Indagine internazionale sulla miniera di carbone di Cerrejon in Colombia

Sta per partire l'indagine internazionale sulla gigantesca miniera di carbone di Cerrejòn in Colombia, grazie al ricorso del Global Legal Action Network, presentato insieme a diverse ong. Tre le multinazionali coinvolte e pesano le accuse di violazione dei diritti umani delle comunità di quei territori. L'associazione Re:Common illustra la situazione.

Indagine internazionale sulla miniera di carbone di Cerrejon in Colombia

«In Colombia c’è una gigantesca miniera di carbone a cielo aperto chiamata Cerrejón. Ci sono tre multinazionali, leader del settore estrattivo, che di nome fanno BHP, Anglo American e Glencore, che hanno guadagnato centinaia di milioni di dollari dallo sfruttamento di tonnellate di polvere nera. E ci sono diverse comunità della Guajira colombiana, nord-est del Paese, che da troppo tempo soffrono abusi di ogni tipo; sono stati violati i loro diritti umani ma è stato devastato anche l’ambiente dove cercavano di condurre la loro esistenza»: queste le parole con cui l'associazione Re:Common, da anni impegnata a denunciare scempi e devastazioni dei territori, descrive la situazione nel paese sudamericano.

«Nei prossimi mesi le cose potrebbero cambiare, perché sta per partire una massiccia indagine internazionale, coordinata da vari Punti di Contatto Nazionali dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Ha infatti avuto successo il ricorso che il Global Legal Action Network (GLAN), insieme a Ong e reti colombiane, irlandesi e globali, ha presentato in Australia, Irlanda, Regno Unito e Svizzera per la presunta violazione delle linee guida sulle multinazionali previste dalla stessa OCSE» prosegue Re:Common.

«La miniera è gestita dall’omonima compagnia, di cui le tre aziende detengono quote paritarie. Qualora l’indagine riscontri quanto denunciato delle organizzazioni che hanno presentato il ricorso, BHP, Anglo American e Glencore dovranno prendere provvedimenti per conformarsi alle linee guida dell’OCSE, tra cui la progressiva chiusura totale della miniera e una accurata bonifica ambientale. Le denunce contro i giganti del comparto minerario chiedono anche il pieno risarcimento delle comunità per i danni subiti - prosegue Re:Common sul proprio sito, grazie alla ricostruzione di Luca Manes - Le denunce sottolineano come il Cerrejón, una delle più grandi miniere a cielo aperto del mondo, sia la causa dello spostamento forzato di comunità indigene e afro-colombiane e all’inquinamento diffuso, persistente ed estremo dell’aria e dell’acqua. Alte concentrazioni di metalli nocivi, che possono causare malattie come il cancro, sono state trovate dalle autorità colombiane nel sangue di coloro che vivono nell’area».

«Le operazioni della miniera hanno, inoltre, portato alla deviazione di corsi d’acqua. Una enorme iattura, in una regione regione semi-desertica e che infatti ha avuto ricadute pesanti sulle comunità, provocando una diffusa malnutrizione in età giovanile - prosegue l'associazione - Le denunce sottolineano il mancato rispetto da parte di Cerrejón di molteplici sentenze dei tribunali colombiani. Lo scorso settembre, diversi eminenti esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno chiesto la sospensione di alcune delle operazioni della miniera. Tutto ciò in seguito alla richiesta di intervento degli indigeni Wayuu».

«Per l’ennesima volta le comunità Wayuu della Guajira vedono accolte le loro istanze. Cerrejón si nasconde dietro un “mancato” coinvolgimento da parte delle Ong e dichiara che risponderà a tutti i rilievi presentati. La bella favola della “miniera sostenibile” propagandata dalla compagnia cozza con quanto denunciano la società civile locale e internazionale - aggiunge Re:Common - “Purtroppo ancora una volta ci troviamo a sottolineare la scomoda posizione dell’italiana ENEL, che continua a mantenere relazioni commerciali, e non solo, con Cerrejón”, ha dichiarato Filippo Taglieri di Re:Common, che da anni lavora sul controverso tema del carbone colombiano e dei suoi legami con il nostro Paese».

 

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