«Covid e vaccinazione per i sanitari: un decreto illiberale, una imposizione incomprensibile e inaccettabile»

Nessuno può volere mettere a rischio la propria vita in tempi di pandemia, e nessuno, meno che mai chi opera nel settore sanitario, può essere insensibile al problema di non diffondere il contagio da Covid e di non essere causa involontaria di ulteriori decessi, incluso il proprio. Ma il decreto che impone l'obbligo di vaccinazione ai sanitari è totalmente illiberale; questa imposizione è incomprensibile e inaccettabile.

«Covid e vaccinazione per i sanitari: un decreto illiberale, una imposizione incomprensibile e inaccettabile»

Nessuno può volere mettere a rischio la propria vita in tempi di pandemia, e nessuno, meno che mai chi opera nel settore sanitario, può essere insensibile al problema di non diffondere il contagio da Covid e di non essere causa involontaria di ulteriori decessi, incluso il proprio.

Ciò premesso, l’imposizione della vaccinazione anti Covid 19 per tutti i lavoratori del settore sanitario, ospedalieri, medici privati, veterinari, infermieri, dipendenti delle Rsa, farmacisti, e parafarmacisti stabilita dal DL 44/2021 è sia incomprensibile dal punto di vista sanitario, sia inaccettabile dal punto di vista della tutela dei diritti della persona.

Tanto è vero che il governo di uno degli stati che più hanno puntato sulla realizzazione di una campagna vaccinale di massa, effettuata a tappe forzate, il Regno Unito, ad oggi è rimasto fermo nella decisione di non rendere obbligatoria la vaccinazione, neppure per gli operatori del settore sanitario, e neppure di fronte al dato che solo i 2/3 di questi ultimi si sono sottoposti al vaccino.

Lo stesso dicasi dello Stato di Israele, modello insuperato nel realizzare una campagna vaccinale impressionante per efficienza e copertura: pur essendosi spinto ad approvare una legge per cui le autorità locali possono conservare gli elenchi delle persone non vaccinate (legge che sta suscitando un dibattito acceso nel paese), il governo israeliano ha rifiutato comunque di rendere la vaccinazione obbligatoria.

Considerato che l’Italia non è neppure un paese distintosi per l’efficacia delle misure adottate nel fare scendere i contagi o il numero dei morti rispetto ad altre nazioni, sapere che è l’unico paese ad avere reso obbligatorio il vaccino per gli operatori sanitari determina necessariamente l’esigenza di conoscerne le cause.

Pare che agli operatori sanitari sia destinato un vaccino diverso dall’AstraZeneca, oggetto di decisioni contrastanti che si sono avvicendate e sovrapposte in rapida successione ed altrettanto notevole confusione; le tormentose vicende di questo vaccino risultano assai utili a mettere a nudo alcune fondamentali questioni etiche, giuridiche e sanitarie dalle quali è impossibile prescindere per valutare i presupposti scientifici e gli strumenti autoritativi (nonché autoritari) che il Decreto Legge 44/2021 adotta per imporre l’obbligo vaccinale agli operatori sanitari.

Chi si è sottoposto al vaccino AstraZeneca è stato obbligato a firmare il Modulo del consenso informato, nel quale si legge: “Sono stato correttamente informato con parole a me chiare. Ho compreso i benefici ed i rischi della vaccinazione, le modalità e le alternative terapeutiche”. I soggetti vaccinati con l’AstraZeneca, pertanto, hanno dichiarato di assumersi consapevolmente i vantaggi ed i rischi dell’inoculazione. Molti che si sono sottoposti al vaccino nei mesi addietro non potevano sapere, né potevano saperlo le autorità sanitarie, che di lì a poco alcuni paesi ne avrebbero definitivamente sospeso l’uso, che altri lo avrebbero sospeso momentaneamente, e che infine altri paesi ancora ne avrebbero interdetto l’uso per certe fasce di età. Nessuno poteva sapere tutto questo in quanto, di fatto, l’autorizzazione dell’EMA all’utilizzo tanto dell’AstraZeneca, quanto del Pfeizer e di altri vaccini, era ed è condizionata perché i dati di efficacia e sicurezza disponibili sono insufficienti per un’autorizzazione completa. Si tratta, in realtà di una mera autorizzazione alla vendita determinata dall’eccezionalità della pandemia e non di un’approvazione, in attesa della conclusione degli studi: l’attuale campagna vaccinale è in pratica un proseguimento della sperimentazione.

