Il Gattopardo: esserci sempre, esserci sempre stati

Daniela Mazzoli riporta un brano tratto dal settimo capitolo de Il Gattopardo. "Provate a leggerlo a voce alta, a leggerlo a qualcun altro. E sentite che effetto vi fa".

Il Gattopardo: esserci sempre, esserci sempre stati
“Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici. Eccoli. Due settimane prima del suo matrimonio, sei settimane dopo; mezz’ora in occasione della nascita di Paolo, quando sentì l’orgoglio di aver prolungato di un rametto l’albero di casa Salina (l’orgoglio era abusivo, lo sapeva adesso, ma la fierezza vi era stata davvero), alcune conversazioni con Giovanni prima che questi scomparisse (alcuni monologhi, per essere veritieri, durante i quali aveva creduto scoprire nel ragazzo un animo simile al suo); molte ore di osservatorio, assorte nell’astrazione dei calcoli e nell’insegnamento dell’irraggiungibile. Ma queste ore potevano davvero essere collocate nell’attivo della vita? Non erano forse un’elargizione anticipata delle beatitudini mortuarie? Non importava, c’erano state. Nella strada di sotto, fra l’albergo e il mare, un organetto si fermò, e suonava nell’avida speranza di commuovere i forestieri che in quella stagione non c’erano. Macinava Tu che a Dio spiegasti l’ali. Quel che rimaneva di don Fabrizio pensò a quanto fiele venisse in quel momento mescolato a tante agonie, in Italia, da queste musiche meccaniche. Tancredi col suo intuito corse al balcone, buttò giù una moneta, fece segno di tacere. Il silenzio fuori si richiuse, il fragore dentro ingigantì. Tancredi. Certo, molto dell’attivo proveniva da Tancredi: la sua comprensione tanto più preziosa in quanto ironica, il godimento estetico nel vederlo destreggiarsi fra le difficoltà della vita, l’affettuosità beffarda come si conviene che sia. Dopo, i cani: Fufi, la grossa Mops della sua infanzia, Tom l’irruento barbone confidente ed amico, gli occhi mansueti di Svelto, la balordaggine deliziosa di Bendicò, le zampe carezzevoli di Pop, il pointer che in questo momento lo cercava sotto i cespugli e le poltrone della villa e che non lo avrebbe più ritrovato; qualche cavallo, questi già più distanti ed estranei. Vi erano le prime ore dei suoi ritorni a Donnafugata, il senso della tradizione e di perennità espresso in pietra e in acqua, il tempo congelato; lo scoppiettare allegro di alcune caccie, il massacro affettuoso delle lepri e delle pernici, alcune risate di Tumeo, alcuni minuti di compunzione al convento fra l’odore di muffa e di confetture. Vi era altro? Sì, vi era altro: ma erano già pepite miste alla terra: i momenti soddisfatti nei quali aveva dato risposte taglienti agli sciocchi, la contentezza provata quando si era accorto che nella bellezza e nel carattere di Concetta si perpetuava una vera Salina; qualche momento di foga amorosa; la sorpresa nel ricevere la lettera di Arago che spontaneamente si congratulava per la esattezza dei difficili calcoli relativi alla cometa di Huxley. E perché no? L’esaltazione pubblica quando ricevette la medaglia alla Sorbona, la sensazione delicata di alcune finissime sete da cravatta, l’odore di alcuni cuoi macerati, l’aspetto ridente, l’aspetto voluttuoso di alcune donne incontrate nella strada, quella intravista ancora ieri alla stazione di Catania, mescolata alla folla col suo vestito marrone da viaggio e i guanti di camoscio, che era sembrata cercare il suo volto disfatto dal di fuori dello scompartimento insudiciato. Che gridìo di folla. 'Panini gravidi!' '“Il Corriere dell’isola'. E poi quell’anfanare del treno stanco senza fiato… E quell’atroce sole all’arrivo, quelle facce mendaci, l’eromper via delle cateratte… Nell’ombra che saliva si provò a contare per quanto tempo avesse in realtà vissuto. Il suo cervello non dipanava più il semplice calcolo: tre mesi, venti giorni, un totale di sei mesi, sei per otto ottantaquattro… quarantottomila… √840.000. Si riprese. 'Ho settantatrè anni, all’ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto, un totale di due… tre… al massimo'. E i dolori, la noia, quanti erano stati? Inutile sforzarsi a contare: tutto il resto: settant’anni.” Non so se riusciremo a fare con mente altrettanto lucida i conti, quando ci toccherà farli. Non so se saremo capaci di ricordare tutto, e se tutto ci sembrerà importante lo stesso, alla fine; se saranno le stesse cose che ci sembrano così importanti adesso. Sarebbe bello (o meglio?) ricordarsele mentre si stanno vivendo, viverle come se bisognasse metterle già nel computo, le azioni del giorno, le parole, certi lampi, le abitudini, le persone. Esserci sempre, esserci sempre stati. Cercare di riaggiustare il bilancio che tramortisce gli ultimi respiri del principe di Salina. Questo brano è tratto dal settimo capitolo de Il Gattopardo, che prima di diventare un famoso film era e resta un grande romanzo. Provate a leggerlo a voce alta, a leggerlo a qualcun altro. E sentite che effetto vi fa. Io l’ho trascritto per voi, una parola alla volta, senza usare il copia e incolla (anche se ho provato a cercarlo in rete, dopo le prime quindici righe). Il che ha reso questo piccolo fatto un momento buono per la conta della vita vissuta per davvero.

Commenti

grazie mille... amo questo libro, moltissimo, è l'ho riletto più di una volta... grazie ancora!
paola giovine, 21-11-2011 03:21
Grazie per averlo fatto, grazie per avermelo ricordato.
Simona, 21-11-2011 04:21
Grazie.E' sempre un libro attuale!
rita lembo, 21-11-2011 06:21
...... e'uno dei miei brani preferiti in assoluto e trovo sempre commovente e... leggermente speranzoso/felice l'arrivo della giovane signora col cappellino ornato da un velo... che "gli apparve più bella di come l'avesse intravista negli spazi stellari.
elisabla7@gmail.com, 04-04-2013 03:04

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