Con Fukushima finisce la cultura del tè giapponese?

La contaminazione nucleare dovuta al disastro di Fukushima segna la fine della cultura del tè verde giapponese? Difficile sostenere che sia così, soprattutto se a farlo devono essere produttori, importatori e cultori della preziosa bevanda. Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Marilù Ardillo, selezionatrice e importatrice diretta di tè in foglia, ad un articolo pubblicato su La Repubblica il 20 giugno scorso. Un modo per aprire il dibattito su un tema per molti versi 'spinoso'.

Con Fukushima finisce la cultura del tè giapponese?
Il 20 giugno 2011 è stato pubblicato sul noto quotidiano La Repubblica un articolo redatto dalla giornalista Renata Pisu in merito al tè verde giapponese e a ciò che è accaduto a Fukushima. Devo a Paola Ghirotti l’opportunità di esserne venuta a conoscenza. È un articolo che ho riletto più volte, che ho stampato, osservato con estrema attenzione e su cui ho riflettuto a lungo. Ne trovate il testo integrale qui. Prima di condividerlo con voi oggi, ho ritenuto di volerlo condividere con numerose Associazioni che promuovono scambi culturali tra Giappone e Italia (Istituto Giapponese di cultura, Fuji, Sakura, Iroha, Lailac, Aretè, Nipponica, Fondazione Italia-Giappone, Istituto italiano di cultura a Tokyo, Comitato per Ishinomaki), con l’Ambasciata italiana a Tokyo, con l’ente semi-governativo JETRO, con la community italiana Tea Time che si definisce il primo sito italiano dedicato al mondo del tè, con le scuole che organizzano cerimonie del tè giapponese in Italia, con l’Associazione Italiana Cultura del tè, con alcuni blogger italiani che vivono in Giappone, con produttori e distributori giapponesi di tè e con colleghi importatori che gestiscono boutique specializzate nella vendita di tè in foglia in vari luoghi d’Italia. Ciascuna di queste persone ha investito tempo ed energie in termini sia pratici che emotivi, al fine di promuovere e diffondere la cultura del tè in Italia, ognuno con i propri mezzi; la Sig.ra Pisu ha citato “la perdita di identità e cultura“, ha affermato che le “esportazioni del tè sono ferme“, che “ora non si berrà più tè in Giappone“, che “il tè rischia la messa al bando totale“, che si stanno compiendo “cerimonie dell’addio”. Ebbene le testimonianze di tutti coloro che hanno ritenuto di rispondere alla mia sollecitazione e che per questo ringrazio (le ho raccolte in questo documento in continuo aggiornamento) si sono rivelate preziose al fine di confutare ognuna delle asserzioni della giornalista, che scoprirete prive di ogni fondamento. Vi invito a leggere l’intero documento perché tutte le testimonianze esprimono punti di vista interessanti e degni di nota, possono aiutarvi a comprendere meglio come funzionano alcuni meccanismi che ruotano intorno al mondo del tè (le testimonianze dei produttori giapponesi sono state naturalmente tradotte dall’inglese). Sono ferita e profondamente irritata da quanto scritto dalla Sig.ra Pisu, ritengo sia stato commesso uno sbaglio grave, grossolano, di imperdonabile superficialità. Se commettessi l’errore di mostrarmi indifferente, rischierei di confondere, spaventare e probabilmente allontanare tutti coloro per la cui fiducia e per il cui interesse ho lavorato fino ad oggi. Ci sono diverse parole chiave a proposito delle quali desidero esprimere un’opinione, perché ritengo possano essere motivo di confusione, di tendenziosità. Insinuare dubbi, incutere paura, senza per altro citare alcuna fonte direttamente verificabile, trovo sia un atto di rara vigliaccheria, di chiara scorrettezza. Fare informazione richiede un’assunzione di responsabilità non trascurabile, perché avere la possibilità di arrivare nelle case di centinaia di migliaia di persone significa potenzialmente condizionare i loro pensieri e le loro azioni, che a loro volta potenzialmente influenzano pensieri e azioni di altre persone ancora, fino ad arrivare a caratterizzare il Paese, a definirne il costume, lo spessore, la sensibilità. Il termine “avvelenata” significa letteralmente “uccisa dal