Il giogo del presunto progresso e della presunta modernità è bello quando dura poco

Riccardo Lupino, contadino, cantante e attore, ha scritto un simpatico libro sulla storia di un contadino, Mario, e un cittadino manager, Saverio, che per caso si incontrano in seguito a un disagio avuto da Saverio con la sua macchina nelle strade della Toscana.

Il giogo del presunto progresso e della presunta modernità è bello quando dura poco

Riccardo Lupino, contadino, cantante e attore, ha scritto un simpatico libro sulla storia di un contadino, Mario, e un cittadino manager, Saverio, che per caso si incontrano in seguito a un disagio avuto da Saverio con la sua macchina nelle strade della Toscana. Viene salvato e ospitato da Mario che vive la campagna in un modo tradizionale, ormai sempre più messo in discussione, con tanto lavoro, fatica, macchine agricole ecc., ma che comunque è sempre meglio che fare il manager vendendo prodotti magari nocivi e/o superflui. Infatti Saverio, lavora in una ditta di packaging, cioè per il nulla, o meglio per aumentare la stratosferica mole di rifiuti che ci sommerge ogni giorno.
In questo scambio e forzata convivenza, Saverio si confronta con un mondo lontanissimo dal suo ma affascinante e scopre cose che nemmeno pesava esistessero. Scopre un modo di vivere lontano dai sui bit ma vero, reale, fatto di natura, animali e persone. Lo scambio fra i due personaggi con anche la cornice familiare di Mario, con compagna e figlie che si contrappone alla "singletudine" di Saverio, ormai cronica sopratutto nelle grandi città, ha anche risvolti esilaranti. Saverio che sembra avere come unica figura femminile di risalto e riferimento, la solita apprensiva e oppressiva madre, nella migliore tradizione soffocante italiana, che per quanto si sforzi di “modernizzarsi” mantiene i
suoi aspetti più castranti.
Questa storia ricorda al contrario un po’ il film leggero e senza pretese “Il ragazzo di campagna” girato nel 1984, dove si racconta di un ragazzo che stanco dell’arretratezza e del disagio che vive in campagna decide di andare nella grande e moderna città. Ma per quanto si voglia dipingere la vita di campagna difficile, disagiata e chi la vive come arretrato, un po’ stupido, fuori dal tempo, poi il ragazzo di campagna, sperimentata la città e i suoi personaggi, decide di rimanere nella sua campagna che a quanto pare con tutti i suoi (presunti) limiti dà più soddisfazioni che non la scintillante città. Ed è un po’ questa l’esperienza del cittadino ultramoderno Saverio a contatto con Mario e le sue abitudini, il suo modo di essere, di lavorare, di mangiare, la naturalità dei tempi.
Tutte cose che chi vive in campagna sa bene e che quando ha un ospite cittadino ne rileva le frenesie, l’impazienza, la scarsa capacità di osservazione o di vero relax. Se poi il cittadino che va in campagna è in modalità vacanza, è forse ancora più stressato, perché entra nella “febbre della vacanza” dove, nei pochi giorni di libertà provvisoria che ha, si deve divertire e/o riposare assolutamente, cosa che con la frenesia in corpo, tipica della città, spesso non riuscirà a fare né in un senso, né nell’altro.
Alla fine, al contrario del ragazzo di campagna, Saverio se ne ritorna in città e per quanto abbia vissuto una specie di sogno, si rimette subito in pista con i mille falsi obblighi che ci si costruisce per indaffararsi la vita e fare credere a se stessi e agli altri che abbiamo tanto da fare, quando poi l’unica cosa importante da fare, cioè godersi la vita, è dimenticata in partenza. Così come ci dice Mario rivolgendosi a Saverio in uno dei loro dialoghi: “Sono sicuro che la gran parte delle persone risponderebbe che le cose importanti della vita sono godere di buona salute, mangiare del buon cibo salutare, vivere in una casa dignitosa e frequentare persone rispettose e accoglienti. E invece quello che mi pare di osservare è che siamo tutti indotti a dare importanza a troppe cose, che importanti non sono se ci riflettessimo con calma. Ma avere calma in questo mondo non è più possibile. Dobbiamo tutti correre e produrre per consumare, per poi ancora produrre nuovamente.”
Sulla falsariga del libro di Riccardo Lupino, segnalo anche la lettura del libro Alla città nemica di Sonia Savioli dove la descrizione è più netta e dura nei confronti della città, che di certo non fa sconti alla campagna considerandola un serbatoio di cibo abitata da strani esseri che ancora si ostinano a pensare che stare vicino alla natura sia meglio che vivere fra asfalto e cemento, nel caos, nel rumore, nell’inquinamento, nella fretta costante, nel traffico impazzito a tutte le ore.

 

Alla Città Nemica
L'Italia verso le Emissioni ZeroVoto medio su 2 recensioni: Buono
Il Giogo È Bello Quando Dura Poco

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.