Cambio di Governo in Georgia: quali le implicazioni geopolitiche?

Dopo otto anni di governo, il presidente della Rivoluzione delle Rose, Saakashvili, ha ceduto la guida politica del paese al miliardario Ivanishvili. Ma si tratta anche di un avvicendamento fra i blocchi che sostengono i due rivali: quello russo ha preso il posto di quello atlantico.

Cambio di Governo in Georgia: quali le implicazioni geopolitiche?
In un momento in cui l’attenzione della comunità internazionale è giustamente concentrata sugli importantissimi eventi che stanno avendo luogo in Medio Oriente, per avere un quadro chiaro e completo dello scenario geopolitico è opportuno fare qualche riflessione anche sul risultato delle elezioni politiche che si sono appena tenute in Georgia e che hanno registrato la sconfitta dell’attuale presidente del paese Mikheil Saakashvili – in carica dalle elezioni che il 4 gennaio del 2004 seguirono la Rivoluzione delle Rose –, battuto dal magnate Bidzina Ivanishvili e dal suo eterogeneo partito Sogno Georgiano. La coalizione del nuovo premier, caratterizzata dalla coabitazione di molte anime diverse fra loro, ha raccolto il 55% dei voti, contro il 40% del Movimento Nazionale Unito. Secondo il sistema misto proporzionale/maggioritario georgiano, alla nuova maggioranza spettano complessivamente 115 seggi su 223. Il presidente in carica, almeno fino alle elezioni previste per il 2013, rimarrà lo stesso Saakashvili, che ha rifiutato l’invito del suo sfidante a dimettersi per facilitare la conduzione politica del paese, che deve fare i conti con le diverse riforme costituzionali approvate negli ultimi anni che hanno spostato buona parte dei poteri dalle mani del presidente a quelle del capo del Governo. Saakashvili, come detto, è l’espressione della Rivoluzione delle Rose, che nel 2003 spodestò l’ex ministro sovietico e presidente georgiano Eduard Shevardnadze, per instaurare un nuovo regime filo-atlantico che traghettasse la Georgia verso il liberismo occidentale. Uno schema che si è ripetuto e si sta ripetendo anche in questi giorni in molte altre parti del mondo, dall’Europa Orientale al Medio Oriente all’Indocina. Negli otto anni di mandato, la sua linea politica è stata caratterizzata da una decisa modernizzazione delle infrastrutture della nazione, tesa ad avvicinare la Georgia agli amici occidentali non solo dal punto di vista politico ma anche da quello strutturale. Ma il marchio di fabbrica di Saakashvili è l’intransigente posizione anti-russa, che ha raggiunto l’apice con la guerra del 2008, in occasione della quale si sono scontrate le truppe georgiane da un lato e quelle russe – affiancate dalle milizie locali – dall’altro e che ha portato alla dichiarazione d’indipendenza delle due repubbliche dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia. Da allora, naturalmente, i già freddi rapporti fra i due paesi si sono congelati e, secondo alcuni, proprio questo isolamento nei confronti del grande partner commerciale e politico naturale della Georgia è stato uno dei fattori che hanno deposto a sfavore di Saakashvili. Un altro sono stati i video-scandalo diffusi negli ultimi giorni di campagna elettorale, che mostravano gravi maltrattamenti da parte delle guardie all’interno delle carceri nazionali, riunioni segrete del presidente con i suoi seguaci e addirittura l’uccisione di un bambino colpevole di essere figlio di un sostenitore di Ivanishvili. Naturalmente, la prima cosa da verificare sarebbe stata la veridicità di questi documenti, ma lo sbigottimento e lo slancio emotivo che essi hanno provocato – veri o no – sono stati tali da far crollare le quotazioni di Saakashvili, in vantaggio di circa dodici punti sul rivale. Bidzina Ivanishvili è invece l’uomo più ricco della Georgia, con un patrimonio valutato intorno ai 6,5 miliardi di dollari. Le relazioni commerciali e finanziarie sulla base delle quali ha costruito la sua fortuna sono per buona parte con la Russia e questo di fatto fa di lui il campione di Putin nella sfida politica georgiana. Grazie all’enorme disponibilità economica, ha organizzato una campagna elettorale molto pomposa, facendo leva sulle debolezze di Saakashvili – prima fra tutte l’ostinata avversione alla Russia – e coinvolgendo i vecchi e i nuovi avversari del suo regime. Una novità importante è stata la sensibile democratizzazione che ha caratterizzato le operazioni elettorali, ben lontane dal plebiscito quanto mai sospetto che portò una maggioranza del 96% al successore di Shevardnadze dopo la Rivoluzione delle Rose. Una delegazione di 400 inviati dell’OCSE ha giudicato le operazioni di voto "un passo importante verso la democrazia", applaudendo la trasparenza che le ha caratterizzate. Controcorrente va invece l’associazione Trasparency International, che denuncia brogli e irregolarità. Per quanto essa sia apparentemente autorevole – si tratta di un’organizzazione internazionale ben ramificata che ha come missione la lotta alla corruzione –, va comunque sottolineato che fra i finanziatori dell’ente figurano società private come BP e Shell – che poco hanno a che fare con correttezza e trasparenza – e la Open Society di Gorge Soros, main sponsor di molte ONG analoghe che hanno rivestito e rivestono ruoli importanti, soprattutto dal punto di vista mediatico, nelle varie rivoluzioni colorate eterodirette. Questo aspetto sottolinea la necessità di effettuare qualche breve riflessione sul significato politico e geopolitico del risultato elettorale. La chiave di lettura più semplice è abbastanza facile da individuare: l’equilibrio del confronto strategico fra i due grandi poli – quello atlantico, capeggiato dagli Stati Uniti, e quello che raccoglie i paesi politicamente ed economicamente emergenti, guidato dalla Russia – si è spostato a favore del secondo, rovesciando un’egemonia che da ormai otto anni vedeva prevalere gli Stati Uniti e il loro delfino Saakashvili. La posizione della Georgia è strategica in quell’area. Per esempio, il progetto del gasdotto del blocco occidentale Nabucco – in contrapposizione a quello russo del South Stream –, passa proprio per Tbilisi. Il paese costituisce anche una sorta di cuscinetto al confine di due aree, con la federazione russa a nord e la Turchia, testa di ponte occidentale nel Caucaso e in Medio Oriente, a sud. Questa importanza sembra essere stata percepita anche da Ivanishvili che, evitando di schierarsi subito su posizioni marcatamente filo-russe, ha dichiarato di voler proseguire il cammino di ingresso nella NATO della Georgia e di avere intenzione di continuare a mantenere buoni apporti con l’Europa e con i paesi del blocco atlantico. Si tratta quindi di una situazione per ora interlocutoria, anche perché Saakashvili non è ancora uscito di scena e, seppur con molti meno poteri, resta comunque presidente del paese, almeno fino al 2013. Resta da valutare anche come reagiranno gli Stati Uniti e i loro alleati: sinora si sono comportati abbastanza compostamente, lodando la trasparenza e la correttezza delle operazioni di voto, ma i mezzi a cui sono disposti a ricorrere per raggiungere i loro obiettivi di politica estera possono essere anche estremi. Il drammatico esempio della Siria ce lo sta ricordando giorno dopo giorno.

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