Laura Infurnari, sui binari del cuore e della professionalità

'Storie invisibili' racconta il particolare percorso di Laura Infurnari, giovane medico, già parte attiva del progetto Medici senza Frontiere a Lampedusa e in Mozambico, che ha fatto della medicina nei Paesi 'poveri' una scelta di vita.

Laura Infurnari, sui binari del cuore e della professionalità
'Storie invisibili' racconta il particolare percorso di vita di Laura Infurnari, giovanissimo medico che ascoltandosi, perseguendo i propri sogni e fuoriuscendo dagli schemi offre con umiltà se stessa e le proprie competenze al servizio dei meno fortunati. Una donna, un medico la cui tenacia, determinazione e voglia di continuare a migliorarsi rappresentano le solide fondamenta sulle quali costruire la concretezza del proprio agire per gli altri. “Per realizzare i propri sogni è sufficiente seguire il proprio cuore e sfruttare le opportunità che la vita ci regala” Laura Infurnari Se dovessi descriverti ai lettori che non ti conoscono cosa diresti in poche parole? Chi è Laura? Una donna semplice, sognatrice e un medico che esce un po' fuori da certi schemi. Racconta ai lettori de Il Cambiamento del tuo percorso di vita. Il mio percorso di vita è stato abbastanza rettilineo sin dall’infanzia. Ho avuto, infatti, da sempre un obiettivo che è stato quello di diventare un medico e di lavorare per le persone meno fortunate e, dunque, nei Paesi più poveri. Il motivo principale che mi ha spinto ad intraprendere questo percorso è il grande desiderio dentro di me di fare qualcosa per aiutare il prossimo, soprattutto chi è meno fortunato e spesso dimenticato dal resto del mondo. Questo desiderio mi ha accompagnato sin da piccola; ricordo, infatti, il momento esatto in cui si è introdotto nella mia testolina un grande obiettivo: ero alle scuole elementari e la maestra mi diede da leggere un libro che riportava la biografia di Albert Schweitzer, un medico tedesco che mise la sua vita a servizio dei più deboli, lavorando come missionario in Africa e costruendo un ospedale in Gabon. Rimasi talmente affascinata da quella storia che decisi che avrei voluto fare lo stesso e da lì ebbe inizio il mio cammino. Ho intrapreso così gli studi di medicina per poi specializzarmi in malattie infettive approfondendo il campo della medicina tropicale. Durante questi anni in cui hai perseguito la tua passione avrai avuto modo di incontrare tante difficoltà e avrai avuto modo di conoscere delle realtà fuori dal comune, ti va di raccontarci? Ripensando a quello che è stato il mio percorso non mi sento di definire come 'difficoltà' il tempo e l’impegno che ho dedicato agli studi, gli sforzi per approfondire un campo della medicina messo un po’ da parte come quello della medicina tropicale, affrontare situazioni nuove e realtà completamente diverse dalla mia. Tutto ciò, alla luce di un chiaro obiettivo finale, ha rappresentato una parte importante del mio bagaglio culturale indispensabile per realizzare il mio sogno. Paradossalmente, la difficoltà più grande che ho incontrato nel mio percorso è stata quella di dovermi 'scontrar', sia nell’ambito lavorativo che nella vita quotidiana, con una idea della medicina e 'dell’essere medico' molto diversa e lontana dalla mia. Uno dei blocchi e degli ostacoli di molta gente è l’insicurezza, l’abbandonare il certo per l’incerto. Cosa pensi in merito a ciò? Abbandonare il certo per l’incerto richiede veramente molto coraggio e questo coraggio lo si trova solo se trasportati da una grande passione o da una grande disperazione. Lasciarsi vincere dalla paura significherebbe rimanere disperati e/o frustrati. Video: 'I Migranti' di Flavio Lo Scalzo. Fotografie scattate tra il 2007 e il 2009 all'interno del CPT di Pian del Lago (Caltanissetta) e durante alcuni dei tanti trasferimenti di migranti da Lampedusa verso la Sicilia per mezzo di navi della Marina Militare Italiana. In alcuni casi, insieme a migranti stanchi e provati, sono arrivate le salme di migranti naufragati e morti in mare. Nell’arco della tua vita quali sono state le esperienze più toccanti, più forti e quelle in cui hai sentito davvero di essere cresciuto come donna e come medico? A parte la nascita della mia nipotina che ho