Che gli umani nella loro versione peggiore, adorante il potere e il profitto, siano la razza più stupida, feroce e autolesionista è una certezza acclarata e non è mai abbastanza ribadirlo, ma ci fossero dei dubbi, il nucleare imperterrito è lì a dimostrarcelo.
Un orrendo mostro da qualsiasi parte lo si consideri, che molto probabilmente ci porterà all’autodistruzione, sia nella sua versione militare che nella sua versione civile: è l’invenzione più dannosa, inquinante e pericolosa che sia mai stata partorita.
Anche nel nucleare cosiddetto civile, ci sono solo aspetti negativi, che detta così è un eufemismo, siamo di fronte a una aberrazione che solo menti diaboliche possono concepire.
Costi stratosferici nella costruzione che ha tempi lunghissimi, nel mantenimento e nella dismissione (anche se a oggi sono ancora tantissimi i problemi relativi allo smantellamento completo di una centrale nucleare). Massima insicurezza con esposizione ad attacchi terroristici o attentati, massima pericolosità con incidenti catastrofici che hanno fatto tremare il mondo, massimo inquinamento con rifiuti radioattivi praticamente eterni che non si sa cosa farci e dove metterli perché non c’è posto sulla terra che garantisca sicurezza per centomila anni; infatti in alcuni luoghi dove hanno provato a mettere le scorie radioattive in passato devono tirarle fuori perché non si sono rivelati sicuri. E spesso questa infernale immondizia è stata (ed è tuttora, dato che nessuno può controllare) gettata in mare o sepolta dove capita, tanto poi sarà un problema delle prossime generazioni, cosa vuoi che ce ne freghi a noi. Innumerevoli enormi problemi e rischi per una fonte energetica che produce meno del 10% dell’energia elettrica a livello mondiale, laddove basterebbe un mimino di risparmio energetico per azzerare questa percentuale.
Nonostante tutto ciò, c’è ancora chi ha pure il coraggio o meglio la totale incoscienza di proporre il mostro. Enormi interessi economici e politici girano intorno al nucleare, senza i quali qualsiasi persona sana di mente ne bandirebbe anche solo il pensiero. Sarebbe come discutere se il nazismo abbia fatto e faccia del bene all’umanità.
Vi proponiamo un articolo di Alessandro Codegoni pubblicato su "Quale energia" il 21 luglio 2025, che tratta la questione scorie radioattive: valutate voi se sia il caso di avere ancora a che fare con questa autentica follia criminale a scopo di lucro.
«Quando si propongono soluzioni per la transizione energetica arriva sempre qualcuno con il dito alzato a ricordare che turbine eoliche, auto elettriche o pannelli fotovoltaici hanno problemi di inquinamento ed emissioni di CO2 in fase produttiva, esaurimento di materiali rari, difficoltà di riciclo o smaltimento.
È un’evidente tattica comunicativa portata avanti per “mettere in difficoltà” tecnologie nate per risolvere i problemi ambientali, attaccandole su aspetti del loro ciclo di vita, in realtà spesso marginali o migliorabili, così da mettere tutte le fonti energetiche sullo stesso piano e mostrare che nessuna è “veramente verde”; quindi, sostanzialmente, tanto vale continuare come prima. Spesso queste critiche arrivano dai fan del nucleare, impegnati a tessere le lodi di sostenibilità della loro soluzione preferita. Questi cantori dell’atomo sembrano però soffrire di una grave amnesia riguardante l’eredità tossica che l’energia nucleare si è lasciata dietro e che continua ad accumulare senza che si trovi una vera soluzione.
Quale fosse fino a pochi decenni fa la “coscienza ambientale” dell’energia nucleare, ce l’ha recentemente ricordato la missione scientifica internazionale Noddsum, che ha identificato oltre 3.000 fusti pieni di scorie radioattive dei 200.000 scaricati presenti nell’Atlantico a 4.000 metri di profondità, 600 km al largo di Nantes.
“Ci sono fusti praticamente intatti e altri estremamente degradati”, ha affermato Patrick Chardon, responsabile della missione. Non è del resto un segreto: è noto che tra il 1946 e il 1993 centinaia di migliaia di bidoni pieni di scorie radioattive furono scaricati nelle pianure abissali dell’oceano Atlantico e di quello Pacifico, in acque internazionali. A contribuire a queste discariche radioattive furono Germania, Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Giappone, Usa, Urss e persino Svizzera.
“Non abbiamo idea di cosa contenessero i bidoni che abbiamo trovato. All’epoca non c’era tracciabilità, ma è probabile si tratti di scorie di bassa attività, come rifiuti di laboratorio, fanghi di trattamento o tubazioni contaminate, mescolati a riempitivi” ipotizza Chardon. Non tutti sono stati però così “gentili”: secondo l’Agenzia francese per la gestione dei rifiuti radioattivi (Andra), Usa e Urss hanno buttato in mare anche bidoni pieni di scorie fortemente radioattive o addirittura pezzi di reattori smantellati.
Questo metodo di liberarsi dei rifiuti radioattivi è terminato solo nel 1993, quando la Convenzione di Londra ha vietato lo scarico in mare, garantendo un monitoraggio periodico dei fusti già inabissati. Ma gli scarichi alla “speriamo bene” del nucleare avvenivano anche a terra. Famoso il caso delle miniere di sale tedesche di Asse2 e di Morsleben: dato che la salgemma si scioglie in caso di infiltrazione d’acqua, la stessa esistenza di questi giacimenti doveva essere una garanzia che i siti fossero asciutti e impermeabili.
