La “crescita felice” secondo Bimbiveri

Che cosa garantisce ai bambini una crescita serena e secondo natura? Intorno alla risposta a questa domanda si è concentrato negli ultimi anni il lavoro di due formatori, Roberta Cavallo e Antonio Panarese, che hanno costituito una società che si è dedicata all’organizzazione di corsi per educatori e genitori. Per loro il successo e la notorietà sono arrivati con i libri che hanno scritto, tra cui forse il più controverso (per le soluzioni proposte) è “Smettila di fare i capricci”.

La “crescita felice” secondo Bimbiveri

Antonio Panarese e Roberta Cavallo sono scrittori e formatori che in questi anni si sono specializzati sui problemi dell’infanzia e propongono corsi a educatori e genitori per affrontare le relazioni con i bambini. Nel 2008 hanno fondato Bimbiveri, la società che hanno definito «per la crescita felice dei bambini secondo natura», dopo avere gestito per diversi anni, in Piemonte, un centro di affido familiare per minori con disagio. All'interno del centro di affido hanno condotto un'esperienza di istruzione familiare che prevedeva, come spiegano, «l'integrazione di un percorso educativo secondo i contenuti scolastici proposti dal ministero con una metodologia più in sintonia con la natura dei bambini». «L'esperienza di affido è stata per noi fondamentale, ci ha permesso di entrare in contatto con 28 bambini provenienti da varie città italiane, di conoscere e di gestire situazioni difficili e delicate». Roberta e Antonio organizzano corsi e incontri per insegnanti e genitori «che sempre più spesso chiedono aiuto nella gestione della relazione con i loro figli e con i loro studenti».

Secondo la vostra esperienza, come si diventa più consapevoli nella relazione con i figli?

Un ottimo strumento è quello dell’osservazione. Davvero non c’è bisogno di leggere molti libri sui bambini, perché tutto, in fondo, è scritto dentro di loro. E loro costantemente esprimono la loro natura e il loro bisogni in quello che dicono, in quello che fanno, in quello che esprimono, in uno sguardo, in un sorriso o in una lacrima. Noi adulti, condizionati e immersi in una cultura eccessivamente razionale e meccanizzata perdiamo di vista questi elementi fondamentali. Presi dalla fretta e dalla routine quotidiana ci siamo disamorati del grande dono dell’osservazione. Nel silenzio del cuore, che non attiva giudizi o preconcetti, possiamo ascoltare tutti i bisogni del bambino senza temere di scivolare in vizi o eccessi di bontà. Questo fattore da solo non è sufficiente. È utile fare la stessa cosa anche con noi stessi. Osservarci per essere più consapevoli di quello che facciamo e diciamo, di quello che pensiamo e delle emozioni e dei sentimenti che proviamo. Questo “sforzo” iniziale è una risorsa utilissima tutte le volte in cui ci arrabbiamo e non sappiamo perché, tutte le volte in cui non riusciamo a mantenere la calma, in cui i nostri figli sembrano infastidirci, quando non sappiamo come risolvere un loro capriccio o come farci ascoltare. Se non ci osserviamo e non diventiamo più consapevoli di noi e della natura dei nostri figli, rischiamo di dover ricorrere per esempio anche nell’utilizzo delle punizioni che invece di aiutarti risultano essere del tutto controproducenti, anche e soprattutto a lungo termine.

Voi affermate che le punizioni non hanno niente a che fare col bene dei bambini. Perché?

