Accrescere il benessere, verso una cultura della sostenibilità

All’ottava edizione del 'Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura' si è parlato dei confini e dei valori necessari per realizzare un nuovo modello di progresso, che non sia più sinonimo di crescita infinita, bensì di sostenibilità e moderazione.

Accrescere il benessere, verso una cultura della sostenibilità
Si è svolto a Cuneo tra il 13 e il 16 ottobre l’ottavo appuntamento del Forum Internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura, convegno organizzato annualmente dall’associazione Greenaccord al fine di riflettere sul tema dell’ecologia, intesa come tutela tanto della natura (ecologia ambientale), quanto dell’equilibrio dei processi psico-cognitivi, linguistici e comportamentali dell’individuo (ecologia mentale). Il Forum si rivolge in particolare ai giornalisti ed agli operatori dell’informazione, in base all’idea che un’adeguata comunicazione, nonché la diffusione capillare e corretta del messaggio ecologico ed ecologista, siano necessarie per diffondere un nuovo paradigma sociale ed economico, che metta al centro la sostenibilità piuttosto che il consumo smodato. Nell’arco dei quattro giorni, densi di incontri e dibattiti, si sono avvicendati al ruolo di relatore professori universitari, esponenti di associazioni ecologiste, membri di istituti di ricerca, politici e giornalisti. Il titolo dell’appuntamento di quest’anno è stato 'People Building Future – Confini e Valori per un vivere sostenibile'. Gli ospiti hanno esposto la propria idea riguardo a come vada intesa l’economia se si vuole assicurare al mondo un progresso davvero sostenibile e quali elementi debbano essere oggi presi in considerazione per 'misurare' lo sviluppo o, meglio, il benessere. Robert Costanza, professore di economia ecologica all’Università di Portland (Oregon, USA) e caporedattore della rivista Solutions, ha messo in evidenza come alcuni principi cardine dell’attuale modello economico debbano essere necessariamente rimossi per consentire una reale fuoriuscita dalla crisi e dare origine ad un progresso sostenibile ed equo. In particolare, i concetti da scardinare sono: “di più” è sempre meglio; l’economia può crescere indefinitamente; la povertà può essere risolta con la crescita; la proprietà privata è l’opzione migliore; la natura è solo una scenografia o un’attrazione turistica. Il nuovo concetto di 'progresso', secondo Costanza, dovrà prendere in considerazione quattro fattori fondamentali: il capitale costruito, il capitale umano, quello sociale e quello naturale. Vale a dire tutte le infrastrutture realizzate dall’uomo (edifici, strade, case); i corpi fisici degli individui, con la loro specificità, la salute, l’educazione, le informazioni immagazzinate nei loro cervelli; la rete di connessioni personali, le istituzioni, le leggi e le norme che facilitano l’interazione tra esseri umani; la terra e tutte le risorse che essa include, nel complesso dei suoi sistemi ecologici. Occorre sviluppare una 'economia ecologica', letteralmente una conduzione e gestione della nostra casa, il pianeta terra, sulla base della conoscenza e della comprensione del suo funzionamento e della sua complessità. In pratica, non si può pensare di sfruttare la Terra dimenticando di esserne parte integrante e senza adeguarsi ai suoi cicli e ritmi. "Dopo la crisi, tutti i politici hanno mirato subito alla ripresa della crescita, ma questo obiettivo è estremamente limitato - ha affermato nella sua relazione Friedrich Hinterberger, presidente e fondatore del Seri(Sustainable Europe Research Institute) - questa visione ignora del tutto i problemi che hanno condotto a tale crisi, ossia le falle nel paradigma della crescita". Secondo Hinterberg il vizio di fondo sta nel fatto che gli statisti, nonché molta gente in generale, pensano che l’ambiente e lo sviluppo sostenibile siano beni di lusso dei quali ci si può occupare solo in periodi di grassa, mentre in caso di crisi essi sono immediatamente tagliati fuori dalla lista delle priorità. In realtà però le connessioni tra economia e ambiente sono molto più strette di quanto si pensi o si voglia accettare, per cui non è possibile isolare un componente dall’altro senza cadere in grossi errori di valutazione. In più, lo sviluppo sostenibile non può essere inteso come una gestione efficiente dell’ambiente, perpetrata sì in maniera più oculata, ma pur sempre al fine di perseguire meramente i propri miopi interessi. Si tratta piuttosto di un processo dinamico nel quale gli esseri umani realizzano al meglio il loro potenziale e migliorano la qualità della propria vita in un orizzonte di integrazione con il contesto. In questa ottica, non solo si protegge l’ambiente, ma si favorisce anche il preservamento e lo sviluppo dei sistemi di rigenerazione e di supporto alla vita, propri del nostro pianeta. Si tratta di una visione più ampia, che presenta una connotazione ambientale, economica e