Conversazione con Maurizio Pallante. Seconda parte

Dopo avervi introdotto nel mondo della decrescita felice, ripercorriamo ora insieme a Maurizio Pallante la storia e lo sviluppo del movimento soffermandoci sul ruolo della tecnologia e della politica.

Conversazione con Maurizio Pallante. Seconda parte
Maurizio Pallante, come è nato il vostro movimento e come pensi possa svilupparsi? Tutto è cominciato da un’esigenza diffusa tra i fondatori del movimento: quella di confrontarsi in maniera più sistematica con persone che stavano ragionando su questa idea e la stavano di fatto già praticando. Abbiamo quindi organizzato degli incontri tra di noi ma anche con gli imprenditori perché riteniamo fondamentale, per gli obiettivi del nostro movimento, la nascita di aziende che sviluppino tecnologie che riducano il consumo di risorse a parità di servizi. Dopo un anno di riflessioni, abbiamo deciso di fondare un movimento. Siamo gli unici finora ad averlo fatto. Non esistono all’estero movimenti per la decrescita. Esistono in Francia delle persone che si occupano di decrescita e che pubblicano una rivista bimestrale. Probabilmente evolveranno verso la costituzione di un partito, mentre noi abbiamo deciso che non ci candideremo alle elezioni. Abbiamo quindi fatto una scelta molto precisa decidendo di lavorare in tre direzioni: - stili di vita: analizzare quali scelte compiere nella propria vita in direzione della decrescita e contribuire alla loro diffusione (autoproduzione, gas-gruppi di acquisto solidale, forme di solidarietà di vicinato, banche del tempo). - tecnologie della decrescita: per fare una casa che consuma 7 litri ci vuole più tecnologia che fare una casa che consuma 20! È una tecnologia diversa dalla tecnologia della crescita. Quest’ultima ha lo scopo di aumentare la produttività, cioè di fare in modo che nell’unità di tempo ogni persona faccia più cose possibili; le tecnologie della decrescita hanno lo scopo di ridurre per ogni unità di prodotto l’energia e la materia prima necessaria, la quantità di rifiuti che si produce al momento della produzione, i rifiuti industriali che si creano dopo, quando l’oggetto viene dimesso. Quindi si può dire che tutte le tecnologie del riciclaggio sono tecnologie della decrescita. - politica: si possono fare, soprattutto a livello locale, delle scelte politiche indirizzate alla decrescita. Un comune che ottimizza i consumi energetici dei suoi edifici ed evita gli sprechi fa una scelta in direzione della decrescita; un comune che emana un regolamento edilizio sulle nuove costruzioni che preveda che all’interno delle stesse non si possano consumare più di 7 litri di gasolio per il riscaldamento, fa una scelta in direzione della decrescita; e così via. Il nostro obiettivo, quindi, è quello di avere dei gruppi locali che si confrontino e si direzionino verso queste tre direzioni. Approfondiamo meglio l’aspetto tecnologico e in particolare le sue ripercussioni sul piano energetico. In molti credono che applicare la decrescita significhi rifiutare la tecnologia. Invece è proprio il contrario! Significa sviluppare al massimo determinate tecnologie. Ma le scelte vanno fatte con cognizione di causa. Ad esempio: ha senso affermare che la priorità per realizzare una politica energetica rispettosa dell’ambiente sia sviluppare le fonti rinnovabili? No. Finché noi continueremo a sprecare il 70% dell’energia che si consuma nelle abitazioni, nell’autotrasporto, nelle centrali termoelettriche, il sistema energetico sarà simile ad un secchio bucato. E normalmente, se ho un secchio bucato e devo riempirlo d’acqua, prima di decidere quale sia la fonte migliore con cui riempirlo, cerco di chiudere i buchi. Facendo ciò, elimino le dispersioni e pratico la decrescita. Solo una volta eliminati gli sprechi, quindi, posso studiare fruttuosamente il miglior modo per sostituire il residuo di fabbisogno di fonti fossili con energia generata da fonti rinnovabili. Ma non è tutto. Anche la scelta di quali energie rinnovabili utilizzare e con quali modalità è una scelta che va fatta con cognizione di causa. Le fonti rinnovabili, infatti, per minimizzare il loro impatto sull’ambiente, non si devono sviluppare attraverso grandi impianti, ma su piccoli impianti finalizzati all’autoconsumo. Una grande centrale eolica, ad esempio, ha una serie di controindicazioni: - devasta le colline; - comporta la costruzione di strade di servizio per i camion; - necessita di grandi scavi per le fondamenta, essendo i pali alti anche 120 metri; - danneggia notevolmente le migrazioni degli uccelli, mietendo centinaia di vittime, in quanto questi volatili utilizzano proprio le “correnti costanti” su cui si tracciano le rotte degli uccelli che vengono quindi fatti a fettine. In Gran Bretagna, invece, vendono delle pale eoliche da un kilowatt di potenza, alte 2 m, destinate ad una diffusione capillare e prive di controindicazioni. E per quanto riguarda il solare? Anche in questo caso vale lo stesso discorso. Se costruisco una grande centrale fotovoltaica devo coprire ettari ed ettari di terreno con materiale inorganico, impedendo così la fotosintesi clorofilliana. Se invece ricopro di pannelli solari i tetti di tutto il paese non ho alcuna controindicazione. Questa modalità di produzione energetica è chiamata generazione