La punizione è (falsamente) utile soltanto per il genitore. Puniamo quando non sappiamo che altro fare e lo facciamo spesso per liberarci dalla tensione, per non sentire quel senso di inadeguatezza che ci assale quando non sappiamo come gestire la situazione senza perdere l’equilibrio, per sfogare la rabbia. Infatti, dopo aver punito e sbraitato (eventuali sensi di colpa a parte) ci sentiamo liberati, quasi soddisfatti. E il bambino? Per lui è diverso. La punizione non fa altro che umiliarlo e spaventarlo, cosa che incrina inesorabilmente il rapporto in quanto questi episodi contribuiscono a fargli perdere la stima e la fiducia che nutre nei confronti dell’adulto in questione. Inoltre, a differenza di quello che siamo abituati a pensare o di quello che pensavano i nostri genitori, la punizione non rappresenta un insegnamento per il bambino. Il vero insegnamento e il vero esempio consistono nel comprendere le motivazioni del bambino, capire cosa è successo, essere disponibili ad ascoltare le sue istante e ad accogliere le sue emozioni, risolvere dandogli eventualmente la possibilità di rimediare o mostrargli come poter fare. Il tutto senza rabbia e giudizi.

Come può un genitore rendersi conto di quando reprime il figlio e quindi cambiare atteggiamento?

Se devo esprimerlo in un’unica frase: reprimiamo i nostri figli tutte le volte in cui non rispettiamo o non ascoltiamo la loro natura. Le occasioni in cui accidentalmente possiamo non vederla o non ascoltarla sono tante e costellano tutta la quotidianità del rapporto. Possiamo involontariamente non rispettarla con eventuali abitudini familiari, oppure con i giudizi (ma guarda che schifo hai fatto!) e i paragoni (perché non impari da tuo fratello?), con le manipolazioni (se mangi tutto, ti do il gelato, altrimenti niente), con un tempo di scarsa qualità trascorso insieme dove c’è poco dialogo, non ci si ascolta, non ci si guarda negli occhi, dando più risalto a quello che va fatto durante la giornata e non a cosa si desidera o a come ci si sente. Anche in questo caso, iniziare ad osservare come ci comportiamo e domandarci senza giudizi nei nostri confronti come ci sentiamo, è fondamentale. Secondo passo: domandarci spesso il motivo delle nostre azioni e chiederci se potevamo agire in modo diverso o dire cose differenti, se e come possiamo migliorarci e migliorare la relazione. Se non attiviamo in noi queste domande, le risposte e le soluzioni non arrivano.

Che cosa può aiutare un genitore a osservarsi?

Vediamo i passi più utili:

1) Ridimensionare la scala dei propri valori: finché metteremo al primo posto le faccende domestiche, la spesa, i compiti, il lavoro, il lamento e le cose da fare o quelle che non vanno a discapito della relazione con i nostri figli e del nostro benessere, ci sarà sempre qualcosa pronto a sfuggirci. Quindi prendersi del tempo (per esempio, anche solo 2-3 giorni di prova) per sperimentare e mettere i bisogni dei nostri figli e la relazione con loro al primo posto o almeno al pari del resto. Lo diciamo a parole (“Prima di tutto vengono loro, sono la mia vita”) ma spesso quello che dimostriamo nella pratica non corrisponde.

2) La calma. Rallentare aiuta a pensare meglio e ad ascoltarsi di più. Per ottenere questo risultato è possibile utilizzare per esempio la meditazione. Sembra una cosa difficile e astratta, ma non lo è. Su questo si trovano molte informazioni su internet e all’inizio può essere sufficiente di tanto in tanto durante il giorno o prima di addormentarsi la sera, chiudere un attimo gli occhi, fare qualche respiro profondo e ascoltare l’aria che entra e l’aria che esce. Ascoltare il respiro ci aiuta con il tempo a essere sempre più presenti al nostro corpo e a essere più attenti ai pensieri che produciamo o ai sentimenti che proviamo. Se credi di non avere tempo per farlo, ecco qualche spunto: mentre fai la doccia, mentre sei ferma/o al semaforo, mentre sei in bagno a fare pipì, mentre lavi i piatti, ecc.

Cosa significa, secondo voi, educare un bambino secondo natura?

