Centro Nuovo Modello di Sviluppo: «Un altro lavoro per un'altra società»

«Un numero crescente di persone sta capendo che se vogliamo garantirci un futuro dobbiamo accettare il senso del limite perché il Pianeta non dispone di risorse infinite, né può assorbire rifiuti in maniera illimitata»: così esordisce il rapporto del Centro Nuovo Modello di Sviluppo “Un altro lavoro per un’altra società”.

Centro Nuovo Modello di Sviluppo: «Un altro lavoro per un'altra società»

Una lettura che senza dubbio fornisce numerosi spunti di riflessione e informazioni: è il rapporto del Centro Nuovo Modello di Sviluppo dal titolo “Un altro lavoro per un’altra società”.
Divenire consapevoli che ci sono limiti da non superare è «una convinzione opposta a quella dell’ideologia dominante che propugna la crescita infinita della produzione (e quindi dei rifiuti) come fine e come mezzo del proprio funzionamento – si legge nel rapporto - Con i risultati che conosciamo: caos climatico, inquinamento da plastiche, distruzione delle foreste, esaurimento dell’acqua. Per superare i danni provocati da questa impostazione produttivista, molti si stanno convincendo della necessità di orientarsi verso forme economiche ispirate alla sobrietà. Che non significa ritorno alla candela, ma liberazione dalla schiavitù dell’inutile e del superfluo».
«Le famiglie che hanno deciso di cambiare stile di vita testimoniano che la sobrietà è non solo possibile, ma addirittura vantaggiosa – continua il rapporto - Ma un tarlo impedisce a molti di orientarsi verso stili di vita più sobri: se consumiamo di meno, come può “girare” l’economia e che fine faranno i nostri posti di lavoro? Angoscia derivante dalla consapevolezza che in un sistema di mercato l’occupazione dipende dalla capacità delle aziende di vendere ciò che producono. Ma prima di concludere che in nome del posto di lavoro non abbiamo altra prospettiva se non l’autodistruzione, conviene chiedersi se esistono alternative».
Nel rapporto del CNMS si analizza il lavoro, che «ha smesso di essere un mezzo ed è diventato un fine. Un fine ossessivo, che ci ha resi tutti paladini del consumo perché solo se il mercato assorbe tutto ciò che viene prodotto abbiamo qualche possibilità di conservare il nostro lavoro. E poiché vogliamo un lavoro anche per i nostri figli, accettiamo anche che le famiglie si indebitino, purché i consumi siano spinti sempre più su».
«L’importante è che si compri – prosegue il CNMS - Il consumo come valore sociale, un dovere collettivo per il bene di tutti. Mai fu inventato sistema al tempo stesso più folle e insicuro. Insicuro non solo perché condanna chi è senza lavoro all’indigenza, ma anche perché trasforma il lavoro in un nemico della sostenibilità. L’unico modo per uscirne è andare oltre il lavoro salariato, che significa orientarsi verso altri modi di provvedere a noi stessi. Per costruire una società sobria che garantisce a tutti un’esistenza dignitosa, bisogna cambiare prospettiva. Bisogna ammettere che il nostro problema non è il lavoro, bensì le sicurezze».
E ancora: «Non dobbiamo chiederci come possiamo creare lavoro, ma come possiamo garantire a tutti la possibilità di vivere dignitosamente utilizzando meno risorse possibile e producendo meno rifiuti possibile. Se fossimo intelligenti aggiungeremmo come condizione anche quella di lavorare il meno possibile, perché il lavoro ruba tempo alle altre dimensioni: le relazioni affettive, i rapporti di amicizia, le relazioni sociali, la lettura, la riflessione, la cura di sé. Il modo migliore per garantirci le sicurezze col minor utilizzo di risorse è l’applicazione diretta del lavoro ai bisogni da soddisfare. Chi decide di imbiancare la propria casa da solo, utilizza solo la vernice. Chi decide di servirsi di un imbianchino, deve prima produrre qualcosa da vendere per avere di che pagare l’imbianchino, poi ottiene l’imbiancatura. La conclusione è che più si ricorre al denaro, più bisogna espandere la produzione e quindi il consumo di risorse e produzione di rifiuti».
«Ciò che dobbiamo fare è potenziare il lavoro diretto che già pratichiamo, chiedendo anche alla scuola di fornirci le conoscenze necessarie a poter essere sempre più autonomi. Non solo nel campo del saper fare, ma anche in quello del saper essere e del saper gestire – si legge nel rapporto - Il lavoro diretto è un messaggio forte di essenzialità, autodeterminazione, sostenibilità, che può essere potenziato con lo scambio di vicinato. Fra famiglie che vivono nello stesso palazzo, nello stesso rione, si possono instaurare rapporti del tipo: tu ripari la bicicletta a me, io regalo una torta a te, tu ripari la lavatrice a me, io regalo della verdura a te. Un rapporto di scambio non fra chi ha potere e chi lo subisce, ma fra pari. Non fra mercante e cliente, ma fra autoproduttori come era il commercio in origine».
Qyuindi, secondo il CNMS, «più cose sappiamo fare, più guadagniamo in autonomia e quindi in dignità. Anche perché questo sistema dopo averci tolto qualsiasi altra possibilità di provvedere a noi stessi, se non vendendo il nostro tempo, poi ci ha strappato il tappeto sotto ai piedi dicendoci che di lavoro salariato per tutti non ce n’è».
Il rapporto illustra anche le modalità ed esperienza del lavoro diretto condiviso, parla della capacità di individuare lo spartiacque fra comunità e mercato, di come andare oltre la tassazione che crea dipendenza e di come formulare un nuovo patto di cittadinanza; e illustra le modalità per una comunità che sia imprenditrice di se stessa».

 

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