veleno, velenosa”, ossia una sostanza che causa gravissimi danni, perfino la morte (cit. dal Dizionario della lingua italiana). Associarla al tè, per altro all’interno del titolo dell’articolo, trovo sia scorretto, ingiusto. È la prima informazione falsa a cui seguono decine di altre informazioni false, inanellate senza alcun criterio, né cognizione di causa. Ad oggi non è stato registrato alcun caso in nessuna zona del Giappone che abbia mai certificato gravissimi danni o la morte di persone che abbiano ingerito tè verde dopo l’accaduto dell’11 marzo. Parole come “crollare“, “psicosi“, “perdita di identità“, “fine“, “addio“, “danno“, “messa al bando” non registrano una notizia, non informano in merito ad un evento, bensì alludono, giudicano, insinuano, sentenziano. Non posso pensare che una professionista della parola non conosca i significati di questi termini; posso solo pensare che abbia scelto di utilizzarli coscientemente. Sulle ragioni per cui lo abbia fatto preferirei sorvolare. È inesatto affermare che le esportazioni sono ferme, che anche in Europa non si berrà più tè, perché come dimostrano anche le testimonianze di importatori ed esportatori contenute nel documento che ho redatto, il tè continua ad essere commercializzato e bevuto regolarmente, in Giappone e in Italia, dai grossi distributori ai piccoli negozi, dalle case private ai luoghi di aggregazione. Ci sono naturalmente delle condizioni più rigide a cui il tè è sottoposto rispetto al passato, perché possa arrivare nelle nostre tazze. Prima tra tutte, è necessario che ottenga il nullaosta sanitario dal nostro Ministero della salute e che rispetti il regolamento di esecuzione (UE) N. 351/2011 della Commissione del 23 maggio 2011 (che modifica il regolamento N. 297/2011 datato l’11 aprile) che impone condizioni speciali per l’importazione di alimenti originari del Giappone o da esso provenienti, a seguito dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima (qui trovate il testo integrale del regolamento). Per ottenere il nullaosta sanitario, al momento dell’ingresso nel territorio nazionale (nei porti, aeroporti e dogane interne), tutte le partite di merci di interesse sanitario, compresi quindi gli alimenti di origine non animale destinati al consumo umano, provenienti da Paesi extra-europei, devono essere sottoposte ad un controllo igienico-sanitario a cura dell’Ufficio di sanità marittima e aerea (USMAF) competente territorialmente. Direttamente sulla merce quindi, il personale tecnico dell’USMAF, presa visione della documentazione d’origine che deve necessariamente accompagnare ogni importazione, effettua controlli sanitari (documentali, ispettivi e/o analitici) utili ad evitare che prodotti contaminati, adulterati, tossici o comunque non rispondenti alle normative sanitarie vigenti, possano essere commercializzati in Italia e negli altri Paesi dell’Unione Europea. Al termine di tali controlli, l’USMAF, verificata la non pericolosità della merce, rilascerà il Nulla Osta all’importazione, documento che ne permetterà l’introduzione nel territorio comunitario. E a conferma di quanto scritto, vi allego l'immagine che mostra la tracciabilità del pacco contenente i tè giapponesi che sto attendendo da Uji (Kyoto) a mezzo di corriere espresso EMS. A differenza delle spedizioni precedenti l’11 marzo, adesso è comparsa la nuova dicitura: “Awaiting presentation to customs commissioner” (trad. “In attesa di essere presentato al commissario di dogana”). Sarebbero molte le cose da dire, da specificare, analizzare e spiegare, ma correrei il rischio di diventare prolissa. Mi limito pertanto alle più importanti, a quelle più indispensabili. Lasciare intendere che il tè in Giappone è prodotto esclusivamente a Shizuoka è inesatto; in Giappone si coltiva e produce tè in molte altre zone, come Saitama, Mie, Kagoshima, Fukuoka e Kyoto (Uji, Kyotanabe). Affermare che “sul tè si è costruita una cultura” è quantomai riduttivo: il Giappone ha edificato la sua identità culturale anche attraverso l’arte pittorica, la letteratura, la poesia, la tradizione