Si dimettono i vertici dell'Ilva, si va verso la chiusura degli impianti?

Dopo le dimissioni del direttore dello stabilimento Capogrosso arrivano quelle di Nicola Riva, figlio del patron Emilio e presidente del consiglio d'amministrazione della società. Entrambi sono indagati per disastro ambientale in un'indagine che sembra volgere finalmente al termine con alcuni impianti dell'azienda che rischiano la chiusura.

Si dimettono i vertici dell'Ilva, si va verso la chiusura degli impianti?
Continuano a piovere guai sull'Ilva di Taranto. Dopo le dimissioni del direttore dello stabilimento, l'ingegner Luigi Capogrosso, avvenute una settimana fa, ecco arrivare quelle del presidente del consiglio d'amministrazione della società. Trattasi di Nicola Riva, figlio dello storico patron Emilio, che proprio nel maggio 2010 era succeduto al padre alla guida del gruppo. Le dimissioni sono state accompagnate da un laconico comunicato dell'azienda. “Ilva SpA comunica che il rag. Nicola Riva ha rassegnato le dimissioni dalla carica di componente e presidente del cda. Le dimissioni sono state accettate dal consiglio che ha ringraziato il rag. Nicola Riva per l’attività svolta e ha cooptato il dott. Bruno Ferrante, il quale ha contestualmente assunto la carica di presidente con i relativi poteri”. Tanto l'ingegner Capogrosso quanto Nicola Riva sono indagati dalla procura di Taranto per disastro ambientale. Assieme a loro, Emilio Riva e Angelo Cavallo, altro dirigente dell'azienda. L'inchiesta sembra ormai vicina alla conclusione. Dopo gli accertamenti sanitari e quelli ambientali il quadro si è andato delineando in maniera sempre più coerente davanti agli occhi del pool di magistrati composto dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccolieroe Giovanna Cannarile. Un quadro dalle tinte agghiaccianti, che, se le accuse fossero confermate, vedrà l'azienda responsabile di aver danneggiato in maniera irreparabile l'ambiente circostante, inquinato il mare e l'aria, fatto ammalare i propri dipendenti e gli abitanti dei quartieri circostanti. Le perizie riportano infatti che dallo stabilimento fuoriescono varie sostanze nocive sotto forma di gas, vapori, polveri. Solamente dall'area di stoccaggio delle polveri situata nei pressi del quartiere Tamburi si diffondono ogni anno 668 tonnellate di polveri tossiche; le emissioni dell'intero stabilimento raggiungerebbero le 2mila tonnellate. Polveri spesso mortali. "È emerso - si legge ancora nella perizia - un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71), della prostata (+50) e della vescica (+69). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64) e le malattie cardiache (+14). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135) e dell'encefalo (+111). Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai della industria siderurgica è confermato dall'analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie". Fra le misure richieste dai magistrati e sottoposte al vaglio del gip Patrizia Todisco figurerà probabilmente il sequestro degli impianti. La notizia di una possibile chiusura dell'Ilva ha già suscitato non poche reazioni. Alla gioia della associazioni ambientaliste e di molti abitanti della zona, si contrappone la paura degli operai. 5000 posti di lavoro potrebbero svanire da un istante all'altro. È anche per questo che probabilmente il processo al “mostro inquinante” si è protratto così a lungo nel tempo, oltre 20 anni. “La chiusura sarebbe un disastro” hanno gridato da subito i sindacati. Ma il vero disastro è quello che va avanti da oltre un secolo, da quando cioè l'acciaieria fu fondata nel 1905. Intanto nella serata di ieri il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha convocato proprio per questa mattina una riunione tecnica sull'Ilva, cui sono stati invitati rappresentanti del ministero dello Sviluppo Economico, del ministero per la Coesione Territoriale e della Regione Puglia. Una riunione, si legge in una nota diffusa dal ministro, “finalizzata all'esame della situazione dello stabilimento Ilva di Taranto, con particolare riferimento alla recente iniziativa della Magistratura a carico dell'impresa per i reati di inquinamento ambientale” nella quale “verrà esaminato lo stato delle iniziative in corso in relazione all'autorizzazione ambientale integrata degli impianti ed alla bonifica del sito industriale”. Ma in questi giorni, quando si parla dell'Ilva, non sono solo i guai a piovere. Su una donna alla guida della sua 600 sulla Statte-Taranto che costeggia lo stabilimento siderurgico è piovuto qualcosa di ben più consistente: un tubo d'acciaio lungo sei metri, caduto per errore durante uno spostamento. Il tubo è sfuggito dal carrello con cui un dipendente dell'Ilva lo stava trasportando ed è rotolato giù verso la recinzione esterna; la velocità e la massa del tubo hanno fatto sì che questo sfondasse la recinzione e si scaraventasse per strada, dove si è schiantato sulla macchina distruggendola, ma lasciando miracolosamente intatta la conducente. Il tubo ha poi colpito una seconda vettura per fermarsi infine qualche metro più avanti. I guai, si suol dire, non vengono mai da soli. Sembra che il destino abbia deciso di presentare il conto all'acciaieria, tutto assieme, per anni di reati ambientali e alla salute rimati impuniti.

