Un'estate al mare, ma le spiagge ci saranno sempre? Risponde il Prof. Pranzini

Le spiagge italiane sono minacciate dall'erosione costiera, fenomeno che interessa oggi gran parte delle coste sabbiose della nostra penisola. Per saperne di più abbiamo intervistato il professor Enzo Pranzini, docente e ricercatore presso l’Università di Firenze, che studia il problema dell’erosione costiera fin dai primi anni ’70 ed ha avuto modo di lavorare a progetti di riequilibrio dei litorali in Italia e all’estero.

Un'estate al mare, ma le spiagge ci saranno sempre? Risponde il Prof. Pranzini
Come tutti gli anni, anche se ultimamente un po’ meno a causa della crisi, milioni di italiani si preparano psicologicamente alle vacanze ed in molti sceglieranno immancabilmente il mare. Possiamo descrivere il nostro Paese come una lunga penisola circondata da quasi 8000 chilometri di costa a tratti rocciosa e a tratti costituita da lunghe distese di sabbia. Si tratta di ambienti di alto valore paesaggistico e naturalistico ma che, proprio per la loro attrattiva turistica e per l’importanza economica che rivestono, subiscono spesso un degrado notevole. A questo si aggiungono dinamiche naturali molto complesse nelle quali l’attività umana risulta rischiosissima: l’ambiente delle coste è infatti di per sé estremamente fragile. Questa fragilità si può riscontrare nell’osservare uno dei fenomeni più eclatanti: l’erosione costiera. Tale fenomeno nuovo colpisce oggi gran parte delle coste sabbiose di tutta la nostra penisola ed impegna in una continua lotta amministrazioni locali, ricercatori ed imprese per tentare di contenerne i danni. Cerchiamo perciò di capire che prospettive riserva il futuro per le nostre spiagge con uno dei massimi esperti a livello internazionale, il professor Enzo Pranzini, docente e ricercatore presso l’Università di Firenze, che studia il problema dell’erosione costiera fin dai primi anni ’70 ed ha avuto modo di lavorare a progetti di riequilibrio dei litorali in molte regioni d’Italia ed anche all’estero. Attualmente è direttore della rivista Studi costieri e presidente del Gruppo Nazionale per la Ricerca sull’Ambiente Costiero. Quanto conta l’attività umana nel fenomeno dell’erosione costiera? Alcune attività antropiche, come l’estrazione di inerti dagli alvei fluviali, la costruzione di dighe e, sulla costa, quella dei porti, hanno indubbiamente innescato e amplificato il fenomeno dell’erosione. Bisogna però dire che quando l’uomo faceva ben altri disastri, ad esempio disboscando completamente montagne e colline, come nei secoli passati, vi era un’intensa erosione del suolo e dunque le spiagge crescevano in continuazione. Le variazioni climatiche in atto, favoriscono l’erosione dei litorali? L’innalzamento del livello marino, conseguente al riscaldamento globale, è certamente una concausa dell’erosione, ma si stima che fino ad oggi non abbia contribuito per più del 10 o 20% sull’intensità del fenomeno. In Italia si progettano nuove dighe per il fabbisogno energetico e per l’approvvigionamento idrico. Non pensa che questa politica vada in aperto contrasto con la lotta all’erosione? Seguendo l’evoluzione del fenomeno nel tempo, si osserva che l’erosione ha seguito lo sviluppo socio-economico del paese, con l’espansione della rete ferroviaria ed anche con la costruzione dei grandi invasi, quelli con più di un milione di metri cubi d’acqua. Guardando all’età di questi si vede come nel nord siano assai più vecchi di quanto non lo siano nel sud, e l’erosione ha seguito fedelmente questo trend. Avendo viaggiato molto e osservato molte coste nel mondo, pensa che nel resto d’Europa ci sia un rispetto maggiore nei confronti degli ecosistemi costieri? Certamente sì, in particolare se guardiamo ai paesi del nord Europa, dove l’urbanizzazione delle coste è stata fortemente ostacolata e, ad esempio, vi è l’accesso libero alle spiagge, che da noi sono in gran parte ingabbiate. Altro caso è la protezione delle dune, quasi una religione in paesi dove queste sono un vero e proprio baluardo contro l’ingressione del mare (avanzamento del mare nell’entroterra, nda). Esistono metodi di prevenzione rispetto all’erosione costiera e sono mai stati applicati? Esisterebbero, ma sono inapplicabili. Ad esempio, basterebbe bruciare tutti i boschi dell’Appennino, fare franare tutti i versanti instabili e non attuare tutti i mezzi di prevenzione dalle alluvioni. Avremmo delle spiagge larghissime! Evidentemente, esiste un conflitto d’interessi fra le popolazioni che vivono nell’entroterra e quelle che vivono sulle coste. Da questa risposta ironica si capisce bene che in realtà la questione è particolarmente spinosa e che le pretese dell’uomo 'moderno' e le esigenze della natura sono spesso in conflitto e dunque quanto conta la pianificazione urbanistica nella salvaguardia delle coste? Le coste oggi vengono difese unicamente in quanto vi si svolgono attività antropiche. Se avessimo costruito lontano dal mare non ci sarebbe bisogno di opporsi all’erosione costiera, infatti la prima legge dello Stato a questo riguardo, del 1909, era intitolata “Legge per la difesa degli abitati dall'erosione marina”. Questa 'difesa' ha imposto opere che invece hanno fatto espandere il fenomeno ben oltre gli abitati di allora. È poi arrivata l’industria del turismo, che ha saturato ogni spazio libero, richiedendo in molti casi ulteriori opere di difesa, realizzate in cemento o con enormi blocchi di roccia che hanno profondamente modificato l’assetto e l’aspetto delle nostre coste. Ecco che le nostre coste sabbiose sono diventate rocciose! FINE DELL'INTERVISTA Evidentemente, come emerge dall’intervista, la situazione delle nostre coste risulta particolarmente complessa. Da una parte c’è la spinta fortissima ad una urbanizzazione selvaggia, dovuta al potenziale turistico di queste aree; dall’altra il fenomeno dell’erosione costiera che ci pone di fronte alla forza della natura e all’incapacità dell’uomo di prevenire o organizzarsi. Emerge con evidenza che non è possibile proteggere tutta la fascia costiera da questo fenomeno e che in futuro sarà necessario operare delle scelte rivoluzionarie nella pianificazione e gestione urbanistica, scelte che probabilmente saranno invise a quella parte della popolazione che vede le risorse naturali solo come possibilità di speculazione e di arricchimento economico. Ma questo non dovrà impedire di attuarle, poiché la natura è invece ben altro tipo di risorsa, è risorsa di vita per tutti. Molto importante è anche ciò che ognuno di noi può fare nel suo piccolo. La scelta del soggiorno turistico, se proprio deve essere al mare, in zone non massacrate dalla speculazione e in strutture ricettive che di quella speculazione non facciano parte e che non siano costruite a ridosso delle spiagge; la scelta del periodo in cui andare in vacanza, perché se la stessa gente che affolla le coste in agosto fosse scaglionata almeno durante l’arco sei mesi, occorrerebbe un sesto del cemento ammassato su quelle coste per ospitarla, e soprattutto il porsi come obiettivo di frequentare spiagge libere e non necessariamente di sabbia, potrà cambiare molto l’atteggiamento di amministrazioni ed imprenditori. E dunque… buone vacanze!

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