Nel 2050 una perdita di biodiversità pari al 7% del Pil globale

Il 2010, dichiarato Anno Internazionale della Biodiversità, doveva essere l’anno decisivo per verificare l’efficacia delle politiche di conservazione messe in atto a livello globale e si è invece chiuso con un altro bilancio negativo. La perdita di biodiversità non si è arrestata e prosegue a ritmi allarmanti. Legambiente: "Urgente mettere un freno al cambiamento climatico e investire sulle Aree Protette".

Nel 2050 una perdita di biodiversità pari al 7% del Pil globale
Da 100 a 1000 volte più veloce del normale. È il ritmo con cui la terra sta perdendo il suo patrimonio di diversità di specie animali e vegetali, secondo i dati divulgati in occasione della chiusura del Countdown 2010, la campagna dell’IUCN (l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) per arrestare l’estinzione delle specie e frenare la perdita di biodiversità. Il 2010, infatti, dichiarato Anno Internazionale della Biodiversità, doveva essere l’anno decisivo per verificare l’efficacia delle politiche di conservazione messe in atto a livello globale e si è invece chiuso con un altro bilancio negativo. La perdita di biodiversità non si è arrestata e prosegue a ritmi allarmanti. Non intervenire subito potrebbe costarci molto anche in termini puramente economici: se non si porrà un freno ai cambiamenti climatici, infatti, entro il 2050 la perdita di biodiversità sarebbe pari al 7% del PIL globale. Secondo la FAO, inoltre, il 60% degli ecosistemi mondiali sono ormai degradati o utilizzati secondo modalità non sostenibili, il 75% degli stock ittici sono troppo sfruttati o impoveriti in modo eccessivo e dal 1990 abbiamo assistito alla perdita di circa il 75 % della diversità genetica delle colture agricole a livello mondiale. Inoltre, il 20% delle barriere coralline tropicali è già scomparso a causa dei cambiamenti climatici e il 95% di quelle restanti rischia di scomparire entro il 2050. La situazione non è migliore in Europa, dove soltanto il 17% delle specie e degli habitat e l’11% degli ecosistemi principali protetti dalla legislazione sono in buone condizioni, mentre il 25% circa delle specie animali, inclusi mammiferi, anfibi, rettili, uccelli e farfalle sono a rischio di estinzione. Dal 1990, ad esempio, il numero delle specie comuni di uccelli è diminuito di circa il 10%, raggiungendo il 15 e il 20% in meno per gli uccelli comuni dei terreni agricoli e le specie comuni che abitano i boschi. È il quadro preoccupante che emerge dal dossier di Legambiente Biodiversità a rischio 2011 di cui l’associazione ha anticipato alcune parti da Terra Futura, la mostra convegno internazionale sulla sostenibilità che si svolge fino al 30 maggio a Firenze. Un lavoro che raccoglie numeri, cause, scenari e prospettive per spronare cittadini e istituzioni ad agire subito per mettere un freno al declino delle specie viventi e un modo per diffondere e valorizzare ciò che di buono è stato fatto per la conservazione della natura e la salvaguardia delle specie. “Nonostante ci sia ancora moltissimo lavoro da fare – ha dichiarato Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente – ci sono alcuni segnali incoraggianti che arrivano da progetti specifici, realizzati ad esempio dalle Aree Protette, che dimostrano il valore e l’efficacia di queste istituzioni per la conservazione della natura e la salvaguardia delle specie a rischio. La tutela dei territori – aggiunge Nicoletti – è infatti una strategia efficace per contenere la perdita di biodiversità e non una limitazione della libertà degli individui”. Il nostro Paese è un laboratorio ideale per sperimentare progetti di conservazione visto che grazie alla notevole varietà di zone climatiche e paesaggi differenti, conserva circa un terzo della biodiversità attualmente presente in Europa: circa 58.000 specie, di cui 55.000 invertebrati, 1.812 protozoi e 1.258 vertebrati. Inoltre, l’Italia