Il Rapporto Amnesty: «Odio in rete: italiani senza cittadinanza tra razzismo e xenofobia»

Un commento su dieci è offensivo, discriminatorio e/o hate speech e quando si parla di riforma della cittadinanza a farla da padrone sono spesso razzismo e xenofobia. È questo il focus scelto per la quinta edizione del "Barometro dell’odio: Senza cittadinanza", il rapporto di Amnesty.

Il Rapporto Amnesty: «Odio in rete: italiani senza cittadinanza tra razzismo e xenofobia»

Un commento su dieci è offensivo, discriminatorio e/o hate speech e quando si parla di riforma della cittadinanza a farla da padrone sono spesso razzismo e xenofobia. È questo il focus scelto per la quinta edizione del "Barometro dell’odio: Senza cittadinanza", il rapporto di Amnesty.

«Un tema quasi invisibile, così come lo sono i suoi protagonisti - scrive l'organizzazione nella presentazione del rapporto - Tra tecnicismi, strumentalizzazioni politiche e una sovrapposizione fuorviante al tema immigrazione, di cittadinanza non solo si parla poco, ma anche male, perdendo di vista l’essenziale: riguarda oltre 1 milione di giovani e giovanissimi italiani in tutto e per tutto, tranne che sui documenti, a causa di una legge datata 30 anni. Dopo le donne, i bersagli preferiti dagli utenti sono le persone con background migratorio, i rifugiati e i migranti, seguiti da chi è impegnato nel mondo della solidarietà. È ora di cambiare: riconoscere i diritti, contribuendo ad abbattere la discriminazione, anche sul piano culturale».

«In tre decenni la demografia italiana è cambiata in modo profondo - si legge nel rapporto di Amnesty -  Basti pensare che il 1° gennaio 1992, la popolazione straniera regolarmente residente era misurata in 649.000 persone; il primo giorno del 2021, invece, era a 5 milioni e oltre 171mila. Tra questi oltre un milione sarebbero i bambini e i giovani nati e (o) cresciuti in Italia che, sulla base della legge 91/1992, sono sprovvisti di cittadinanza italiana. Esclusi dai diritti-doveri di cittadinanza».

Nel rapporto si legge ancora: «L’italiano medio non sa: non comprende cosa significa riformare la legge sulla cittadinanza; non conosce la platea che acquisirebbe questo status; ignora studi e ricerche che ne evidenziano i potenziali effetti positivi. A scuola, talvolta, ci si accorge di questa differenza solo al momento della “gita”, del viaggio culturale, quando servono i documenti. In un paese che è di gran lunga più multietnico di quanto non fosse 30 anni fa, le nuove generazioni crescono col compagno di banco che non ha la nazionalità italiana, quella che hai tu, ma è in tutto e per tutto uguale a te. Non ha senso negarla. Il dibattito in rete riflette tutto questo, come osserviamo attraverso i dati di questa edizione del Barometro dell’odio. Xenofobia e razzismo si insinuano nel discorso, propulsori di intolleranza offline e online. Si inizia col parlare di cittadinanza e si finisce per sbraitare contro “sbarchi” e “clandestini”. Certo è, che quando è la legge per prima a marginalizzare una parte della popolazione, chi insulta, offende, attacca, si sente – a livello più o meno conscio – legittimato e sostenuto da chi ne condivide la visione (o, più che altro, l’assenza di visione)».

 

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