Ecuador, Caso Chevron: terzo atto di una disputa infinita

Non sembra destinata a finire in tempi brevi la disputa che da decenni vede fronteggiarsi il governo ecuadoriano e la multinazionale Chevron di proprietà statunitense. Il terzo atto è un’azione di nullità intentata dal governo ecuadoriano per non pagare i supposti 96,3 milioni di dollari di danni al gigante petrolifero.

Ecuador, Caso Chevron: terzo atto di una disputa infinita
Non sembra destinata a concludersi in tempi brevi l’accesa disputa tra l’Ecuador e la Chevron che ormai si trascina da moltissimi anni. Facciamo una breve sintesi. Dopo 17 anni di battaglie legali la Chevron è stata condannata a pagare il più alto risarcimento mai dovuto per danni causati all’ambiente durante la sua attività in territorio ecuadoriano. Una battaglia che sembrava vinta, però, ha avuto il suo (ennesimo) capovolgimento di fronte quando la multinazionale con un comunicato ufficiale dichiarò di non voler ottemperare la sentenza, giudicandola speciosa e priva di fondamento. In questi primi giorni di settembre un altro colpo di scena ci porta ad occuparci nuovamente della questione. Il governo del Presidente Rafael Correa, infatti, entro novanta giorni depositerà un’azione di nullità contro il provvedimento preso dal Tribunale di arbitrato che lo condanna a pagare alla Chevron danni per 96,3 milioni di Dollari. Nella comunicazione che annuncia ufficialmente la linea strategica del governo si legge che quest’ultimo perseguirà tutti gli strumenti a sua disposizione affinché il risarcimento da pagare alla Chevron non arrechi alcun pregiudizio agli interessi né allo sviluppo del paese, a causa dell’enorme aggravio finanziario che potrebbe rappresentare. Nonostante la richiesta iniziale della Chevron fosse 1.606 milioni di dollari e nonostante il tribunale l’abbia notevolmente abbassato, lo stato ecuadoriano si rifiuta ugualmente di pagare il lodo arbitrale perché lo considera privo di validità legale oltre a rappresentare una grave ingiustizia. Nel marzo di quest’anno il tribunale aveva accolto i reclami della multinazionale dichiarando l’Ecuador responsabile di aver violato l’articolo II (7) del Trattato Bilaterale di Promozione e Protezione Reciproca degli Investimenti (TBI) sottoscritto con gli Stati Uniti non concedendo all’impresa i mezzi necessari per far valere i reclami e rispettare i diritti relativi agli investimenti, gli accordi sugli investimenti e le autorizzazioni per gli investimenti. Nel caso in cui l’azione di nullità del Governo non dovesse andare a buon esito, la somma da pagare alla Chevron includerebbe anche gli interessi accumulati in sette differenti giudizi non risolti da tribunali locali impugnati tra il 1991 e il 1993 dalla Texaco Petroleum, la compagnia petrolifera contro cui effettivamente sono intentate le cause e che è stata assorbita successivamente dalla Chevron. L’abbassamento così sensibile del risarcimento rispetto alla cifra iniziale richiesta dalla Chevron, secondo il Procuratore generale dello Stato, Diego Garcia, è dovuto agli argomenti presentati dalla difesa ecuadoriana, tra cui spicca una tassa dell’87,31% di imposta unificata prevista dalla legislazione locale sull’ammontare del risarcimento complessivo. Una percentuale che, se calcolata sulla somma integrale, avrebbe lasciato alla Chevron una mera vittoria di Pirro. Il che significa che il tentativo strategico della Chevron di rivolgersi ad un tribunale arbitrario ed il fatto che questo abbia emesso un giudizio ad essa favorevole (peraltro già ventilato dagli avvocati della difesa ecuadoriani) non ha sortito l’effetto sperato, ovvero screditare la giustizia ecuadoriana nella battaglia principale di questo contenzioso: quella che inchioda la Chevron a pagare 9.510 milioni di dollari come indennizzo per i danni ambientali ed alla salute causati dalla Texaco Petroleum durante gli anni di attività. Tra le anomalie che mettono la disputa a cavallo tra i tribunali ecuadoriani e quelli internazionali c’è anche il fatto che il capo d’accusa richiesto dalla Chevron e la condanna emessa dal tribunale di arbitrato non collimano. La multinazionale statunitense, infatti, aveva chiesto che si condannasse l’Ecuador per aver ricusato la giustizia, mentre la sentenza emessa dal Tribunale di arbitrato internazionale parla di “ritardo nell’amministrazione della giustizia”. Non sono esattamente la stessa cosa. Inoltre, l’Ecuador intenterà una nuova azione di nullità per mancanza di competenza del tribunale arbitrario perché, secondo la linea difensiva degli avvocati del governo, il Trattato Bilaterale sugli investimenti entrò in vigore solo nel 1997, mentre le istanze inoltrate dalla Chevron portano le date tra il 1991 e il 1993. Non avendo il Trattato effetto retroattivo, non è in grado di coprire quelle stesse istanze che quindi non risulterebbero valide. In questo contesto, tra l’altro, va registrata una forzatura commessa dal tribunale internazionale il quale ha deciso che come conseguenza dei ritardi giudiziali poteva ritenersi competente nel decidere sopra le sei istanze presentate dalla Texaco, sostituendosi di fatto all’autorità dei giudici ecuadoriani, ignorandone totalmente le decisioni. Sicuramente questa non sarà l’ultima battuta di una commedia che si annuncia ancora di là dal dirsi in via di conclusione.

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