vissuto minuto per minuto e che rappresenta per me un’emozione unica, mai provata prima, le esperienze più forti e toccanti della mia vita le ho vissute nell’ambito della mia attività di medico. Tra queste ricordo con particolare carico emotivo il periodo di lavoro per Medici senza Frontiere a Lampedusa dove il mio compito era di prestare le prime cure ai migranti che sbarcavano sull’isola. La ricordo come un’esperienza estenuante fisicamente per il carico di lavoro e allo stesso tempo mentalmente struggente. Molte persone, tra cui bambini e donne gravide, arrivavano in pessime condizioni fisiche generali (malnutrite, ustionate, disidratate, sfinite) e con sguardi carichi di sentimenti contrastanti nei quali potevi leggere da un lato la felicità di essere vivi e arrivati a destinazione e dall’altro lato il terrore vissuto durante il lungo viaggio attraverso il deserto e il mare e nelle prigioni della Libia. Sentimenti altrettanto forti, che custodisco come tesori nel mio cuore, sono quelli provati lavorando sempre per Medici Senza Frontiere in Mozambico. La gioia di vedere bambini affetti da HIV e malnutrizione 'rinascere' grazie alle minime cure disponibili, 'il gelo' di fronte ad una donna che muore di tubercolosi nonostante le cure disponibili ma non sempre accessibili, sono sentimenti forti che mi hanno duramente mostrato i benefici della medicina occidentale e allo stesso tempo la sua inutilità nel momento in cui non è resa accessibile ai 2/3 della popolazione mondiale. Accennavi alla tua missione in Mozambico, ci dai maggiori dettagli? Il progetto, portato avanti da Medici Senza Frontiere (MSF), ha l’obiettivo di migliorare e rendere più accessibili le cure per le persone con infezione da HIV in Mozambico, Paese in cui il 15% della popolazione giovane-adulta è sieropositiva. MSF ha avviato inizialmente il progetto fornendo cliniche, mezzi e personale propri con l’obiettivo di renderlo 'sostenibile' sensibilizzando e coinvolgendo gradualmente il Governo locale che, ad oggi, si è preso carico della gestione del progetto. Durante il periodo della mia missione, il progetto viveva una fase di 'passaggio del testimone' per cui uno degli obiettivi principali era quello di formare e supervisionare il personale sanitario locale (costituito prevalentemente da infermieri vista la carenza di medici nel Paese) e, allo stesso tempo, sviluppare nuovi modelli per rendere le cure più accessibili alla popolazione mozambicana, la maggior parte della quale vive in villaggi molto distanti dai centri urbani, attraverso ad esempio il decentramento delle cure, ovvero rendere capaci i piccoli centri di salute dislocati nel territorio nonché il personale non specializzato di fornire assistenza e farmaci alle persone sieropositive. Di certo un’esperienza forte, hai avuto momenti di cedimento, di sconforto? I primi mesi sono stati duri. L’impatto con una realtà così povera e con problemi e difficoltà così grandi mi hanno fatto dubitare dell’utilità della mia presenza e del progetto in generale. Con il tempo, poi, ho imparato che per non cedere allo sconforto ed ottenere risultati bisogna 'resettare' il proprio cervello da occidentale, abituarsi all’idea che in Africa spesso ad un passo avanti ne seguono due indietro e che quindi raggiungere l’obiettivo richiede molto tempo e molti sforzi ma che proprio per questo quando raggiungi un risultato la soddisfazione che provi è enorme; ho imparato che è meglio non porsi un grande obiettivo ambizioso ma spezzettarlo in tanti piccoli obiettivi da raggiungere passetto dopo passetto che insieme porteranno alla meta. Tra le altre cose, ho dovuto imparare a confrontarmi con le autorità locali, punto chiave per raggiungere dei risultati e porre le basi per renderli duraturi, accettando purtroppo a volte dei compromessi in nome del fine ultimo che è il beneficio delle persone che vivono in quel Paese. Sconforto e frustrazione hanno, dunque, ceduto il posto ad entusiasmo e forza e questo soprattutto grazie alle persone per cui lavoravo e con cui lavoravo. I bambini e i pazienti che ho visitato settimanalmente per un anno, che mi hanno dato fiducia e affetto, il personale locale che ha lavorato pazientemente e quotidianamente al mio