Inazione climatica: terza udienza per la causa che la campagna "Giudizio Universale" ha intentato contro lo Stato

Sarà mercoledì 13 settembre la terza udienza per la causa contro lo Stato italiano intentata dai promotori della campagna "Giudizio Universale" per inazione climatica. L'udienza si tiene nelle aule del tribunale civile di Roma.

Inazione climatica: terza udienza per la causa che la campagna

Sarà mercoledì 13 settembre la terza udienza per la causa contro lo Stato italiano intentata dai promotori della campagna "Giudizio Universale" per inazione climatica. L'udienza si tiene nelle aule del tribunale civile di Roma.

«La sentenza dovrebbe arrivare tra la fine del 2023 e l’inizio del prossimo anno - spiegano i promotori - Si avvicina dunque la pronuncia del giudice, chiamato a rispondere su due questioni principali: la prima riguarda la responsabilità dello Stato per inadempienza al contrasto della crisi climatica. Ci sono diritti lesi, accordi internazionali non rispettati e una mancanza di azioni che si ripercuote sulla collettività, colpendo maggiormente territori e popolazioni più vulnerabili. L’altra questione riguarda la condanna dello Stato per ottenere un concreto e drastico abbattimento delle emissioni di gas serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, valore da considerare come quota equa per l’Italia. Questa percentuale è calcolata tenendo conto delle responsabilità storiche del nostro Paese nelle emissioni clima-alteranti e delle capacità tecnologiche e finanziarie attuali; in conformità ai principi di equità e di responsabilità comuni ma differenziate che caratterizzano il diritto climatico».

«Nel corso dell’ultima udienza, quella del 21 giugno del 2022, l’avvocatura dello Stato ha indicato una precisa strategia, ossia allontanare la possibilità di un giudizio, cercando così di non rispondere nel merito delle accuse ma di puntare a definire illegittima la nostra azione legale - proseguono i promotori della campagna - In sostanza si punta all’impossibilità di giudicare le condotte dello Stato in materia climatica. “Se la tesi dell’avvocatura fosse accolta, ai cittadini e alle cittadine verrebbe precluso l’accesso alla giustizia, a differenza di quanto accaduto ad esempio in Olanda, Francia, Germania e tanti altri paesi dell’Unione Europea e non solo. In tali Paesi non solo il giudice ha potuto valutare l’adeguatezza delle politiche climatiche nazionali, ma ha anche condannato gli Stati a migliorare i propri target di riduzione”. La dichiarazione di Luca Saltalamacchia, avvocato che segue Giudizio Universale nelle aule del tribunale civile, restituisce il nodo principale da sciogliere proprio davanti la corte. Il giudice deciderà di assestarsi sulle posizioni dello Stato? Oppure consegnerà un verdetto con delle indicazioni sui target di riduzione? Prima del 13 settembre dobbiamo rimanere nel dubbio, ma questa attesa non significa congedarsi dal campo delle possibilità e delle azioni, fuori e dentro i tribunali».

«Aprire un contenzioso legale ha permesso di far sedimentare un dibattito sulle climate litigation in Italia, ha generato una discussione accademica sulle responsabilità dello Stato, portando davanti a un giudice una richiesta di condanna per non aver considerato le nuove evidenze scientifiche sulla crisi climatica che parlano in modo esplicito di minaccia per la popolazione - prosegue ancora la nota dei promotori - “Lo Stato italiano si riconosce anche nel dovere di conformare la sua azione ai metodi scientifici utilizzati dall’IPCC, in conformità, tra l’altro, con lo stesso UNFCCC e l’Accordo di Parigi, oltre che con le acquisizioni della Corte costituzionale sulle conoscenze scientifiche quali limiti alla discrezionalità politica”, indica infatti la base dell’atto di citazione. Di fronte a un pericolo annunciato, nessun potere può decidere di ignorare allarmi o di non agire. Ed è su questa condotta che Giudizio Universale impone una riflessione; un precedente in giurisprudenza difficile da archiviare».

Il gruppo di legali di Giudizio universale consegnerà nuove memorie in tribunale. «L’aggiornamento del Pniec, Piano Nazionale Integrato per l’energia e il clima, documento cardine per concretizzare gli obiettivi comunitari sulla transizione ecologica fissati al 2030, immagina l’Italia come un hub del gas e come un Paese incapace di affrancarsi dall’industria del fossile - proseguono i promotori - Sulla decarbonizzazione viene indicato l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, ossia avere come scenario quello di una somma zero tra le emissioni prodotte e quelle compensate. Ed è nel mix energetico per raggiungere questo obiettivo che viene fuori una delle prime incongruenze. Sì, perché a trainare l’Italia sarà ancora il fossile». 

 

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