Significa per prima cosa sapere che anche i bambini, in qualità di esseri umani, seguono per crescere dei principi innati di natura. Così come per la pianta che fa fiori che daranno frutti e questi frutti daranno un seme che nel terreno farà crescere un’altra pianta secondo ritmi ben precisi e con bisogni ben precisi come luce e acqua, anche i bambini seguono tappe ben precise. La pianta non fa il frutto prima del fiore e così il bambino per esempio prima ha bisogno di dormire a contatto con un adulto per poi dormire solo, ha bisogno prima di essere accolto e protetto e poi di essere autonomo e responsabile. I bambini seguono poi cicli di crescita che vanno di 7 anni in 7 anni e in questi cicli il bambino ha bisogni differenti, esprime e sviluppa capacità differenti. Conoscere quello che accade in questi cicli e quali sono i bisogni del bambino è fondamentale, sapere quali sono le modalità ideali sulle quali costruire la relazione migliore possibile. Se si vuole approfondire, si possono trovare tutti i dettagli nel nostro primo libro “Smettila di reprimere tuo figlio”.

Voi proponete anche una interpretazione della ragione per la quale i bambini fanno i “capricci”.

I capricci non esistono. Quello che noi definiamo capriccio è in verità sempre una manifestazione di disagio da parte del bambino. I bambini non sanno inizialmente esprimere a parole le loro difficoltà e lo fanno con il comportamento, con il pianto, con la rabbia, dicendo di no. La stessa cosa capita con gli adolescenti che, se da un lato dovrebbero già essere in grado di esprimere a parole i loro sentimenti e di gestire le proprie emozioni, dall’altro non hanno spesso ricevuto l’esempio adeguato da parte del genitore, non hanno assorbito questa capacità e quindi si ribellano o si chiudono in se stessi. Le motivazioni che spingono un bambino ad esprimere un disagio sono molte e per ogni bambino hanno sfumature differenti. In generale e tra le più frequenti ho riscontrato la richiesta di attenzioni di qualità, il non sentirsi ascoltati dai genitori, il non potersi esprimere per quello che sono o il non poter esprimere la loro creatività, il sentire di aver subito (anche se involontariamente da parte del genitore) un’ingiustizia o l’essere stato umiliato.

Qual è, secondo voi, il giusto modo di gestire un capriccio che a un genitore può apparire senza motivo e fatto apposta per scatenare rabbia?

Per prima cosa imparare a guardarlo non come un capriccio ma come una richiesta di aiuto da parte del bambino, come un'espressione di disagio. Come seconda cosa, si possono seguire questi suggerimenti:

- Evitare di lasciarlo solo durante il capriccio, intervieni con calma e renditi disponibile

- Essere comprensivi e permettergli di piangere o di sfogare la rabbia

- Domandarsi o domandargli cosa è successo, accogliere le sue emozioni e rendersi disponibili a trovare una soluzione (in questo modo gli si mostra come gestire le frustrazioni)

- Se sta mostrando il suo dispiacere per un no ricevuto, è bene non tergiversare sul no, meglio essere fermi sulla decisione presa e non cambiare idea ma nello stesso tempo mantenere la calma e essere disponibili a comprendere il suo disappunto, ascoltare le sue emozioni senza giudicarlo.

Spesso tra fratelli le manifestazioni di aggressività e di contrasto risultano poco gestibili. Perché? Un vostro consiglio per trovare una soluzione?

L’arrivo del fratellino o della sorellina rappresenta sempre un momento delicato nella vita del primogenito. Se non sappiamo gestirlo al meglio a monte, le litigate e dispetti sono dietro l’angolo. In questi casi è molto utile fare attenzione nel riservare momenti preziosi e esclusivi al primogenito così che possa passare del tempo da solo con mamma e del tempo da solo con papà. Non solo: è importante evitare i paragoni, evitare di responsabilizzarlo dicendogli che lui è grande, soddisfare il suo eventuale momento di regressione e considerare sia lui che il fratello o la sorella come individui a sé stanti, un po’ come se fossero entrambi in qualche modo figli unici. Durante i loro litigi è fondamentale andare controcorrente e, invece di punire “chi è stato” e consolare chi ha subito l’eventuale dispetto, è importante accogliere entrambi, anche chi “ha cominciato” proprio perché in quel momento risulta essere il bambino più ferito tra i due o quello che aveva un bisogno da esprimere.

