Carbone, la coscienza sporca delle banche americane

In Usa sono cinque banche i maggiori finanziatori del carbone, il combustibile fossile principale responsabile del cambiamento climatico. Ad affermarlo è il Coal Finance Repord Card 2012, rapporto curato da alcune associazioni ambientaliste americane, che mette in luce i legami fra gli istituti di credito e le aziende legate al ciclo di questo combustibile fossile.

Carbone, la coscienza sporca delle banche americane
Le maggiori banche americane finanziano a piene mani la fonte di energia più sporca ed inquinante che esista in natura: il carbone. È quanto emerge dal Coal Finance Repord Card 2012, rapporto annuale sui finanziamenti al carbone curato da alcune associazioni ambientaliste statunitensi e chiamato quest'anno “Dirty Money: US Banks At the Bottom of the Class”. Sono tutte banche, infatti, i “Filthy five”, i cinque maggiori finanziatori, calcolati in base al numero di transazioni finanziarie effettuate. Bank of America è prima, con 44 transazioni, seguita a ruota da JP Morgan Chase, 42 transazioni, e Citi, 40 transazioni. Seguono Morgan Stanley con 33 operazioni e Wells Fargo con 26. “Dalla culla alla tomba, il carbone è un affare rischioso – si legge nel rapporto -. Ogni fase del ciclo di vita del carbone dall'estrazione, al trasporto, alla combustione, presenta sempre più rischi per la salute, per l'ambiente, d'immagine, legislativi e finanziari. La combustione del carbone per produrre elettricità è la più grande fonte di inquinamento negli Stati Uniti, e gli Usa sono il secondo più grande produttore di carbone del mondo. La produzione di energia da carbone è responsabile degli inquinanti nocivi per la salute cardiovascolare e respiratoria e minaccia il sano sviluppo dei bambini”. Il rapporto indaga sull'esposizione delle banche con alcune delle aziende più controverse che hanno a che fare col carbone, dalle miniere alle multiutility dell'energia Usa. Le banche in questione, finanziano in vari modi l'estrazione del combustibile fossile e la produzione di energia a partire da esso. Uno di questi modi, è il finanziamento alle aziende che operano il mountaintop removal mining, una pratica distruttiva con il quale le industrie minerarie rimuovono le "coperture" delle montagne per raggiungere un giacimento di carbone. “Questa pratica ha danneggiato o distrutto quasi 2.000 miglia di corsi d'acqua – sostiene il rapporto - e minaccia di distruggere 1,4 milioni di ettari di vette e foreste entro il 2020. Inoltre, la pratica mineraria distrugge le comunità degli Appalachi, la salute dei residenti dei bacini carboniferi e qualsiasi speranza di una crescita economica positiva”. Uno degli aspetti peggiori della questione è che tutti gli istituti che da un lato finanziano le energie inquinanti, dall'altro si professano grandi difensori dell'ambiente e promotori delle energie rinnovabili. Un fenomeno piuttosto comune, che prende il nome di greenwashing: sempre più spesso le tematiche ambientali sono sfruttate per fini legati all'immagine aziendale, senza che vi sia un reale interesse, né una concordanza fra posizioni e azioni. Il Coal Finance Repord Card 2012 mira proprio a mettere allo scoperto le banche, ponendole di fronte alle loro responsabilità sociali e ambientali, rendendo evidente la loro complicità nel finanziare un sistema che causa, solo negli Usa, “13.000 decessi prematuri ogni anno, di più di 100 miliardi di dollari in costi sanitari annui ed oltre 200.000 attacchi di asma ogni anno.” Qualcosa di simile succede anche in Italia, dove Unicredit è al centro di una campagna chiamata appunto “Unicredit fuori dal carbone!”. La maggiore banca nostrana infatti, che al pari delle banche americane si professa fautrice dell'energia pulita, investe miliardi di euro dei suoi correntisti in centrali a carbone ed aziende del settore.

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