sociale. Per poter decidere una strategia politica e valutare le conseguenze di scelte e comportamenti perpetrati, secondo quanto spiegato da Hinterberg, occorre assegnare in qualche modo un valore numerico ai parametri che si vogliono prendere in considerazione. Nasce così l’esigenza di definire degli indicatori e 'misurare' queste quantità, che vanno dal consumo di materie prime, alla sicurezza alimentare dei popoli, alla diffusione della salute pubblica. Dunque, come quantificare il benessere? Mentre diventa sempre più chiaro che il PIL è un indicatore quanto mai parziale del livello di progresso e di benessere di un paese, che a volte produce addirittura aberrazioni, vari altri indici sono stati via via definiti e vanno affermandosi. Nel valutare il benessere degli individui occorre per altro tenere in conto che esso è determinato, da una parte, dalla disponibilità di beni e servizi primari, dall’altra, dalla soddisfazione, dalla maggiore o minore felicità connessa alla percezione di se stessi, delle proprie aspirazioni e relazioni. Un nuovo paradigma economico e sociale dovrebbe consentire a tutti di raggiungere un valore dignitoso di qualità della vita, e dunque una percezione di benessere; non invece consentire l’opulenza e l’esagerazione di pochi al costo della miseria estrema e dell’insoddisfazione delle esigenze primarie di molti altri. Del resto studi antropologici e sociali dimostrano che, superata una certa soglia, all’aumento della ricchezza, della disponibilità di beni materiali, corrisponde quasi un nullo incremento del benessere. Una società votata al consumo e alla spinta verso la produzione estrema si appesantisce di innumerevoli fattori di tensione, stress e criticità, tanto da annullare e fin anche superare la componente di benessere che è in grado di generare. Il sistema attuale è talmente degenerato che spesso però non ci si rende nemmeno conto di tale contraddizione interna. "Un nuovo paradigma di progresso deve necessariamente essere vincolato, ossia deve attuare un corretto bilanciamento tra energia produttiva e moderazione", ha affermato Gary Gardner, direttore di ricerca al Worldwatch Institute. L’assenza di vincoli genera un periodo di esplosione, in cui alcune categorie o popoli si arricchiscono incontrollatamente, a cui segue un impoverimento generale: economico, ecologico, morale e culturale. Non può dunque esistere progresso sostenibile senza vincoli. Ma il vincolo, la moderazione, non significano sacrificio, al contrario una società più equilibrata presenta meno criticità, genera un più alto livello medio di soddisfazione e quindi apporta a tutti gli individui maggior benessere. Per far penetrare nelle coscienze questo concetto di necessità della sostenibilità e soprattutto per far sì che esso informi l’operato degli individui, è necessario "normalizzare la sostenibilità", come ha spiegato Erik Assadourian, direttore del progetto 'Culture in trasformazione' del Worldwatch Institute, nonché direttore dell’edizione del 2010 di 'State of the World' (volume che l’istituto pubblica annualmente presentando i risultati di molteplici analisi sullo stato del pianeta a livello ambientale, sociale, economico, culturale, sanitario). La normalizzazione della sostenibilità richiede che si forgi un nuovo sentiero culturale, occorre cioè riformare tutti gli aspetti in cui si declina l’attività umana: l’economia, l’educazione, l’informazione e la comunicazione, gli usi, i rituali, le tradizioni. La scuola per prima deve insegnare i valori alla base di questo nuovo modello di vita e di progresso e far sviluppare nuove idee e capacità utili al conseguimento di tale scopo. Il recupero del tempo, della relazione con la natura, la ricostruzione delle reti sociali ed il ritorno alla piazza come luogo spontaneo di relazione, la rivalorizzazione di beni e attività svuotati o mercificati sono gli altri motivi tessuti dai vari relatori nell’arco dei quattro giorni di convegno. Spunti di riflessione, occasione di crescita, confronto costruttivo fra gente che vuole costruire il futuro con regole diverse. Ma a chiusura dei lavori, il solito interrogativo: con quale efficacia e quanto ritardo tali idee e queste splendide progettualità riescono ad incidere nell’agenda politica dei paesi, ad entrare realmente nei processi decisionali di quanti hanno il potere di muovere i pezzi sulla scacchiera?

Commenti

se si aspettano le istituzioni sarà troppo tardi. bisognerebbe iniziare dal basso attraverso una rete sociale che inizi ad avviare usi e comportamenti virtuosi .... una e più scuole o corsi privati dove insegnare un nuovo modo di vivere da diffondere nella società ... poi le istituzioni seguiranno. non è credibile che chi è al potere possa rischiare di perdere privilegi e appoggi delle grandi multinazionali che non hanno alcun interesse al cambiamento a costo ... anche dell'autodistruzione!
maria grazia, 31-10-2010 04:31

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.