diffusa. Io produco l’energia che mi è necessaria e scambio l’eccedenza. L’energia prodotta per l’autoconsumo non è una merce, ma un bene. Torniamo quindi al discorso della decrescita felice. In che modo il vostro movimento cerca di incoraggiare questo tipo di iniziative? Se c’è un’azienda che produce qualcosa che permette un minor consumo di energia elettrica o di riscaldamento per le abitazioni, noi riteniamo che questa azienda stia lavorando per la decrescita e quindi vogliamo incoraggiarla e aiutarla. Cerchiamo quindi di raggruppare delle aziende che sviluppano tecnologie in grado di ridurre il consumo delle risorse, le mettiamo in rete e realizziamo una specie di database che comprende le aziende che soddisfano determinati requisiti. Oltre alla qualità dei loro prodotti valutiamo la responsabilità sociale ed ambientale dell’impresa. Cerchiamo quindi di coinvolgere la gente comune in questo processo, invitando le persone che si rivolgono a queste ditte a dargli un voto. Passando alla politica, prima hai detto che voi non volete partecipare alle elezioni, però hai poi aggiunto che la politica è uno dei vostri tre obiettivi primari. Puoi spiegarci meglio? La nostra azione politica si esplicita a livello locale. Noi vogliamo influire sulle amministrazioni comunali. Questo può avvenire in due modi. O alcuni partiti accolgono le nostre proposte e se ne fanno portavoce oppure dovremo realizzare delle liste civiche sullo stile di Beppe Grillo. Mentre Grillo si pone come elemento di rottura e di critica, però, noi ci proponiamo come fornitori di contenuti, di proposte. Vogliamo quindi rapportarci anche con i meet up. L’unica lista di Grillo che è riuscita a conquistare un consigliere comunale è quella che si è formata a Treviso ed è una lista strettamente legata a noi, con un programma e con delle proposte molto precise. Il nostro obiettivo è mettere i contenuti nei programmi. Questo non significa necessariamente che qualcuno di noi debba entrare in una lista civica, anzi! Qualcuno forse ci entrerà, ma il contributo che diamo come movimento alle liste civiche è quello di arricchirle di contenuti. In passato ho aderito ai Verdi. Il partito era ancora agli inizi e il loro bacino elettorale era molto ampio. Tutti coloro che erano stati trombati politicamente o stavano in qualche partitino senza speranza si sono quindi buttati dentro e ci hanno utilizzati come taxi verso i palazzi del potere. Noi Verdi (definiti da me in un saggetto le vispe terese) eravamo un po’ ingenui e ci siamo fatti sfruttare a piacimento. Non ho quindi nessuna intenzione di ripetere quella esperienza e di perdere anche solo mezzo minuto a discutere con qualcuno che vuole utilizzare strumentalmente il movimento cogliendone una potenzialità elettorale non indifferente e distogliendomi dall’elaborazione delle mie idee. Naturalmente ciò non toglie che se qualsiasi partito o lista civica sposasse le nostre idee saremmo ben lieti di condividere con loro il programma delle nostre scelte. Di politica e tecnologia abbiamo parlato. Venendo agli stili di vita, da cosa bisognerebbe partire per vivere all’insegna della decrescita felice? Bisogna ri-imparare il saper fare. Oggi non sappiamo fare più niente, perché compriamo tutto. Bastano due giorni di sciopero dei camion (ricordate gli assalti ai supermercati di qualche mese fa?) e milioni di cittadini vanno nel panico perché sanno che se non comprano non vivono; bisogna quindi riscoprire il saper fare come elemento culturale. Ecco perché a Torino (Maurizio Pallante vive in Piemonte, n.d.r) stiamo realizzando l’Università del saper fare. Stiamo anche cercando di immaginare un futuro diverso per la città, che in questi anni è una specie di Titanic dove si passa da una festa all’altra cercando di creare occupazione effimera sfruttando le Olimpiadi, le Paraolimpiadi, il 150 Anniversario dell’Unità d’Italia e così via. Cosa dovrebbero fare invece? "Bisognerebbe cominciare a vedere che esiste, in una città che ha una spiccata tradizione industriale, la possibilità di sviluppare delle tecnologie che vanno in direzione della decrescita. I torinesi hanno il chiodo fisso di non essere più capitale per cui ogni volta che possono dicono Torino la capitale dello sport, degli scacchi, adesso è la volta del design. Il design moderno dovrebbe essere finalizzato alla creazione di oggetti che, una volta diventati obsoleti, possano essere scomposti nelle loro materie prime. Eppure questo argomento non è mai stato trattato nei 150 convegni organizzati! Una città con una tradizione tecnologica così forte non è in grado di esprimere delle persone in grado di progettare degli oggetti costruiti in quest’ottica? Io penso di si! Per sintetizzare? Noi non vogliamo presentarci come quelli del 'no a questo, no a quest’altro. Noi, con la nostra forza e modestia, siamo quelli delle controproposte inserite in una visione complessiva di progettazione del futuro; vogliamo entrare nell’orizzonte delle cose possibili.

Anche questa seconda parte finisce qui. Nella prossime 'puntate' vedremo come si possa applicare il modello della decrescita alle grandi città, analizzeremo il ruolo della donna in questo contesto e ci soffermeremo sul rapporto tra Decrescita Felice e 'sviluppo sostenibile'.

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