Crisi climatica e disastri ambientali: parte la causa "Giudizio universale"

Scioglimento dei ghiacciai, siccità, desertificazione, eventi climatici estremi, estinzione di interi ecosistemi sono solo alcuni dei fenomeni che già oggi si verificano su tutta la Terra. E ora un raggruppamento di cittadini, associazione e professionisti ha deciso di fare causa allo Stato italiano.

Crisi climatica e disastri ambientali: parte la causa

«Gli scienziati ne sono certi: se continuiamo così, entro la fine del secolo le temperature aumenteranno di oltre 4°C. Abbiamo appena undici anni per bloccare tutte le politiche che generano emissioni e modificano il clima.
Giunti a quel punto, sarà troppo tardi. Nessuno dei leader mondiali ha colto il messaggio e l’urgenza del pericolo, nemmeno a casa nostra!»: queste le parole chiare e dirette del raggruppamento di movimenti, associazioni, cittadini e professionisti che ha dato vita alla causa che è stata chiamata "Giudizio universale".

«In moltissimi paesi, movimenti e cittadini stanno citando in giudizio Stato, istituzioni e imprese per costringerli ad attuare politiche realmente efficaci - spiegano i promotori - Abbiamo deciso di fare causa anche in Italia. Chiederemo allo Stato Italiano di attuare misure più stringenti per rispondere ai cambiamenti climatici e invertire il processo: se non ci pensiamo noi, nessuno lo farà al posto nostro».

Le concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno raggiunto nuovi record nel 2017, con la CO2 a 405.5 ppm (+146% rispetto ai livelli preindustriali). Rispetto al 1990, la capacità dei gas serra di alterare il bilancio energetico terrestre (forzante radiativo) è aumentata del 41% [WMO Greenhouse Gas Bulletin – No. 14].

«La causa sono le attività umane, e in primo luogo l’utilizzo di combustibili fossili - spiegano i promotori della maxi-causa - Nel 2010, il 35% delle emissioni globali provenivano dal settore dell’approvvigionamento energetico, il 24% dal settore dell’agricoltura, silvicoltura e altri usi della terra, il 21% dall’industria, il 14% dai trasporti e il 6.4% dagli edifici [IPCC Fifth Assessment Report]. Il 71% di tutte le emissioni industriali dal 1970 a oggi sono state causate da appena 100 industrie produttrici di combustibili fossili [CDP Carbon Majors Report 2017]. Le emissioni globali inoltre non mostrano nessun segno di voler diminuire: sono anzi ancora aumentate nel 2017 [UNEP Emissions Gap Report 2018]. Al contrario, per restare entro la soglia dei 2°C di riscaldamento globale, entro il 2030 dovremmo tagliare le emissioni del 25% rispetto al 2010 e raggiungere lo zero netto nel 2070, mentre per restare entro 1.5°C nel 2030 le emissioni dovrebbero essere del 45% più basse rispetto al 2010 ed essere pari a zero già nel 2050. Se continuiamo su questa strada, già nel 2030 potremmo raggiungere un riscaldamento globale di +1.5°C, e a fine secolo potremmo arrivare a oltre 4°C in più [IPCC Special Report: Global Warming of 1.5°C]».

«L’Italia è parte del cosiddetto gruppo dei Paesi sviluppati, quelli che storicamente sono i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra a livello globale - prosegue il raggruppamento - Rispetto al 1990, al 2017 le nostre emissioni si sono ridotte di appena il 17.4% [ISPRA], mentre già nel 2007 l’IPCC chiedeva che i Paesi sviluppati riducessero le emissioni del 25-40% entro il 2020 [IPCC Fourth Assessment Report]. Inoltre, parte di questa riduzione è dovuta sia alla crisi economica del 2008 e al conseguente calo della produzione, sia alla delocalizzazione di alcuni settori produttivi all’estero [ISPRA], e non a politiche climatiche efficaci».

«I nostri target di riduzione per il futuro sono del tutto insufficienti rispetto a quanto la scienza ci chiede per sperare di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia degli 1.5°C: anche la proposta di Piano Nazionale Energia e Clima presentata a fine 2018 è stata giudicata troppo poco ambiziosa [European Climate Foundation]».

A livello globale, un riscaldamento di anche solo di 1.5°C delle temperature significa interi ecosistemi distrutti ed estinzione di massa delle specie animali e vegetali, un aumento del 100% del rischio di inondazioni, 350 milioni di persone esposte a rischio idrico e siccità, 46 milioni colpite dall’innalzamento del livello dei mari, il 9% della popolazione mondiale esposta a ondate di calore. Tutto questo porterà al collasso dei sistemi di produzione del cibo, metterà sotto alto stress le società attuali incrementando i conflitti e le migrazioni di massa di intere popolazioni.

E per l’Italia? La geografia e la topografia del nostro territorio, che costituiscono l’unicità del nostro Paese, ne determinano anche l’estrema fragilità di fronte ai cambiamenti climatici. L’area mediterranea è infatti particolarmente a rischio: si riscalda una volta e mezzo più velocemente del resto del mondo, e con un riscaldamento di 2°C globale vedrebbe la propria disponibilità di acqua, già scarsa, ridursi di ben il 17%.

Anche la zona alpina è un hotspot dei cambiamenti climatici: lo scioglimento dei ghiacci perenni porterebbe alla perdita di fondamentali riserve d’acqua che alimentano le comunità che vivono alle pendici delle montagne, l’equilibrio degli ecosistemi verrebbe fortemente compromesso e aumenterebbe il rischio idrogeologico.

Di fatto, le temperature medie italiane sono già circa un grado e mezzo più alte rispetto al periodo preindustriale, con tutte le conseguenze in termini di disponibilità d’acqua, siccità, ondate di calore, ma anche fenomeni estremi come piogge, grandinate e nevicate forti e improvvise, inondazioni, trombe d’aria.

L’innalzamento del livello dei mari globale inoltre porterà alla scomparsa di molte aree, soprattutto costiere: esempi emblematici sono Venezia, la città sull’acqua, gran parte della Pianura Padana, la Liguria e tutte le regioni che si affacciano sul mare.

«Sono stati individuati numerosi limiti dell’Accordo di Parigi - aggiungono i promotori della causa - ma il più grande è che, seppure tutti i contributi nazionale degli Stati venissero pedissequamente implementati, porterebbero nel 2100 a un innalzamento della temperatura globale di oltre 3°C, mancando quindi del tutto l’obiettivo. Per mantenersi entro la soglia di +2°C, gli sforzi attualmente previsti dai Paesi per il 2030 andrebbero triplicati, e quintuplicati se si vuole perseguire l’obiettivo di 1.5°C [UNEP Emissions Gap Report 2018]».

I promotori della causa chiedono:

-che lo Stato italiano riconosca la gravità della situazione in cui si trova l’Italia e agisca di conseguenza.

-che siano riconosciute le violazioni dei diritti umani causate dagli impatti dei cambiamenti climatici.

-che vengano adottati target di riduzione delle emissioni in linea con quanto ci chiede la scienza per mantenere il riscaldamento globale entro la soglia prudenziale di +1.5°C rispetto al periodo preindustriale.
 

L'Unico Mondo che AbbiamoVoto medio su 4 recensioni: Da non perdere
Pensare come le MontagneVoto medio su 6 recensioni: Buono
Apocalypse Now?
Insieme per Salvare il Mondo

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.