Stanno uccidendo il lavoro o il lavoro sta uccidendo noi?

Stanno uccidendo il lavoro o il lavoro sta uccidendo noi? In un momento come questo di grande difficoltà economica e a fronte di dati significativi sulla disoccupazione, la riflessione di Alexandra Bradbury può apparire profondamente provocatoria. Ma ha un senso compiuto, per comprendere il quale occorre cambiare paradigma.

Stanno uccidendo il lavoro o il lavoro sta uccidendo noi?

Alexandra Bradbury è un’attivista per i diritti civili e ha esperienza nel Servizio per l’Impiego degli Stati Uniti. Fa parte di Labor Notes, un movimento che si batte per il lavoro in una maniera del tutto nuova.

«Per il bene nostro e del pianeta – dice Alexandra – è tempo di costituire un movimento per il lavoro per si batta per lavorare meno, non di più. Dobbiamo smetterla di sostenere o invocare tutto ciò che porta più lavoro pagato». Il ragionamento è lineare, sebbene, appunto, provocatorio: liberando milioni di ore di lavoro con la liberalizzazione selvaggia dello sfruttamento dei lavoratori e con la loro esasperata precarizzazione, li si rende ancora più dipendenti dal lavoro stesso, che accetteranno senza riserve, senza obiezioni, a qualsiasi condizione, rinunciando a vivere e sopravvivendo solo per lavorare. Quindi “liberare” il lavoro potrebbe voler dire permettergli di ucciderci.

Ci sono persone che non vivono, bensì sopravvivono dilaniate tra un lavoro e l’altro per poter raggranellare soldi; c’è chi accetta di fare turni su turni fino a quando, spossato, mette magari a rischio la propria vita. «Ma questo non vuol forse dire che il lavoro non è distribuito equamente tra tutti coloro che lo vogliono?» è quanto si chiede Alexandra. Abbiamo dunque un lavoro da sessanta ore a settimana anziché due da trenta ore ciascuno e la disoccupazione è altissima. Inoltre, «lavorare meno non è solo un obiettivo umano e umanizzante, ma anche una necessità del pianeta». Data dunque una evidente iniqua distribuzione del lavoro cui andrebbe posto rimedio, possiamo ulteriormente individuare due strade per lavorare meno: aumentare gli stipendi oppure abbassare il costo della vita e questo non dovrebbe suonare come una utopia. In un recente numero della rivista Jacobin, Daniel Aldana Cohen raccontava la storia della Francia del 1936, quando i lavoratori si batterono e ottennero due settimana di vacanza per ciascuno. Quell’estate il governo decise di scontare del 40% il costo dei viaggi in treno e centinaia di migliaia di persone ne usufruirono. Molti visitarono le spiagge per la prima volta, altri si recarono a far visita a parenti o si impegnarono in campi e attività in giro per il paese. «Provate a immaginare cosa significherebbe – spiega Alexandra – per la nostra salute e per il pianeta, è tempo di muoversi in questa direzione».


 

 

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