COP25, niente intesa sul mercato del carbonio. Vince il profitto a corto raggio

Si è chiusa senza un accordo sul nodo più cruciale, quello della regolamentazione sul mercato del carnonio, la Conferenza delle Parti più lunga di tutte le edizioni. Vincono ancora una volta le pressioni di chi fa profitti con le fonti fossili.

COP25, niente intesa sul mercato del carbonio. Vince il profitto a corto raggio

Fumata nera per la Cop 25 di Madrid che, nonostante i tempi supplementari, si è chiusa senza un'intesa sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi sulla regolazione globale del mercato del carbonio, il nodo più difficile da sciogliere.

Delusione, dunque, di molti Paesi alla Conferenza su questo punto dell'agenda dei lavori. Se ne dovrebbe riparlare a Bonn nel giugno 2020.

L'unico punto definito almeno in parte positivo verte sull'obbligo per i Paesi ricchi di indicare, con obbligo di farlo entro l'anno prossimo, di quanto aumenteranno gli impegni per tagliare i gas serra.

La Cop25 di Madrid è stata la più lunga fra tutte le edizioni con due giorni extra. E a parlare di fallimento sono sia l'attivista svedese Greta Thunberg che lo stesso segretario generale dell'Onu Antonio Guterres.

"La scienza è chiara, ma la si sta ignorando. Qualunque cosa accada non ci arrenderemo mai. Abbiamo appena iniziato", ha scritto su Twitter la Thunberg.

Guterres si è detto "deluso" dai risultati della conferenza, affermando che "la comunità internazionale ha perso una opportunità importante per mostrare maggiore ambizione" nell'affrontare la crisi dei cambiamenti climatici.

Va all'attacco Greenpeace. Secondo l'associazione,  i progressi che ci si auspicava emergessero dalla COP25 sono stati "ancora una volta compromessi dagli interessi delle compagnie dei combustibili fossili e di quelle imprese che vedono in un accordo multilaterale contro l'emergenza climatica una minaccia per i loro margini di profitto". "Durante questo meeting - sottolinea - la porta è stata letteralmente chiusa a valori e fatti, mentre la società civile e gli scienziati che chiedevano la lotta all'emergenza climatica venivano addirittura temporaneamente esclusi dalla COP25. Invece, i politici si sono scontrati sull'Articolo 6 relativo allo schema del commercio delle quote di carbonio, una minaccia per i diritti dei popoli indigeni nonché un'etichetta di prezzo sulla natura. Ad eccezione dei rappresentanti dei Paesi più vulnerabili, i leader politici non hanno mostrato alcun impegno a ridurre le emissioni, chiaramente non comprendendo la minaccia esistenziale della crisi climatica".

I governi "devono ripensare completamente il modo con cui conducono queste trattative, perché l'esito di questa COP è totalmente inaccettabile", dichiara Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. C'era necessità, afferma ancora, "di decisioni che rispondessero alle sollecitazioni lanciate dalle nuove generazioni, che avessero la scienza come punto di riferimento, che riconoscessero l'urgenza e dichiarassero l'emergenza climatica. Anche per l'irresponsabile debolezza della presidenza cilena, Paesi come Brasile e Arabia Saudita hanno invece fatto muro, vendendo accordi sul carbonio e travolgendo scienziati e società civile".

L'accordo di Parigi "potrebbe essere stato vittima di una manciata di potenti 'economie del carbonio'. Da questa COP è tuttavia emerso che ci sono alcune forze positive al lavoro: la High Ambition Coalition durante questa settimana ha offerto un'ancora di salvezza, e i piccoli Stati insulari - conclude l'associazione - si stanno rafforzando di giorno in giorno, mantenendo vivo l'accordo di Parigi".

 

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