«Sfidiamo la precarietà con il chilometro zero»

Giovani, precari, scollocati loro malgrado; ma non si sono persi d’animo e, grazie alla creatività e all’intraprendenza, hanno dato vita a una sfida imprenditoriale che punta sulla sostenibilità dei prodotti a chilometro zero. «Perché tutti, con le proprie scelte personali, possono contribuire a sconfiggere un sistema iniquo e malato» dicono.

«Sfidiamo la precarietà con il chilometro zero»

Le presentazioni sono d’ordinanza. Fabio Papurello ha 30 anni, Gabriele Ricca ne ha 31 e Ivan Grippa va per i 42. Ognuno di loro ha un suo percorso che, come tanti altri giovani di questi tempi, è fatto di precarietà. Ma, all’ennesima risposta non trovata nel “sistema”, hanno deciso di procedere dando corpo e vita alla loro idea: aprire un sito che metta in contatto produttori agricoli e consumatori delle stesse zone senza intermediari, in modo da far circolare beni primari a chilometro zero. Il sito si chiama agrobiokilometrizero.com

«Ognuno di noi ha un suo percorso – spiega Fabio – Io per esempio sono sempre stato precario, ho acquisito diverse abilità in differenti campi, ho vissuto all'estero per un periodo, ma più acquisivo abilità più faticavo a trovare lavoro e che la fortuna non ha aiutato. L'ultimo lavoro passato da precario ha visto la fine poiché l'azienda ha chiuso per colpa della crisi. Mi occupavo di un area e-commerce, ricevevo gli ordini, cercavo online prezzi concorrenziali (ebuyer) e gestivo qualche lavoro di magazzino». Ivan lavora ancora, mantiene una famiglia, ma si spende moltissimo per il progetto, sentendolo anche suo, «perché sento una spinta verso il cambiamento; poi… non voglio solo cambiare le cose dal lato lavorativo, ma anche a livello umano» spiega. «C'è chi ha perso il lavoro, ci siamo ritrovati tutti e tre all'interno di un contesto politico e abbiamo iniziato a capire che probabilmente ci volevano soluzioni differenti» continua Fabio, che ha avuto l’idea per partire.

Fabio, come ti è venuta l’idea di questo progetto?

«L'idea mi frullava in testa da tempo, perché vedevo che esistevano gruppi d'acquisto isolati, poco considerati e altri invece che detenevano strani monopoli e non erano gestiti in modo totalmente etico. Così ho incluso Gabriele nella creazione della mappa e ho chiesto ad altri di aiutarmi a condividere il progetto. Volevamo crearci una sorta di lavoro, ma allo stesso tempo non sapevamo come fare e ci piaceva il fatto anche solo di sensibilizzare le persone alla filosofia del chilometro zero. Eravamo e siamo profondamente arrabbiati per la situazione che siamo costretti a vivere e abbiamo iniziato a fare riflessioni sul sistema economico che ci controlla. Siamo arrivati a comprendere che le nostre scelte di vita possono determinare il crollo di un intero sistema. Nel percorso abbiamo pensato: “Manca il lavoro perché abbiamo centralizzato l'economia e quindi per quante competenze possiamo avere, diverrà sempre più un gioco contorto; riprendiamoci gli spazi, perché tutti inclusi noi stessi possano tornare ad avere un lavoro normale”. Poi esiste un discorso etico contro l'industria».

Come avete organizzato e pianificato le cose da fare?

«La verità? Abbiamo buttato uno schizzo su carta, l'idea iniziale era solo quella di creare una mappa in cui venissero inseriti i vari produttori, con un’area feedback in cui la gente potesse commentare e puntare il dito contro chi si comportava male. Volevamo già gestire il trasporto a chilometro zero per crearci un lavoro, ma anche perché sapevamo che il cittadino profondamente apatico sarebbe andato dai produttori una, due, tre volte e poi per questioni di ritmi di vita non l'avrebbe più fatto. Allora ci siamo proposti per fare consegne a domicilio. Ancora non sapevamo bene come fare, sembrava semplice ma in realtà non lo era. Inizialmente pensavamo solo di realizzare consegne su chiamata, ma la gestione era lunga e non volevamo gestire il denaro del consumatore finale. Da lì abbiamo creato un area e-commerce multivendor, dove ora abbiamo alcuni spazi per il produttori e altri dove c'è merce in conto vendita biologica non certificata, perché lavorata secondo i canoni della permacultura, almeno alcune cose. Abbiamo rialzato il prezzo del prodotto di pochissimi centesimi per permetterci di pagare le commissioni paypal, ma si parla di 50 centesimi, perché non facciamo intermediazione. L'idea é nata anche perché qualcuno chiedeva di comprare online. Poi é esplosa, ma abbiamo sempre avuto l’intenzione di non snaturarla. Il commercialista ci aveva detto semplicemente di usare i corrieri. Avremmo fatto arrivare l'olio dalla Calabria, saremmo partiti alla grande e avremo tagliato fuori i piccoli, perdendo l'etica del chilometro zero. La filosofia di vita non ci consente di deviare, noi volevamo e vogliamo far lavorare i produttori "vicini". Attualmente grazie al blog la visibilità cresce e noi siamo soli, pertanto abbiamo deciso di cambiare la politica offrendo lo spazio e-commerce a chi vuole organizzare gruppi Gas, dandogli però un’etica, uno spazio autogestito a pagamento (poco) nella propria città o borgo di appartenenza, dove seguendo regole specifiche può decidere di mettere in contatto diversi produttori».