Tuttavia, né dal punto di vista etico, né da quello giuridico si può dire che lo stato abbia prevaricato i diritti delle persone vaccinate, qualora siano state effettivamente ed esaurientemente informate dei rischi, in quanto la vaccinazione non avveniva su base obbligatoria.

Sappiamo, inoltre, che alcune delle persone che sono state vaccinate si sono ammalate o contagiate. Forse avrebbero contratto la malattia in forma più grave, qualora non fossero state vaccinate, e questo è il vantaggio di cui hanno potuto godere assumendosi il rischio di sottoporsi ad un vaccino le cui reazioni avverse a breve termine non sono state ancora studiate appieno, come hanno dimostrato i recenti provvedimenti di sospensione, e quelli a lungo termine sono assolutamente sconosciuti, dato che siamo nel pieno della sperimentazione.

I soggetti che si sono vaccinati, dunque, hanno accettato una scommessa: probabile attenuazione della malattia, se contratta, in cambio di un’incognita relativamente agli eventi avversi ed agli effetti collaterali, all’efficacia della vaccinazione come strumento preventivo ed a una conseguente stima approssimativa del rapporto rischi/benefici.

La legittimità della scommessa sulla conservazione o la perdita delle condizioni di salute di un individuo a causa dell’inoculazione del vaccino è garantita dalla volontarietà della scelta.

Questo dal punto di vista dell’individuo che si sottopone al vaccino.

Dal punto di vista di tutti gli altri individui che entrano in contatto con lui, ossia dal punto di vista dell’efficacia del vaccino come strumento di contenimento dell’epidemia e di realizzazione del cosiddetto “effetto gregge”, non possiamo garantire, in base agli studi finora condotti, né che le persone non si contagino entrando in contatto con un soggetto vaccinato divenuto positivo, né che le persone non contagino un soggetto che è stato vaccinato. Inoltre, la durata dell’immunizzazione non si conta in termini di anni, ma di mesi. Questo modifica ulteriormente il rapporto costi/benefici in una situazione in cui i primi non sono noti con sicurezza, mentre i secondi, qualora vi siano, hanno efficacia temporale limitata.

Il quadro fin qui delineato non risulta in nulla e per nulla diverso se si prendono in esame le caratteristiche del vaccino Pfeizer rispetto all’AstraZeneca. Infatti, questi sono i dati che vanno considerati ad oggi:

- L’efficacia dei vaccini Pfizer e Moderna può essere minore di quanto riportato dai produttori. L’mRNA presente nei vaccini ha manifestato problemi di instabilità;

- Restano ancora da definire molti aspetti, quali la possibilità di sviluppare una malattia polmonare più grave quando un vaccinato incontra i virus circolanti, come avvenuto per i vaccini contro SARS, MERS, RSV in modelli preclinici; effetti gravi sulle piastrine, o sulla pressione arteriosa; rischio di reazioni autoimmuni.

Sono queste le considerazioni, talora esplicite, talora implicite, alla base dell’uniformità di posizioni riscontrabili nei paesi dell’Unione Europea riguardo al non rendere obbligatoria la vaccinazione anti-Covid. Di qui la decisione del Consiglio di Europa Doc. 15212 11 dell’11 gennaio 2021 di non introdurre per alcuno l’obbligo del vaccino anti-Covid-19 sulla base di considerazioni etiche, legali e pratiche, come recita il titolo del documento ufficiale.

Ora immaginiamo, al contrario, un Decreto-Legge che abolisca il diritto dei soggetti di valutare e determinare, in base alla propria autonoma volontà, se accettare o no una tale scommessa, e cominci a negare tale diritto proprio a chi, operando nel settore sanitario, sia provvisto in media di più conoscenze specifiche e tecniche del resto dei cittadini. Di più: aggiungiamo nel testo di legge la disposizione per cui se gli appartenenti a questa categoria rifiuteranno di fare il vaccino, saranno adibiti a mansioni anche inferiori, e pagati proporzionalmente di meno, e, qualora non vi siano mansioni inferiori da assegnargli, saranno sospesi, senza alcuna retribuzione (Art. 4, c. 8). Nonostante siano dei professionisti che operano nel settore sanitario, medici ospedalieri o specialisti privati, infermieri o direttori di RSA, non si ritiene che tutta questa gente possieda né sufficienti requisiti intellettuali, né competenze professionali da poter stabilire se le proprie condizioni di lavoro e di salute innalzino o abbassino il rapporto rischi/benefici del vaccino, e pertanto lo rendano a seconda dei casi consigliabile o meno. Tutti questi professionisti si possono benissimo prendere il tempo per riflettere sulla questione e valutare l’opportunità di vaccinarsi, ma devono farlo senza stipendio.