musicale, la tradizione artistica artigianale della ceramica, il teatro, il cibo, il culto dei fiori. L’asserzione “il tè giapponese è un tè che si vuole migliore di qualsiasi altro tè” rasenta l’assurdità. Mi chiedo chi lo voglia, dove lo voglia, perché. È un’affermazione che non significa nulla. Non esiste un tè migliore in assoluto, i criteri di giudizio per definire un tè sono molteplici, spaziano dalla metodologia di raccolta, alla tipologia di lavorazione, alla modalità di consumo, fino ad arrivare al gusto personale. Ci sono varie eccellenze in fatto di tè anche in Cina, a Taiwan, in India e mi sorprende che la Sig.ra Pisu non abbia avuto occasione di scoprirlo, dato che nel corso della sua carriera ha prestato particolare attenzione all’Asia orientale (ma forse non al tè). La cerimonia del tè non serve a “riassumere la concezione estetica del Giappone”, le simbologie ad essa collegate hanno significati molto più profondi di quelli espressi dalla giornalista. Il Cha no yu vanta una tradizione antichissima, una produzione letteraria a riguardo estremamente corposa, una lunga dinastia di maestri che vi hanno dedicato la vita; la cerimonia del tè è un’arte, intimamente connessa con la spiritualità. I suoi principi fondamentali si esprimono attraverso l’armonia tra le persone e la natura, il rispetto verso le cose e la gratitudine per la loro esistenza, la purezza interiore. Durante la cerimonia del tè giapponese si agisce l’uno per l’altro per raggiungere il solo scopo di creare un istante di perfetta armonia. La ricerca della semplicità è voluta, l’intera cerimonia è un inno alla frugalità (dal luogo in cui si svolge, ai gesti, agli allestimenti, agli oggetti utilizzati); dunque l’affermazione della giornalista “vasellame raffinato, anche se di fattura apparentemente semplice” risulta inadeguata, spicciola, pressappochista, oltre che indicativa di scarsa conoscenza della materia. La sua visione che ne deriva è di pura forma, come del resto l’intera impostazione dell’articolo. Concludo lasciandovi qualche spunto utile che potete approfondire anche da soli qualora vogliate. Marco Casolino, autore del libro Come sopravvivere alla radioattività Ed. Cooper, primo ricercatore presso l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e parte del team del RIKEN, ha redatto due articoli estremamente interessanti nel suo blog che vi esorto a leggere con attenzione: questo datato il 26 giugno e questo datato il 30. Il comunicato stampa del Ministero giapponese della salute edito il 2 giugno 2011 ha emesso una restrizione della distribuzione degli alimenti (con particolare riferimento al tè) prodotti solo nelle prefetture situate nei pressi di Fukushima: Ibaraki, Kanagawa, Chiba, Tochigi. [se desiderate leggere tutti i dettagli, qui trovate il testo integrale del comunicato]. Nel complesso, pare siano stati effettuati finora più di 3.300 controlli in tutto il Giappone orientale (vi invito a leggere questo documento, con particolare attenzione alle pagine 21-25). Il 12 maggio 2011 sono stati registrati e comunicati dati allarmanti sulle foglie di tè prodotte a Minamiashigara (e nelle vicinanze dove sono situate anche Odowara, Kiyokawa, Yugawara, Aikawa e Manazuru), nella parte occidentale della prefettura di Kanagawa (a 250 km dalla centrale nucleare di Fukushima). Le misurazioni hanno svelato dai 530 ai 780 becquerels/Kg di cesio radioattivo, mentre i limiti di legge sono fissati a 500 bq/Kg. Il governo centrale ha dunque chiesto alla prefettura, alle amministrazioni municipali e alle cooperative locali di agricoltori di bloccare volontariamente la vendita delle foglie di tè e i primi ad aderire alla richiesta sono stati proprio i contadini che lavorano nelle piantagioni del villaggio di Kiyokawa, i quali hanno iniziato anche ad sradicare le piante di tè. Se desiderate tracciare nuovamente l’intero percorso di quanto accaduto fino ad oggi, potete leggere i vari approfondimenti che questo sito ha dedicato a Fukushima con un nutrito archivio notizie, un live blogging e un contatto Facebook per continuare a tenersi aggiornati. Il prossimo passo che muoverò sarà quello di inoltrare il contenuto di questo post, unitamente al documento che contiene tutte le testimonianze delle associazioni, dei colleghi e dei principali produttori giapponesi, presso la redazione de La Repubblica, auspicando il diritto di replica. Qualora non dovessero concedercela, vorrà dire che la Sig.ra Pisu almeno su un aspetto ha ragione, il mondo sta realmente cambiando. Marilù Ardillo