Come funziona tutto il procedimento?

«C’è grande facilità nella gestione degli ordini, che vengono pagati all'acquisto, facciamo consegna a domicilio sull'area di Torino e cintura. Chi vuole organizzare il Gas nella propria città fuori al di fuori di Torino, può decidere di organizzare una propria politica di trasporto, oppure di tenere la merce in magazzino. A noi interessa che rispetti delle regole fondamentali: la merce deve essere prodotta localmente, distribuita entro un’area massimo di 200 chilometri e non deve arrivare da altri continenti, deve essere lavorata in modo naturale, no ogm, no pesticidi. Non necessariamente deve essere certificata (sulla mappa chi fa permacultura é segnato in blu, perché lo consideriamo il superbiologico, ma non esiste certificazione). Chiunque si comporti male, anche se paga una quota di 10 euro mensili, viene desettato dalla piattaforma; se si tratta solo di un prodotto, cancelliamo il prodotto. Chi invece semplicemente vuole usufruire della mappa e chiamare per suo conto un produttore con cui si trova bene e andare a trovarlo, può farlo senza che noi ci mettiamo becco. Anzi a noi non interessa come, ci interessa che le persone diventino sensibili alla questione, infatti molti servizi sono totalmente liberi sulla nostra piattaforma. Sulla mappa dei produttori inseriamo nomi, siti, numeri di telefono. Noi offriamo un implemento, un servizio d'élite; a noi fa solo piacere se la gente inizia a boicottare i supermarket per tornare a favorire l’economia locale e magari anche a mangiare sano. Inoltre abbiamo un’area social, che abbiamo inserito dopo che avevamo visto il blog fare faville, con condivisione su progetti della permacultura, traduzione di articoli sulle green energy, antibiotici naturali e quant’altro. Abbiamo aperto un social interno sullo scambio libero di semi e piante, anche se abbiamo il problema che è bombardato dagli spammer e attualmente stiamo cercando una soluzione».

Gli obiettivi che vi ponete?

«Non ci poniamo grossi obbiettivi, le idee nascono giorno per giorno e hanno fatto diventare il portale sempre più una piattaforma multiservizio. Abbiamo cambiato strategie diverse volte, cercando anche di includere la rete in questo, vorremmo essere un corpo unico, a volte però non ci riusciamo e allora dobbiamo fare di testa nostra. Il problema principale é che molti interessati sono persone di mezza età e la paura é che non sappiamo usare il paypal o il postepay, ma abbiamo pensato anche a questo, almeno con i produttori abbiamo risolto. Inoltre attualmente stiamo seguendo corsi di permacultura sinergica e bioedilizia. Con pochi soldi stiamo facendo tutto questo perché vogliamo offrire anche servizi sul portale, ma ci vuole tempo. Vogliamo che il progetto vada oltre il chilometro zero, che arrivi a toccare quei fili che possono portare le persone a cambiare prospettiva, attraverso i blog ma anche attraverso qualcosa di concreto, che possa portare molti ad abbracciare un processo di decrescita. L'importante é che la gente inizi a cambiare direzione e modo di vedere le cose, perché la società sta arrivando al collasso».

Avete pensato a qualche progetto di crowdfunding per finanziarvi?

«Abbiamo aperto un’area crowfounding e all'inizio le donazioni le abbiamo fatte noi, per vedere se partivano, ma non hanno avuto molto successo; anzi pur avendo già il progetto semirealizzato e averci speso qualche soldino non é stato per nulla facile. Abbiamo usato i soldi che ci siamo autoversati per costruire l'e-commerce, differenziare le bacheche e comprare plugin aggiuntivi. Attualmente, visti i corsi che stiamo seguendo, abbiamo deciso di trasformare quell'area in una proposta di ecovillaggio per arrivare a un progetto comune e iniziare a coltivare anche i nostri prodotti in modo condiviso. Ci siamo appassionati di bioedilizia e di case passive, perché siamo strozzati dalla crisi e abbiamo visto che se la gente torna a casa e non deve pagare gas, luce, acqua e affitto, vive molto più serena, anche solo con 800 euro al mese».


 

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