Per cui, nei decenni scorsi, sono stati riempiti di fusti di scorie radioattive a media e bassa attività, 160.000 solo ad Asse2, salvo poi scoprire inizi di crolli nelle miniere e infiltrazioni d’acqua che stanno corrodendo i bidoni e obbligherebbero a un’estrazione di quanto lì immagazzinato, con un posizionamento i luoghi più sicuri.
Si tratta, però, di un’operazione che nessuno sa bene come effettuare e che sarebbe costosissima. Un simile destino incerto in depositi di fortuna hanno incontrato nei primi decenni dell’esperienza nucleare altre migliaia di tonnellate di scorie radioattive, provenienti non solo dai reattori, ma anche dai siti militari e dalle industrie di fabbricazione del combustibile o di bombe atomiche e di ritrattamento delle scorie. Rifiuti di cui spesso si sa pochissimo, se non che sono state immagazzinate alla meglio, in miniere, sepolte in trincee non troppo profonde, gettate in fiumi e laghi (come nel caso del fiume Teča e del lago Karachay, in Russia), se non addirittura bruciate in inceneritori. Il risultato è che interi siti industriali civili e militari, come Sellafield in GB o La Hague in Francia, sono inquinati da queste scorie, ma ripulirli è ormai impossibile. Insomma, nei suoi primi decenni l’ industria nucleare civile e militare ha riempito il mondo di
materiali pericolosi il cui destino, soprattutto in casi come quello cinese, russo, nord coreano o pakistano, è quasi sempre sconosciuto: stanno in depositi inadatti, in attesa che rivelino la loro presenza con l’inquinamento di acque o terreni, e allora ci penseranno a ripulire, se possibile, le generazioni future.
Ma scarichi “selvaggi” a parte, anche lo smaltimento delle scorie ad alta pericolosità da produzione nucleare nel mondo può sollevare dubbi di correttezza in alcuni casi, nel senso che continuano ad essere tenute in depositi inadatti.
Lo scenario attuale dei rifiuti radioattivi
Dal 2000 si è infatti cominciato a pensare a depositi costruiti apposta per contenere questi rifiuti, fino a che diventino innocui; il che, nel caso di quelli di lunghissima vita, come il combustibile irraggiato delle centrali nucleari, vuol dire tenerli separati dal mondo, in depositi geologici teoricamente stabili, per circa 100.000 anni, circa venti volte la durata della storia scritta umana.
Ma al 2025, quanti rifiuti di questo tipo sono in depositi geologici? Praticamente zero: se si escludono i primi contenitori di questo tipo, immessi quest’anno nel deposito geologico di Onkalo in Finlandia, tutti gli altri possessori di nucleare civile o militare continuano a tenere queste sostanze per una decina d’anni in piscine accanto ai reattori a raffreddarsi (piscine molto pericolose, perché, se si interrompe l’energia che fa circolare l’acqua, il raffreddamento cessa, i rifiuti prendono fuoco e formano nubi di isotopi radioattivi) e poi in depositi, anche all’aria aperta, accanto ai reattori, inadatti a uno stoccaggio permanente sicuro.
Certo, la Francia e la Russia “riciclano” questi rifiuti, usando il plutonio che contengono per fare nuovo combustibile, il MOX, ma in realtà così si moltiplica il volume di scorie ad alta attività da smaltire, creandone di ancora più complesse e pericolose.
La ragione della “mancata promessa” dello smaltimento definitivo è che questi impianti profondi, giganteschi nei casi delle nazioni con decine di reattori in funzione da tempo, ammesso si trovino posti adatti dove realizzarli e che le popolazioni li accettino (in Italia, com’è noto, non si riesce neanche a trovare un posto per il deposito nazionale di superficie per i rifiuti radioattivi meno pericolosi), costeranno cifre folli: l’ultima stima di Andra per il deposito permanente per le scorie ad alta pericolosità francesi è di 37 miliardi di euro, invece dei 25 stimati pochi anni fa. Al solito, tutto quello che concerne il nucleare ha la fastidiosa abitudine di sfondare ogni preventivo.
Ovvio che nessun governo, a parte i virtuosi scandinavi (gli svedesi hanno iniziato quest’anno a scavare il loro deposito geologico), sia ansioso di maneggiare la patata bollente dei rifiuti radioattivi, sia di quelli passati sparpagliati qua e là senza criterio sia dei presenti, la cui gestione corretta rischia di mandare all’aria sia i bilanci statali sia il mito del “nucleare fonte economica” (lo è, se rimandi continuamente le spese per ripulire dove è passato alle generazioni future).
E non abbiamo neanche accennato qui alle scorie minerarie, tossiche e radioattive, dell’estrazione di uranio, che soprattutto nei paesi poveri minano la vita di chi ci vive intorno. Quindi, è questa l’industria che, nonostante abbia ancora 200.000 tonnellate (di cui 90.000 negli Usa, 55.000 in Russia e 20.000 in Francia) di rifiuti non riciclabili e altamente pericolosi tenuti in luoghi insicuri per chissà quanti altri decenni o secoli, ora fa la lezione di sostenibilità alle rinnovabili , proponendo di “affiancarle” con i miracolosi “piccoli reattori” che, secondo una ricerca di Lindsay Krall della Stanford University in California, a parità di energia prodotta, sforneranno fino a 35 volte più scorie di quelli grandi. Con amici della sostenibilità ambientale come questi, chi ha bisogno di nemici?».
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