fianco mostrandomi stima e gratitudine, gli operatori umanitari di Medici Senza Frontiere (medici, infermieri, logisti, amministratori, autisti, cuochi, ecc) che rendono possibile portare avanti un sogno lavorando con umiltà e dedizione, sempre pronti a scambiare idee e opinioni con un obiettivo comune: garantire un diritto umano, l’accesso alla salute. Che risultati concreti hai contribuito ad ottenere durante quella esperienza? Quando si lavora in un progetto di sviluppo a lungo termine, come quelli che si occupano di HIV o Tubercolosi, è difficile che nell’ambito della propria missione si possano cogliere i frutti del proprio lavoro perché, come dicevo prima, spesso i risultati si ottengono dopo anni grazie al lavoro di tante persone che si susseguono anno dopo anno come in una staffetta. Io ho avuto la fortuna di vedere qualche piccolo cambiamento nato dal mio contributo piccolo ma importante. Come ho già accennato, uno dei miei obiettivi era quello di formare il personale sanitario locale a gestire il programma HIV/TB nei piccoli centri di salute dislocati nel territorio e questo sia per quanto riguarda la parte clinica (qualità delle visite, prescrizione dei farmaci, test diagnostici adeguati) che gestionale (flusso dei pazienti, offerta delle cure, raccolta dei dati statistici/epidemiologici e relativa analisi e interpretazione ecc). Quando sono arrivata ho trovato di fronte a me personale sanitario totalmente disinteressato, privo di entusiasmo, senza alcuna voglia di crescere professionalmente. Questo, probabilmente, dovuto alle difficoltà che ogni giorno tali persone devono affrontare, umiliate dalla classe dirigente, sottopagate e, dunque, demotivate. Nel tempo, con un lavoro certosino e instancabile, lavorando fianco a fianco tutti i giorni, coinvolgendo tutto il personale e rendendolo protagonista attivo del progetto ho ottenuto entusiasmo da parte di tutti raggiungendo buoni risultati di crescita professionale. Questo è stato per me un 'grande' risultato che ha posto le basi probabilmente per qualcosa di più grande e duraturo. Hai dei rammarichi o dei rimorsi guardando a quella esperienza (o ad altre) e più in generale a questa parte della vita vissuta? Non ne ho. Dal mondo africano come si vede ed osserva il mondo occidentale, l’Europa, l’Italia? L’occidente visto dall’Africa sembra ricco e opulento ma nello stesso tempo triste e malato. È come se avessimo perso il senso della vita e cercassimo di colmare questo vuoto interiore circondandoci di cose effimere. Quali sono i tuoi sogni oggi? Che progetti hai in corso attualmente? Realtà e aspettative? Attualmente vivo e lavoro a Milano. Ho deciso di deviare un po’ il mio percorso, crescere ancora di più professionalmente e tornare successivamente sui miei passi. Prenderò una seconda specializzazione in Microbiologia, in un certo senso complementare alle Malattie Infettive, per cui trascorrerò alcuni anni in questa città affrontando, temo, sfide diverse ma altrettanto difficili. Suggeriresti ad altri di intraprendere un cammino simile? Suggerirei a tutti di fare un’esperienza di lavoro simile in un Paese povero perché porterebbe a conoscersi meglio, a sentirsi più gratificati delle proprie fatiche, a ridimensionare i propri problemi acquisendo una visione più ampia e realistica del mondo di cui facciamo parte. Credo, inoltre, che il beneficio che ciascuno trarrebbe da questa esperienza si ripercuoterebbe positivamente su tutto ciò che ci circonda. Qual è la tua canzone preferita, il tuo libro preferito e il tuo paese preferito? La canzone è With my own two hands di Ben Harper; il libro è La città della gioia di Dominique Lapierre; il Paese, lo sapete già. Che messaggio ti piacerebbe trasmettere ai lettori de Il Cambiamento? Per realizzare i propri sogni è sufficiente seguire il proprio cuore e sfruttare le opportunità che la vita ci regala. “…ognuno di noi deve trovare la propria missione in questa Terra ricercando in se stesso, scavando per trovare quello di cui dispone e che può essere regalato al prossimo” tratto da La cucina vista dallo scannatoio di Dario Lo Scalzo

Commenti

E' tutto molto familiare...
Christian, 21-09-2011 03:21

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