Difendiamo i nostri boschi

I boschi italiani, ci dicono i dati e le fonti ufficiali, sono in aumento. Lo dicono e non mentono. Almeno non “ufficialmente” Il problema è intendersi sul significato di “boschi”.

Difendiamo i nostri boschi

Per l’enciclopedia Garzanti del 1964, che io ho ancora tutta intera dai tempi delle medie e ancora mi è utile consultare ogni tanto, i boschi sono «vaste associazioni di vegetazione arborea o fruticosa, spontanea o di origine artificiale. Generalmente costituiti da piante di alto fusto, accompagnate da un sottobosco di arbusti… Grande è la loro importanza soprattutto in montagna, in quanto trattengono l’acqua e impediscono le frane. Perciò il taglio del bosco deve essere regolato… essi sono sottoposti a una speciale disciplina giuridica che ne assicura la conservazione al fine di evitare che possano con danno pubblico subire denudazioni».

I tempi cambiano e le leggi pure, ultimamente quasi sempre in peggio. “L’appetito vien mangiando” dice il proverbio, e il capitalismo del ventunesimo secolo, a furia di strafogarsi, ha sviluppato un appetito tale che potrebbe divorarsi persino tutti i nostri boschi. Che però rimarrebbero ufficialmente “boschi”. Come e perché?

Per esempio, la legge del 2000 della Regione Toscana per il taglio del bosco ceduo, e per la quale Panda, la rivista del WWF intitolò “Toscana rasa al suolo” prevede che si possa tagliare a raso, cioè senza lasciare neanche un albero, fino a mille metri quadri di bosco, indipendentemente dalla pendenza dei suoli, dal clima, dalla natura del terreno, e senza bisogno di permessi e controlli. Quei mille metri quadri denudati risulteranno sempre ufficialmente bosco.

Per chi non lo sappia, nel nostro paese non è previsto alcun rimboschimento, dove il bosco viene tagliato. E’ previsto e dato per scontato che dalle radici nascano nuovi polloni. Il che non sempre accade, dato che i tagli si ripetono costantemente e che a volte anche le piante si stancano di essere sfruttate.

Durante l’Impero Romano nel suo massimo splendore, le foreste dell’Appennino furono rase al suolo: il legname serviva per l’industria edilizia che anche allora non scherzava, serviva per le navi commerciali e per quelle da guerra di cui c’era un gran bisogno e poi, naturalmente, era una merce in sé. Allora, come oggi, tutto si vendeva e si comprava.

L’erosione dei suoli dovuta al disboscamento fu allora talmente vasta e massiccia che ad essa dobbiamo ancora in parte la conformazione delle nostre coste, tanta fu la terra

portata dalla pioggia ai fiumi, dai fiumi al mare. Con ripetute alluvioni, come si può ben immaginare.

Dopo la caduta dell’Impero, in quegli “anni bui” in cui il commercio sparì e con esso anche la schiavitù, le terre ricominciarono ad essere coltivate da libere comunità contadine e le foreste tornarono a ricoprire le montagne.

Per venire di nuovo distrutte nel medioevo più tardo, quando le “forze produttive” si stavano sviluppando alla grande, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo rifioriva altrettanto velocemente e i mercanti delle città italiane possedevano milioni di pecore che brucavano in appennino per fornirli di lana e tessuti da vendere in tutta Europa e anche oltre, in competizione con fiamminghi e inglesi (possiamo considerarli i Benetton dell’epoca). Dunque, dopo aver fatto scomparire le libere comunità contadine col ferro e col fuoco, detti mercanti facevano sparire le foreste per metterci a pascolare i loro futuri tessuti.

Ma almeno loro, i romani imperiali e i mercanti italiani (o inglesi o fiamminghi) della fine del medioevo, non avevano il problema del riscaldamento del pianeta e dell’aumento sempre più veloce dell’effetto serra.