Quando i ragazzi crescono, soprattutto nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza spesso si fatica a riconoscerli e ad adeguarsi alle loro esigenze. Un consiglio anche in questi casi?

Durante l’adolescenza possono nascere difficoltà nel rapporto con i figli perché in questa fase, in cui il ragazzo è più consapevole e tende a manifestare sempre di più se stesso, si accentuano e si amplificano le difficoltà che sono nate in embrione negli anni precedenti. Per esempio, una mancanza di attenzioni da bambini può generare rabbia nei confronti dei genitori o il bisogno di cercare attenzioni all’esterno facendo anche cose pericolose o eccessive pur di farsi notare. In generale l’ascolto senza giudizi e la calma sono ottimi alleati. E non solo: uno dei primi suggerimenti che do sempre ai genitori alle prese con eventuali difficoltà adolescenziali è quello di osservare quali possono essere state le lacune affettive degli anni precedenti a partire dalla nascita e fare il possibile per recuperarle e sanarle. È sempre possibile farlo anche se richiede una buona dose di impegno. Non dimentichiamo che in questi anni i ragazzi hanno bisogno di esprimersi e di iniziare davvero concretamente a fare le ultime prove generali prima della vita adulta. Ecco che è fondamentale farli uscire dal bozzolo e permettere loro di rendersi totalmente autonomi anche attraverso l’assunzione di responsabilità, siano esse scolastiche o familiari, che possano sperimentare il mondo lavorativo e imparare a conquistare con l’azione quello che desiderano, oltre che ad assumersi la responsabilità di eventuali scelte sbagliate imparando a rimediare. Se in questa fase stiamo al loro fianco, esprimiamo le nostre opinioni senza soffocarli, rispettiamo la loro natura e manteniamo una fermezza adeguata quando necessaria, questa fase che spaventa molti adulti può invece manifestarsi in totale armonia.

Capita di avere a che fare con atteggiamenti violenti come il bullismo; a volte i figli sono vittime, ma possono anche essere quelli che hanno l’atteggiamento negativo. Qualche suggerimento?

Queste difficoltà sono di fatto “capricci” e richieste di aiuto molto amplificate. Non possiamo generalizzare perché ogni storia è a sé, ma di certo posso dire che le prime vittime del “bullismo” sono proprio i “bulli” stessi. Mi sono capitate tante situazioni simili con i bambini in affido familiare. Questi bambini e questi ragazzi sono dotati di una estrema sensibilità e subiscono fin dall’infanzia una sorta di incomprensione da parte della famiglia. Solitamente la loro autostima, a causa di una relazione sbagliata con i propri genitori, si è esaurita e cercano attraverso le azioni di bullismo di sfogare la loro frustrazione, di accendere la loro richiesta di aiuto e di cercare riconoscimento e visibilità nel gruppo dei pari o negli adulti che gravitano loro attorno. Anche in questi casi è fondamentale trovare un buon equilibrio tra la fermezza (che in queste situazioni diventa non solo ideale ma quasi “terapeutica”) e la comprensione. La fermezza è vitale per far sentire al ragazzo che ci sono adulti in grado di gestire la situazione, per dargli quel contenitore emotivo e quella guida che forse non hanno mai avuto, per far loro capire che qualcuno li può proteggere e sostenere. La comprensione è altrettanto essenziale per farli sentire amati, non giudicati, non sbagliati. Se sentono questa disponibilità, sono pronti ad aprirsi e ad utilizzare altri canali per esprimere il loro disagio e soprattutto tornare a credere nell’adulto e nella possibilità di credere in se stessi e nella vita. In queste situazioni osservare la storia familiare è fondamentale per individuare le cause che non sono mai imputabili alla natura del ragazzo.

 

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