Ecuador, la Chevron condannata per danni ambientali

È una sentenza storica quella emessa in Ecuador, dopo 17 anni di battaglie legali, ai danni della Chevron, che sarà costretta a pagare un risarcimento altissimo per i gravi danni ambientali provocati alla foresta amazzonica tra il 1964 ed il 1990, con le attività estrattive.

Ecuador, la Chevron condannata per danni ambientali
C’è voluto molto tempo, ben 17 anni di battaglie legali, ma alla fine la compagnia petrolifera Texaco, oggi assorbita dalla Chevron, dovrà pagare 9.510 milioni di dollari (8.646 milioni per multe e risarcimenti, più il 10% che impone la Legge sulla gestione ambientale) per i danni all’ambiente commessi in Ecuador durante la sua attività tra il 1964 ed il 1990. Di questa cifra, 5.396 milioni, saranno destinati alla bonifica del suolo; 1.400 milioni per riparare i danni causati alla salute pubblica degli abitanti della zona; 800 milioni per istituire un Fondo sulla salute e 600 milioni per purificare le acque sotterranee. Si tratta di uno dei risarcimenti più alti della storia che va a compensare, sempre parzialmente, una sciagura che ha i contorni di un vero e proprio disastro ambientale. Durante la permanenza sul territorio ecuadoregno, infatti, l’allora Texaco ha riversato più di 68.000 milioni di litri di rifiuti tossici nei fiumi amazzonici ed ha abbandonato nella foresta circa 900 pozze stracolme di residui provenienti dalle attività di estrazione petrolifera. Come se non bastasse la compagnia, a causa di cedimenti strutturali dell’oleodotto, ha disperso nell’ambiente 64 milioni di litri di greggio. Sarebbe stata possibile una cosa del genere negli Stati Uniti, patria della Chevron? No, ecco perché. Nel 1942 lo Stato della Luisiana richiese che le acque reflue ed i rifiuti tossici fossero incanalati nei canali naturali di drenaggio, costringendo la Chevron ad impiegare la cosiddetta reinjection technology, una tecnica che permette di smaltire le acque tossiche attraverso condotti di scarico che le riconducano verso i campi petroliferi esistenti nell’entroterra dello Stato. Stessa cosa fece il Texas nel 1969, impedendo che si scaricassero rifiuti tossici nei fiumi e nei torrenti, anche quelli asciutti. Nel 1958 e nel 1960 lo Stato della California concesse alcuni permessi alla Chevron specificando che gli scarichi non avrebbero dovuto inquinare le falde acquifere ed i bacini imbriferi. Inoltre, era permesso soltanto lo sversamento degli scarichi con bassa salinità e bassi livelli di cloruro e boro. Non da ultimo, nel 1970 la United States Environmental Protection Agency ha perentoriamente impedito lo sversamento di acque reflue provenienti da processi industriali nelle acque navigabili. In Ecuador non è mai esistito nulla di tutto ciò ed in più lo sversamento delle acque reflue della Chevron hanno superato di gran lunga quegli standard che invece erano imposti negli Usa. Quella che è stata emessa lunedì scorso dal Giudice Nicolás Zambrano della Corte di Giustizia di Nueva Loja, capitale della provincia nororientale di Sucumbíos, è una sentenza che ripaga le denunce fatte contro la compagnia, a partire dal 1993, da circa 30.000 indigeni e coloni, appartenenti ad 80 comunità diverse. La vittoria degli indigeni, tutelati dall’avvocato Pablo Fajardo, ha dello storico non soltanto per il tetto economico del risarcimento, ma anche per il fatto che, a differenza di altri disastri ambientali capitati all’improvviso e tutti in una volta (pensiamo al disastro della Exxon Valdes nel 1989 o l’ultimo del Golfo del Messico nel 2010), in questa circostanza si è arrivati a punire penalmente una pratica criminale sistematica durata quarant’anni. La Chevron ha già fatto sapere, attraverso un comunicato, di non accettare la sentenza “illecita ed inapplicabile, frutto di una frode e contraria all’evidenza scientifica legittima”, di non avere alcuna intenzione di pagare il risarcimento e di voler ricorre in appello. Per giustezza di cronaca, va detto che neanche gli avvocati delle vittime si dicono soddisfatti della sentenza in quanto il risarcimento era stato fissato ben al di sopra di quanto pattuito dal Giudice: 113 miliardi di dollari. Secondo quanto riportato dall’avvocato Fajardo, infatti, la Corte, per stabilire l’ammenda da comminare alla Chevron si è basata su circa cento studi e perizie molti dei quali commissionati proprio dalla Compagnia incriminata. Difficile, del resto, non condividere le riserve degli avvocati se si guardano i dati ufficiali relativi alla mortalità in Ecuador stilati dalla organizzazione Amazon Defense Coalition secondo i quali entro il 2080 nella foresta ecuadoriana esiste un potenziale di 10.000 morti per cancro nonostante le previste (e parziali) opere di bonifica volte al recupero dell’ecosistema. Ad oggi, secondo il pool di avvocati che difendono le vittime, esistono già numerosi casi di leucemia, soprattutto infantile, cancro e patologie epatiche, respiratorie e dermatologiche causate dalle sostanze tossiche che hanno corrotto il sottosuolo e minato la salubrità delle falde acquifere e dei fiumi. La Chevron ha sempre cercato di insabbiare tutto ciò che nuocesse alla propria immagine di compagnia virtuosa, sia l’accusa di frode scientifica , sia l’accusa di smaltimento illegale di rifiuti tossici, sia quella per il falso campionamento del suolo. In Ecuador, però, a quanto pare, qualcuno è stanco di mangiare petrolio.

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