Noi questo problema ce l’abbiamo, è il problema vitale della nostra epoca, quello che sta mettendo a repentaglio il futuro del pianeta. E abbiamo, nell’Impero Globale, anche il problema di tutti gli imperi: quello dello “sviluppo” dell’avidità e della corruzione, del dominio e dello sfruttamento.

In quest’epoca di sviluppo si stanno sviluppando le cosiddette “imprese forestali”, che hanno soppiantato i vecchi boscaioli.

Da quando le cosiddette “imprese forestali” hanno fatto irruzione sulla scena, le Regioni italiane, o almeno buona parte di esse, hanno cambiato le leggi che regolano il taglio del bosco. Rendendole molto più vantaggiose per le imprese, a discapito dei boschi, della biodiversità, dell’equilibrio idrogeologico, della produzione di ossigeno e dell’assorbimento di anidride carbonica. A discapito della vita.

In Toscana, per fare un altro esempio (ma sicuramente altre Regioni ci darebbero esempi non meno agghiaccianti), se si vuole tagliare più di 1000 metri quadri, cioè fino a cinque ettari (50.000 metri quadri) qualcosa bisogna lasciare: sessanta alberini per ettaro, metà dei quali di almeno vent’anni. Si parla di querce, castagni. Sessanta fuscelli ogni diecimila metri quadri.

E quegli ettari denudati saranno sempre ufficialmente “bosco”.

Quando voi vedete colline o pendii di montagne coperte da un bel manto verde di alberi frondosi e sani, pensate di vedere bellezza, vita rigogliosa e varia, speranza per il futuro vostro e dei vostri figli.

Ma c’è chi invece vede quattrini: centinaia di migliaia di euri di legname pregiato, legna da ardere, pellet, cippato, biomasse per le centrali elettriche liberalizzate.

In tempi di crisi economica perché limitarsi a disboscare l’est Europa, l’Africa o l’Asia? Abbiamo risorse nostrane da sfruttare, risparmiando così sul trasporto.

E così, come sempre quando ci sono grossi interessi economici in ballo (“gli OGM ci salveranno dalla fame”, “l’energia nucleare ci salverà dall’inquinamento”), sono nati anche gli ideologi del “taglio del bosco come necessità sociale nazionale”.

Costoro sono allarmati per “la crescita incontrollata dei boschi italiani”. Vogliono controllarla loro, la crescita, e in questo unico caso trasformarla in decrescita, e gli amministratori regionali italiani li aiutano a farlo.

La teoria è che un bosco non “gestito”, e per gestione intendono solo il taglio degli alberi e niente più, sia pericoloso per sé e per gli altri.

“Una foresta impenetrabile” dice l’esperto di turno parlando di boschi che non vengono tagliati “è quasi indifendibile in caso di incendi o di attacchi parassitari” perché, secondo lui “c’è molto meno spazio tra un albero e l’altro, il sottobosco è impenetrabile”. Fingendo di non sapere e di non vedere quello che chiunque abbia occhi, collegati ad almeno qualche centimetro cubico di cervello, può capire e constatare di persona: che più il bosco cresce, più gli alberi diventano grandi e le loro chiome si espandono coprendo il suolo e attenuando la luce, più il sottobosco, privato di luce, si riduce a poche e piccole piante. Quindi il bosco maturo con grandi alberi e chiome espanse, è proprio quello dove si può entrare e che si può percorrere con più facilità. Quanto agli attacchi parassitari, come constatiamo noi che viviamo in Toscana dove i boschi collinari sono praticamente monoculture di cerri e roverelle tagliati e ritagliati da secoli, una delle loro cause è proprio il sovra sfruttamento del bosco e la mancanza di biodiversità.

Rimpiangono, questi esperti, i bei tempi in cui “era quasi impossibile trovare un ramo secco in un bosco”, ma dimenticano di dire che le “imprese forestali” di cui stanno facendo gli interessi schiaffano e abbandonano sul terreno del bosco tonnellate di ramaglie ammassate in mucchi, perché non è per loro redditizio perdere tempo per tagliare rami medi e piccoli e per portarli via. Questa è la “gestione” di cui parlano.