Il Decreto, inoltre, colpisce più drasticamente chi esercita la professione al di fuori delle strutture sanitarie, negli studi professionali, o in farmacie o parafarmacie, in quanto, a differenza del personale dipendente da una struttura pubblica (che potrebbe vedersi demansionato o posto in aspettativa senza stipendio ma senza perdere il posto di lavoro) gli operatori privati, qualora non vaccinati nei tempi prescritti, si vedrebbero secondo questa prima stesura del Decreto, sospesi dai rispettivi Ordini professionali. Nel rispetto delle Direttive emanate, gli studi professionali dei sanitari e gli esercizi di vendita di prodotti sanitari non hanno rappresentato luoghi di contagio, al pari degli studi professionali di altre categorie a cui non è stato imposto l’obbligo, o di altri esercizi commerciali.

Sembra in sostanza la caricatura di un provvedimento di regime, mentre è la sintesi di un Decreto realmente varato dal Governo di un paese che si definisce costituzionale.

Ma quale governo costituzionale può avere condiviso un testo di legge che nel giro di pochi articoli abbatte alcuni pilastri della Costituzione? Che ne è in questa norma del diritto assoluto all’autodeterminazione sancito dagli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione e che garantisce a ognuno di noi di operare una libera scelta in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo e le proprie aspettative di salute e di vita? E che ne è dei diritti dell’individuo in materia di rapporti di lavoro, sanciti ancora una volta dagli artt.1, 4 e 36 della Costituzione e recepiti dall’art. 8 della legge n.300/1970 che vieta espressamente al datore di lavoro, sia ai fini dell’assunzione che nel corso dello svolgimento del rapporto, di effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione della attitudine professionale del lavoratore?

Ma anche se aderissimo alla logica secondo cui in tempi di emergenza i diritti costituzionali possono benissimo essere sospesi per fini di salute pubblica, un provvedimento del genere deve necessariamente fondarsi su risultanze mediche, sanitarie e scientifiche di chiara evidenza. Ossia, per riprendere l’art. 8 sopra citato della L. 300/1970, per lasciare senza lavoro un operatore del settore sanitario, la scelta di non vaccinarsi dovrebbe comportare l’impossibilità per il lavoratore di svolgere adeguatamente la propria professione senza determinare alcun effetto negativo sul corpo sociale. Al contrario, da qualsiasi punto di vista si analizzi il provvedimento in questione, la sola risultanza chiara è che esso cozza contro ogni logica scientifica, contro i dati sanitari e perfino contro il buon senso pratico:

a) In un momento in cui non disponiamo di un numero sufficiente di vaccini per coprire le categorie più fragili, per condizioni di salute o per età, si stabilisce per legge che indiscriminatamente venga vaccinata una intera categoria (ospedalieri, medici privati, veterinari, infermieri, dipendenti delle Rsa, farmacisti, e parafarmacisti) che contiene ovviamente persone di tutte le età, incluse persone giovani o giovanissime, meno suscettibili alle forme gravi della malattia, e cui il vaccino non impedirà né di ammalarsi, né di contagiare. 
b) Non alla mancanza di un vaccino, ma a carenze organizzative, all’assenza di DPI e in genere di materiale di protezione adeguato, alle inadeguatezze dei sistemi di tracciamento, al ricovero nelle RSA dei malati dobbiamo il fatto che nelle prime fasi della pandemia siano morti più di 300 medici, oltre ad un numero non noto di altri sanitari, tra cui molti infermieri. Senza contare che in Italia i contesti di trasmissione del virus vedono al primo posto quello familiare/domiciliare e successivamente quello sanitario assistenziale e lavorativo.

c) La durata della protezione vaccinale è ancora ignota: la protezione da infezione naturale, anche asintomatica, sembra maggiore e più duratura o almeno buona (80%) e senza declino a ≥7 mesi.