Commenti

Grazie mille della citazione: in aggiunta a quanto scritto sul blog c'è da aggiungere che usare la stessa soglia di 500 Bq/kg per ortaggi, carne e tè non ha molto senso. Mentre ingerisco completamente i primi in discrete quantità, uso solo pochi grammi di foglie di tè (che poi butto via). Le soglie per il tè potrebbero essere alzate senza rischi per la salute. Domani 13 luglio, dopo la presentazione del libro sulla radioattività (ore 1800 da Mel's bookstore a Roma, http://marco-casolino.blogspot.com/2011/07/come-sopravvivere-alla-radioattivita.html) ci sarà un piccolo rinfresco a base di tè, dolcetti (mochi) e salatini (senbei) giapponesi. Per chi non si fida misureremo insieme con il Geiger la (assenza di) radioattività nei prodotti del paese del Sol Levante.
Marco Casolino, 12-07-2011 09:12
Gentile Marilù, premetto che non ho letto il citato articolo di Repubblica (nè mi interessa leggerlo) per cui non sono qualificato ad emettere giudizi in merito. Non metto minimamente in dubbio che un'informazione superficiale e qualunquista (quale quella che lei descrive nell'articolo citato) possa fare molti danni oltre che stravolgere completamente senso e significato di un rituale spirituale meraviglioso quale quello della Cerimonia del Tè. Trovo tuttavia nel suo articolo (così come nel commento aggiunto e negli stessi articoli citati di Marco Casolino) considarazioni che, se non inquadrate correttamente, possono essere almeno *altrettanto* (se non più) pericolose delle stesse considerazioni che si vogliono confutare. Invocare i "severi" controlli della comunità europea sulla qualità dei cibi importati è quanto meno *tendenzioso*. Il ragionamento di fondo è, tutto sommato, il leit-motif di chi ha cercato di minimizzare le conseguenze dell'incidente. "Sì, c'è un po' di radioattività, ma non fa male!" E dove sono le prove scientifiche di ciò? Guardi che la comunità europea si è sempre preoccupata di salvaguardare più i mercati che la salute delle persone. Qualcuno infatti mi dovrebbe spiegare se ha un senso che esistano dei limiti di radioattività *ammessi per legge*. Perché se ha senso parlare in questi termini allora sempre quel qualcuno mi dovrebbe spiegare come mai questi limiti sono stati raddoppiati, triplicati subito dopo l'incidente di Fukushima. Come funziona? Prima di Fukushima, 300 Bq di cesio negli alimenti erano *potenzialmente* pericolosi mentre dopo Fukushima no? Come mai 1m Sv di esposizione annua viene considerato il limite *accettabile* in tutto il mondo mentre per i bambini giapponesi questo limite è 20? Come mai gli operatori di centrali nucleari in tutto il mondo *hanno diritto* a *solo* 20 Sv (lo stesso limite che è stato *regalato* ai bambini giapponesi) di esposizione annua mentre in Giappone a 250? Come è solo lontanamente possibile immaginare che anche solo 1 Bq di Cesio radiattivo, elemento che in Natura non è *mai* esistito nel Tè (e mai esisterà), sia innoquo? Se volete criticare l'articolo per la superficialità con cui hanno parlato di cultura e spiritualità millenarie, è un conto. Ben altro è parlare della salute (umana e non) a seguito dell'incidente di Fukushima! Anche per tutta un'altra merea di veleni e sostanze inquinanti la solfa è sempre la stessa: siccome questi elementi sono presenti in misura sempre maggiore in tutto l'ecosistema, allora le autorità di tutto il mondo rivedeono costantemente al rialzo i limiti *ammessi per legge* (vedasi polveri sottili, metalli pesanti, diossine, pesticidi, ecc.) Per favore non venitemi a raccontare storie del tipo: "la radioattività è entro i limiti di legge per cui state tranquilli..."