Commenti

E' una vittoria innanzi tutto della civiltà. Nel 2002 a Genova furono chiuse le cockerie, qui a Taranto sono rimaste aperte fin'ora, nonostante siano anche più grandi di quelle di Genova. A tutti coloro che dicono che bisogna trovare l'equilibrio tra lavoro e ambiente, la risposta è: con un industria del genere, non esiste equilibrio. La proprietà dovrebbe sostenere troppi costi, per salvaguardare l'ambiente: evidentemente deciderà di andare a produrre acciaio in posti dove la manodopera costa una miseria, e dove non esistono leggi di salvaguardia ambientale. Siamo stufi di vedere morire persone non tanto anziane, amici giovani per mali oscuri, bambini adolescenti e neonati, vedere ammalati i nostri cari di malattie strane. BASTA. Siamo stufi di subire in silenzio questo ricatto. Preferiamo morire di fame, piuttosto che di malattie. Quando la salute funziona, il pane per mangiare te lo vai a cercare, ma se ti ammali, non hai la forza nemmeno per respirare!
Antonio R., 13-07-2012 02:13
Mi stupisco che possano essere scritti articoli di questo genere, lo scrivente credo non abbia minimamente idea di ció che velatamente vuol far intendere, quello é un impianto industriale siderurgico, con tutte le conseguenze ambientali che impianti di questo genere possono sollevare, conosciendo bene la tematica industriale oggetto di cronaca, faccio presente che l ubicazione dello stabilimento fu definita dallo stato e non certo dal gruppo Riva, inoltre i danni ambientali maggiori furono lasciati in eredità al proprietario odierno proprio dall Italsider, azienda statale per l appunto. Mi risulta siano stati fatti dal gruppo Riva enormi investimenti per mettere in linea la situazione ambientale, tanto ancora si puó certamente fare e verrà fatto, ma in tempi e modi che possano avere una programmazione in linea con le possibilità finanziarie dell azienda in relazione alle plusvalenze generate dall attività industriale, che certamente in questi momenti di contrazione mondiale non sono certo rosei, mi stupisco che avvenga questo accanimento gratuito da parte di una certa carta stampata, senza tener conto della gravità di un eventuale chiusura di uno stabilimento di queste proporzioni industriali. Tenete conto che oltre le 5000 maestranze in gioco, ci sono in gioco interessi commerciali che coinvolgono operatori e lindotto sparsi in Italia ed a livello mondiale. Con la vostra politica di contestazione senza logica ma semplicemente demagogica, avete portato il comparto produttivo siderurgico e non solo al baratro. In Italia avevamo aziende importantissime e lider in vari settori industriali che grazie a Voi non esistono piú, e se oggi ci troviamo in questa situazione, in quota parte la responsabilità é di chi ha avvallato queste teorie. No alle centrali nucleari, no al comparto siderurgico, accanimento su tutti i settori che possono creare problemi ambientali, senza mai affrontare i problemi cercando delle soluzioni oggettive e ci sono, per poter coniugare la produzione industriale ad una giusta situazione ambientale, trovando cittadini stato e aziende, soluzioni eque e con investimenti programmati e spalmati nel tempo. In Italia come sempre, facciamo danni enormi e nessuno dice nulla. Poi tutto d incanto ci si sveglia e si ha pretesa che anni di squilibbrio totale vengano risolti incriminando aziende e classe dirigente delle stesse. Vedete di essere propositivi e non distruttivi se tenete al sistema Italia, in caso contrario noi chiuderemo tutte le nostre iniziative industriali e se gentilmente ci fornisce il suo indirizzo ci stabiliamo in pianta stabile pressi di lei. Saluti Fulvio Caminada da Bergamo
Fulvio caminada, 13-07-2012 06:13
PAZZESCO, IN QUESTO PERIODO CHE NON CI STA LAVORO MI PARLATE DI 5000 ESUBERI PER POLVERI TOSSICHE? A PARERE MI E' LA CITTA' CHE SI DEVE SPOSTARE, OPPURE METTIAMOLA COSI', L'ILVA CHIUDE MA LA REG. PUGLIA SI PAGA I CASS'INTEGRATI SENZA ATTINGERE DAL NORD. OK?
ANDREA, 13-07-2012 07:13
La chiusura sarebbe una tragedia che si aggiungerebbe a quella dell'inquinamento ambientale e della salute. Ci sarebbe un'alternativa che in Italia non si realizzerà mai. Lo Stato dovrebbe, insieme all'azienda, investire nel trasformare la produzione in sostenibile e non inquinante, e nel recupero e bonifica di tutta la città, le campagne, i mari, le spiagge inquinati in 40 anni di industrializzazione selvaggia. Si creerebbe lavoro per migliaia di persone e si ridarebbe a Taranto, che così tanto ha pagato, un giusto risarcimento, e dopo la bonifica si potrebbe investire, anche attirando capitali privati, in turismo di qualità e sostenibile, gastronomia, arte, cultura, agricoltura biologica, ecc. Ma considerando gli obiettivi di questo governo e della classe imprenditoriale italiana, la chiusura andrebbe a loro vantaggio: le migliaia di disoccupati saranno ancora più disponibili a lavorare a stipendi da fame, per la criminalità; l'azienda potrà finalmente trasferire produzione nei paesi dell'est o dove costa meno la manodopera.
germano, 15-07-2012 10:15
Al primo posto la salute, non il business. Senza salute, niente pane. Che chiuda pure, è arrivato il momento di cambiare. Oppure lasciamola aperta, ma prepariamoci ad essere una città ancora più malata
Antonio R., 17-07-2012 07:17

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.