D) Gli effetti dei vaccini sulla trasmissione del virus sono ancora incompleti e con osservazioni limitate nel tempo. Gli asintomatici tra i vaccinati sono meno che tra i non vaccinati, ma potrebbero essere più insidiosi nel diffondere il virus perché, sulla base di una falsa percezione di sicurezza, potrebbero venir ridotte le opportune precauzioni. Inoltre, l’insorgenza di nuove varianti o la loro più estesa diffusione sul nostro territorio di quelle già presenti potrebbero annullare del tutto l’immunità acquisita con la vaccinazione. Varianti già emerse (diverse da quella UK) mostrano di ridurre la risposta anticorpale, anche 20-40 volte e probabilmente efficacia e durata della protezione (dimostrato per il vaccino Astra Zeneca)

e) I vaccini contribuiscono a creare una pressione selettiva che favorisce l’affermazione di varianti, la cui rapida emergenza sta già riducendo la risposta anticorpale ai vaccini di ~3 e 6 volte o più, fino all’irrilevanza, con plausibili ricadute anche su efficacia e durata della protezione.

f) Le reazioni avverse gravi ai vaccini, pur presenti con frequenze allarmanti negli RCT, si stanno evidenziando con la sorveglianza post-marketing, nonostante il sistema di sorveglianza passiva sottostimi notevolmente la frequenza e la gravità delle reazioni avverse dopo le vaccinazioni. La sorveglianza attiva nei RCT riporta reazioni severe (disabilitanti) di almeno due ordini di grandezza maggiori di quelle che la sorveglianza passiva. Tali eventi stanno inducendo modifiche nelle scelte dei vaccini da somministrare in base alle fasce di età e patologie pregresse. I dati di sicurezza a lungo termine non sono ancora disponibili: sussiste, come abbiamo detto sopra, la possibilità di sviluppare una malattia polmonare più grave quando un vaccinato incontra i virus circolanti, come avvenuto per i vaccini contro SARS, MERS, RSV in modelli preclinici; effetti gravi sulle piastrine, o sulla pressione arteriosa; qui rischio di reazioni autoimmuni.

A fronte di tanti elementi di incertezza e di dubbio, frutto di esame critico, che la scienza medica ufficiale fa emergere, i toni usati dal governo italiano nel decreto 44/2021 costituiscono l’espressione, senza reticenze e senza pudori, di una cultura politica pervasa dall’ossessione di annichilire, rispetto alla forza dello Stato, i diritti della volontà individuale, di abrogare tali diritti nei fatti, non potendo formalmente modificarne i presupposti costituzionali.

Nessuna scelta individuale può legittimamente mettere a repentaglio la salute pubblica, ma nessun dato fino ad ora, ma proprio nessuno, convalida l’idea che obbligando gli operatori sanitari a vaccinarsi avremo garantito il tassello fondamentale della strategia sanitaria volta a tutelare la salute del maggior numero possibile di individui, tassello che al contrario può essere individuato nella vaccinazione della fascia di persone più anziane e di quelle più a rischio, elemento cardine della politica vaccinale di quei paesi che hanno fino ad ora condotto con efficacia le campagne vaccinali, sempre, è bene ricordarlo, senza mai imporre l’ obbligo per il cittadino di aderirvi.

Opporsi a un provvedimento così inauditamente illiberale come il Decreto 44/2021 non è solo legittimo, ma doveroso in quanto si tratta di combattere i rigurgiti di una cultura politica reazionaria che si credeva scomparsa da decenni ma che evidentemente sopravvive come riflesso istintivo di una parte della classe dirigente, e che riaffiora nei momenti di emergenza nazionale quando urgenza ed allarme sociale creano un clima più favorevole alla sovversione delle regole, anche di quelle fondamentali, oltre le quali la società civile arretra non tanto e non solo sul fronte sanitario ma su quello generale della salvaguardia di diritti irrinunciabili per ognuno di noi, della pratica sostanziale, e non puramente formale, dei principi di reale tutela della nostra persona. Questa tutela è annullata da provvedimenti come quello in esame, e senza neppure che gli estensori di una tale norma sentano l’esigenza di giustificare, su basi scientifiche e razionali, la necessità di violare i caposaldi del sistema politico democratico cui dichiarano di appartenere.

 

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