___, 13-07-2011 06:13
Errata Corrige (in un campo minato come quello degli effetti della radioattività sull'ecosistema, meglio essere prudenti anche solo nel riportare numeri. non si sa mai...) 1) Nel commento si parla di un limite di 20 *Sv* come limite massimo di esposizione annua per i tecnici operatori di centrali nucleari: è un chiaro errore di battitura. Il limite è 20 mSv (mSv = milliSievert mentre Sv = Sievert) 2) Nel commento si parla di 300 Bq (Bequerel) di Cesio radioattivo o di 1 Bq (sempre di cesio radioattivo). Questi numeri si intendono *per chilogrammo di alimenti*. Leggasi quindi *300 Bq per chilo di alimento* o *1 Bq per chilo di tè*
___, 14-07-2011 11:14
Caro "___", la questione delle soglie di sicurezza della radiazione è estremamente complessa ed ancora aperta dal punto di vista medico e biologico. In sostanza non si sa ci sia sia un effetto per piccole dosi di radiazione sul corpo umano. La normativa cerca di ridurre al minimo questa esposizione per quanto possibile. E' impossibile rimuovere completamente la radiazione perchè presente ovunque (il potassio delle banane è in parte radioattivo, noi stessi siamo radioattivi, il tufo è radioattivo, soprattutto le sigarette sono farcite di polonio 210....) Sull'ambiente sono completamente d'accordo con te, innalzare la soglia ambientale per le scuole ed i luoghi frequentati da bambini è molto discutibile. Per quanto i numeri delle nuove soglie siano bassi, io non esporrei mai mio figlio a 1microSv/ora. Perciò le mamme della regione di fukushima fanno benissimo a misurare indipendentemente la radiazione e ad eliminare il terriccio contaminato dei cortili delle scuole. Per il cibo vale in parte lo stesso discorso: si pongono delle soglie (molto severe) e si fanno rispettare. La differenza è che se mangio una volta una bistecca con i valori poco sopra la norma non ha alcun effetto, mentre vivendo un anno in una zona con il fondo alto di radiazione l'effetto cumulativo potrebbe non essere trascurabile. Il discorso vale ancor di più per il tè, che si diluisce in acqua in pochi grammi. L'effetto di una teiera di "famigerato tè radioattivo" è inferiore a quello di una banana. Paradossalmente il vantaggio della radiazione è che è misurabile in maniera relativamente semplice (cosa che non vale per le diossine, i batteri e le contraffazioni alimentari) e tutti si possono fare un'idea dei numeri che questo comporta e trarre le debite (e personali) conclusioni su come comportarsi. Se ti interessa trovi alcuni valori della radiazione in giappone qui: http://marco-casolino.blogspot.com/2011/06/te-e-funghi-aggiornamento-sulla.html. La misura della radioattività della banana è a quest'altro indirizzo: http://missionezeroco2.blogspot.com/2010/12/la-banana-radioattiva.html
Marco Casolino, 19-07-2011 11:19
Ammappalo che articolo!!!!! Quello sulla radioattività della banana, intendo! E un fisico nucleare ha il coraggio di consigliare articoli di questo livello??? Guardi, Sig. Casolino, le do un consiglio da amico, da vero amico! Se vuole convincere la gente che la radioattività non è poi tutto questo gran male, eviti ACCURATAMENTE di citare articoli come quello sulla banana. Potrebbe sortire l'effetto esattamente OPPOSTO!
___, 21-07-2011 10:21
Addirittura... Devo ammettere che non avevo letto con attenzione il commento del Sig. Casolino. Le soglie di radioattivita ammesse per legge "si possono AUMENTARE TRANQUILLAMENTE"... ... ... ... Ogni altro commento è superfluo...
___, 21-07-2011 10:21
Anch'io bevo tè verde giapponese. Ma ce n'è ancora in giro antecedente all'11 marzo? Mi interessa, perché vorrei fare scorta...
SERENA, 27-03-2012 10:27

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