E mentre alberi e rami morti, nella quantità spontanea e naturale di un bosco, hanno un’importante funzione per la vita di molte specie animali e vegetali (dai picchi ai rapaci notturni, agli insetti predatori, ai batteri e alle muffe, ai muschi e licheni) che contribuiscono all’equilibrio naturale e alla salute del bosco, i mucchi di ramaglie alti un metro e più, quelli sì impenetrabili, impediscono la crescita di qualsiasi nuovo alberello. Mentre agevolano rovi, edere e vitalbe.

Ma questo non preoccupa gli ideologi del “tagliamo i boschi per il loro bene”. Come non li preoccupa che le “imprese forestali qualificate” usino enormi macchinari, gru e scavatrici, camion e mastodontici trattori dentro i boschi, distruggendo il suolo, danneggiando anche gli alberi che non tagliano, facendo piste di esbosco che alla prima pioggia diventano fiumi di fango inarrestabili.

La paura della natura, vista come minaccia da tenere a bada, che contraddistingue la cultura della civiltà occidentale, ha reso facile diffondere l’idea che il bosco vada “regolato” o, come si dice ora, “gestito”. Un’idea che si sposa anche a quella cultura per la quale l’uomo ne sa più della natura, che è stupida e rozza e va “migliorata”, che sappiamo come perfezionarla.

E’ un’idea che corrisponde semplicemente a degli interessi economici, e non certo agli interessi delle foreste, che senza di noi hanno vissuto e vivono e prosperano allegramente.

Certo, il bosco si può anche tagliare senza distruggerlo, ma allora regole e leggi dovrebbero essere ben diverse e privilegiare il suo benessere e non il lucro delle imprese forestali, come sta succedendo.

“Nuovi posti di lavoro!”. Ecco un altro degli argomenti. E chi vive dove ci sono i boschi li vede, questi nuovi posti di lavoro. Anche le guardie forestali li vedono, quando gli operai delle imprese forestali scappano al loro arrivo perché lavorano in nero e senza permesso di soggiorno. Ma anche nel migliore dei casi, questi immigrati dell’est Europa che non hanno orario di lavoro se non quello del sorgere e tramontare del sole, non hanno neanche caschi, guanti e le tute protettive per le motoseghe, che possono significare vita o morte.

Ed ecco i posti di lavoro per gli immigrati che, come si può constatare “sono una ricchezza”. Per chi li può sfruttare. Come i boschi.

E come dice l’esperto: “L’Italia ha nei suoi boschi un potenziale economico inutilizzato”.

Perché ormai siamo tutti, donne, uomini, bambini, animali, terra, acqua (a quando l’aria?) “potenziali economici”.

Così, mentre la Forestale lancia allarmi perché ormai in alcune zone d’Italia si disbosca illegalmente, i nostri politici-amministratori, che si preoccupano della legalità hanno trovato un modo semplice per combatterla: rendere legale quello che prima non lo era.

Per essere ancora più sicuri di eliminare l’illegalità, hanno deciso di eliminare anche il Corpo Forestale dello Stato, e di togliere alle Guardie Provinciali la competenza sui reati ambientali.

Cos’è l’ambiente? Si può vendere? E’ quotato in borsa?

I boschi non sono “legna”. Così come gli animali non sono “carne” e gli esseri umani non sono “manodopera”.

I boschi sono vita; sono terra, aria e acqua protette e rigenerate; sono animali di ogni specie, frutti e fiori; sono barriere all’erosione e alla desertificazione. Anche all’erosione e alla desertificazione delle nostre anime, della nostra cultura, dei nostri sogni.

Difendiamo i nostri boschi dalla rapacità rovinosa di un sistema ormai del tutto distruttivo e autodistruttivo. Difendiamo la Vita.

 

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