla loro responsabilità e lancia un appello affinché si liberino dei fornitori che non garantiscono trasparenza e sostenibilità.

«Come consumatori – aggiunge Allen – abbiamo il diritto di sapere che i vestiti che indossiamo non stanno contribuendo all’estinzione delle specie e alla violazione dei diritti umani».

Anche l’Italia si sta mobilitando su questo fronte. E’ infatti partita la campagna Abiti Puliti, ispirata alla campagna internazionale Clean Clothes.

«Vogliamo sensibilizzare i consumatori, chiediamo il miglioramento delle condizioni di lavoro e il rafforzamento dei lavoratori nell’industria tessile globale – spiegano i promotori – La pressione verso aziende e governo deve diventare importante perché le cose possano cambiare. Offriamo anche solidarietà e sostegno diretto ai lavoratori che lottano per i loro diritti e chiedono migliori condizioni di vita e di lavoro. Siamo forti di una rete di più di 250 partner nei paesi di produzione che identificano problemi e obiettivi e aiutano a sviluppare strategie e campagne efficaci».

La Campagna Abiti Puliti ha anche lanciato un nuovo report (clicca qui per leggere la versione integrale) sulla situazione del settore tessile e calzaturiero italiano redatto attraverso una ricerca realizzata in tre regioni italiane: Veneto, Toscana, Campania. «Per abbattere i costi e incrementare i profitti le imprese delocalizzano le loro produzioni in Paesi dove possono pagare salari da fame e dove non ci sono sindacati. Il settore dell’abbigliamento è tra i più attivi in questo campo: l’utilizzo di manodopera a bassi salari e diritti in Cina o in Bangladesh, come in Romania o Moldavia ne sono un esempio lampante. La costruzione della filiera si basa sull’idea che è sempre possibile trovare manodopera a bassi salari da sfruttare a proprio vantaggio. Mentre una massa crescente di altri lavoratori sempre più impoveriti, è obbligata a tapparsi il naso e a comprare vestiti e calzature a basso costo in una spirale senza fine di corsa verso il basso» dicono i promotori di Abiti Puliti.

Anche in questo caso il senso critica aiuta a cambiare prospettiva, abitudini e…magari a salvare un pezzetto di foresta!

 

Vestiti che Fanno Male

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