Greenpeace: «Allevamenti intensivi: emettono ammoniaca, inquinano l’aria e ricevono soldi pubblici»

«Quanti fondi pubblici nell’ambito della PAC sono destinati ai grandi allevamenti intensivi italiani che emettono più ammoniaca inquinando l’aria?»: l'ultima inchiesta di Greenpeace «prova a rispondere a questa domanda, svelando chi sono e dove si trovano gli allevamenti intensivi italiani», come spiega l'associazione.

Greenpeace: «Allevamenti intensivi: emettono ammoniaca, inquinano l’aria e ricevono soldi pubblici»

«Quanti fondi pubblici nell’ambito della PAC sono destinati ai grandi allevamenti intensivi italiani che emettono più ammoniaca inquinando l’aria?»: l'ultima inchiesta di Greenpeace «prova a rispondere a questa domanda, svelando chi sono e dove si trovano gli allevamenti intensivi italiani», come spiega l'associazione.

«L’ammoniaca è una sostanza rilasciata principalmente dalle attività agricoleche concorre in maniera importante a formare lo smog che respiriamo : una volta liberata in atmosfera questo gas si combina con alcune componenti (ossidi di azoto e di zolfo) generando le pericolose polveri fini. Dati alla mano, in Italia gli allevamenti sono la seconda causa di formazione del particolato fine  (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e del settore industriale (10%), preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%) - prosegue Greenpeace nella nota - Mappare dove si trovano i maggiori emettitori di ammoniaca è quindi cruciale per sapere quanto è compromesso l’ambiente in cui viviamo, visto che l’elevata presenza di polveri fini comporta pesanti ricadute per la salute, come abbiamo mostrato in un precedente studio condotto con ISPRA .».

«Per costruire la nostra mappa, siamo partiti dal Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR), che include anche gli allevamenti che dichiarano emissioni per più di 10 tonnellate di ammoniaca (NH3) l’anno - spiega ancora l'associazione - Dalla nostra inchiesta risulta che sono 894 gli allevamenti italiani che nel 2020 hanno comunicato le loro emissioni di ammoniaca al Registro europeo, corrispondenti a 722 aziende».

«La nostra mappa mostra come le regioni della Pianura Padana siano quelle maggiormente a rischio. Qui, infatti, ha sede il 90% degli allevamenti italiani che nel 2020 hanno emesso più ammoniaca. Capofila è la Lombardia, dove si trova oltre la metà degli stabilimenti che emettono grandi quantità di ammoniaca, seguita da Emilia Romagna e Veneto - prosegue Greenpeace - Incrociando i dati del Registro europeo forniti da ISPRA con gli elenchi dei beneficiari dei fondi della Politica Agricola Comune (PAC), abbiamo scoperto che quasi 9 aziende su 10, tra quelle che possiedono allevamenti segnalati nel Registro hanno ricevuto finanziamenti pubblici: un totale di 32 milioni di euro nel 2020, per una media di 50.000 euro ad azienda.  Ma quello che siamo riusciti a svelare è solo la punta dell’iceberg! Infatti, la normativa attualmente in vigore consente di monitorare, attraverso il registro E-PRTR, solo le emissioni degli stabilimenti più grandi, in grado di ospitare oltre quarantamila polli, duemila maiali o 750 scrofe, escludendo completamente gli allevamenti di bovini, nonostante siano a loro volta responsabili di rilevanti emissioni di ammoniaca e metano. Rimangono fuori anche tutte quelle aziende che, pur essendo sotto la soglia minima che obbliga alla comunicazione dei dati, concorrono alle emissioni totali del settore». 

«Tanto che nel 2020 il 92% delle emissioni di ammoniaca prodotte dagli allevamenti non ha trovato “responsabili” nell’E-PRTR, perché non monitorato. Questa dannosa lacuna segnala l’urgenza di monitorare e regolamentare un maggior numero di allevamenti , come previsto dalla proposta della Commissione UE  di modifica della direttiva europea sulle emissioni industriali. Una proposta, però, che ha già scatenato violente reazioni da parte di esponenti politici e di alcune organizzazioni di categoria - prosegue la nota - Le polveri fini (PM2,5) sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50.000 vittime in Italia nel solo 2019. Com’è possibile ridurre drasticamente la diffusione di queste sostanze se, parallelamente, si continuano a finanziare i modelli zootecnici intensivi e inquinanti che le producono?  Sembra che in Italia si faccia finta di ignorare che gli allevamenti intensivi sono già da anni considerati “attività insalubri di prima classe“, e che pertanto servono misure per proteggere la salute delle persone e l’ambiente dalle loro pericolose emissioni. Per farlo in modo efficace, occorre pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei. Rimandare questi provvedimenti, significherebbe ignorare gli impatti su salute e ambiente legati all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi».

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