Concentrazione e delocalizzazione, agricoltura italiana a rischio

L'agricoltura del nostro paese è sempre più concentrata nelle mani di poche aziende, che gestiscono terreni immensi. Lo conferma il rapporto Terra e agricoltura. Il caso italiano, dell'associazione Crocevia. Questa tendenza, favorita dalle nuove misure del governo, porta alla delocalizzazione della produzione e alla sempre maggior dipendenza dal trasporto su gomma.

Concentrazione e delocalizzazione, agricoltura italiana a rischio
Sempre più terre nelle mani di sempre meno persone, e un piano del governo che certo non facilita i piccoli agricoltori. È questo l'allarme lanciato dall'associazione Crocevia nel rapporto Terra e agricoltura. Il caso italiano. L'aumento della concentrazione agricola ha assunto negli ultimi dieci anni dimensioni preoccupanti. Circa un terzo delle terre agricole è controllato dall'1 per cento delle aziende. 22mila aziende di oltre 100 ettari che controllano complessivamente una superficie agricola di 6,5 milioni di ettari. E i piccoli produttori? Le imprese familiari, con taglia inferiore ai 20 ettari? Decimate, sempre meno numerose, in sempre maggiore difficoltà. E se pensavate che le nuove misure del governo avrebbero migliorato la situazione, vi sbagliavate, almeno a detta di Antonio Onorati, presidente di Crocevia. “La nuova versione del pacchetto agroalimentare – ha spiegato – è migliorata rispetto a dicembre scorso, ma non affronta i nodi cruciali della crisi della agricoltura italiana, non ci sono misure contro la concentrazione e a favore delle piccole aziende, che per poter resistere e sopravvivere alla crisi devono poter allargare la superficie coltivabile. Non serve vendere la terra, bisogna facilitare l'accesso alle risorse”. Insomma quella vendita massiccia delle terre demaniali prevista dal decreto “salva Italia” per fare cassa e pagare gli interessi sul debito non è servita, né servirà, a rilanciare l'agricoltura, né a facilitarvi l'ingresso dei giovani. Piuttosto, con ogni probabilità, finirà per alimentare pratiche illegali come l'abusivismo edilizio (la maggior parte dei terreni agricoli si trova nelle immediate vicinanze delle città), o il riciclaggio di denaro sporco. Il rapporto si spinge anche un poco oltre, e analizza in modo chiaro quali sono le conseguenze di questa tendenza alla concentrazione della produzione agricola (una tendenza, si legge, “risultato di politiche e non di una ineluttabile decadenza del settore agricolo”). Da un lato, alla scomparsa delle piccole aziende si associa la perdita di varietà dei prodotti, la sempre maggior difficoltà nel reperire prodotti locali, a chilometro zero. “A differenza di qualunque altro settore produttivo – spiega Onorati – in agricoltura la qualità dei prodotti è direttamente legata alla qualità e alla quantità del lavoro umano impiegato e solo le piccole aziende agricole hanno la capacità di proteggere e mantenere la produzione delle eccellenze Made in Italy”. Dall'altro, alla concentrazione agricola crescente si associano l'aumento dei trasporti su gomma, la divisione delle produzioni sul territorio, l'inquinamento. “L’Italia, una delle 2 grandi agricolture europee, è oggi ostaggio delle proteste dei camionisti grazie alla innaturale concentrazione solo in alcune regioni di produzioni agricole come latte, carne, frutta e verdura. Fino agli anni 80 queste erano ancora largamente decentralizzate su tutto il paese e distribuite localmente, oggi la dipendenza dal trasporto sulle lunghe distanze testimonia il fallimento della concentrazione del diritto a produrre necessario all’industrializzazione dell’agricoltura”. Se l'Italia spera di avere ancora, in futuro, un ruolo rilevante nell'agricoltura di qualità, allora puntare sulle piccole aziende e sul locale sembra inevitabile. È quasi un appello quello che Onorati lancia al governo: “si dovrebbe contare sulle aziende medie piccole e piccolissime, che sono un milione e costituiscono il cuore produttivo del cibo in Italia. Sono loro che potrebbero reagire più rapidamente alla crisi se appoggiate con misure strutturali e legislative, che non comportano maggiore spesa per lo Stato. Ad esempio, favorire l'affitto agrario a un equo canone, dare priorità ai giovani e alle donne, e all’agricoltura familiare di piccola taglia, al di sotto di 30 ettari". Nella direzione di un'agricoltura diffusa, in cui tanti piccoli proprietari coltivano i propri prodotti locali, va segnalata anche la campagna La terra a chi la lavora!, lanciata sempre da Crocevia assieme con Terra Nuova.

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