ospita circa la metà delle specie vegetali presenti nel territorio europeo: circa 6.711 specie. Anche la flora biologica italiana, comprendente muschi e licheni, è una delle più ricche d’Europa con 1.130 specie, di cui 851 muschi e 279 licheni. Un patrimonio però gravemente minacciato: la metà dei vertebrati presenti in tutto il territorio è a rischio di estinzione, così come un quarto degli uccelli e oltre il 40% dei pesci dei fiumi e dei laghi. Ma la situazione più critica è quella degli anfibi, dove la percentuale di specie endemiche minacciate sale a oltre il 66%. Per quanto riguarda la flora sono in pericolo 1020 specie vegetali superiori - circa il 15% del totale – e, tra le piante inferiori, il 40% delle alghe, licheni, muschi, felci. E visto che il 2011 è anche l’Anno Internazionale delle Foreste, nel Dossier non poteva mancare un focus sullo stato di salute dei polmoni verdi del pianeta. Anche questa fotografia, che per il nostro Paese racconta di come i boschi siano cresciuti a discapito della superficie agricola utilizzata, ci mostra come lo stato delle foreste a livello globale sia estremamente allarmante. Sebbene infatti nel decennio 1990-2010 la perdita delle foreste sia leggermente rallentata, ancora ogni anno vanno perduti tra 11 e 15 milioni di ettari a causa di deforestazione, cambiamenti climatici, incendi, conversione della foresta in piantagioni industriali o pascoli, sfruttamento minerario o petrolifero e costruzione di strade o altre infrastrutture. Negli ultimi 20 anni solamente in Italia a causa degli incendi sono andati distrutti oltre 1.100.000 ettari di superficie boschiva, più o meno l’estensione dell’Abruzzo. E se le foreste sono gravemente minacciate, i mari non stanno meglio. Secondo un Report presentato lo scorso ottobre dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), senza un significativo intervento di conservazione la diversità biologica marina andrà deteriorandosi nei prossimi 20 anni con gravi conseguenze per tutte le nazioni costiere. Lo studio evidenzia l’urgente necessità di affrontare i rischi derivanti dalle attività di pesca, dall’aumento dei traffici marini (la cui crescita media annua è di circa il 9-10%), dai cambiamenti climatici e dall’acidificazione dei mari. Dati preoccupanti emergono anche per il Mar Mediterraneo dal Report Census of Marine Life secondo il quale oltre ad essere tra i mari più ricchi di biodiversità (è secondo solo ai mari del Giappone e dell'Australia) con oltre 17.000 specie riscontrate, è anche quello più a rischio di perdere il suo patrimonio perché circondato da coste densamente popolate e massicciamente coltivate e industrializzate. Inoltre, il Mediterraneo è anche la regione con il maggior numero di specie invasive: 637, il 4% di tutte quelle che abitano il bacino, oltre ad essere la parte del mondo con più rotte marine commerciali. Per il futuro l’impegno internazionale è arrivato dall’ultimo summit delle Nazioni Unite svoltosi in Giappone, a Nagoya, lo scorso ottobre, nel quale i 193 Paesi aderenti alla CBD (Convenzione sulla Diversità Biologica) hanno fatto il punto della situazione e sottoscritto la strategia per i prossimi anni. Nell’accordo raggiunto sono indicati venti target principali organizzati in cinque obiettivi strategici che mirano a evidenziare le cause che determinano la perdita di biodiversità, a ridurre le pressioni esercitate sulla biodiversità, a tutelare la biodiversità a tutti i livelli, ad aumentare i benefici derivanti e a sostenere lo sviluppo delle competenze e delle capacità. Con questi obiettivi le Parti hanno concordato almeno di dimezzare e, ove possibile, di portare vicino allo zero il tasso di perdita degli habitat naturali, comprese le foreste, di proteggere il 17% delle aree terrestri e delle acque interne e il 10% delle aree marine e costiere, di ripristinare almeno il 15% delle aree degradate e di compiere ulteriori sforzi per ridurre le pressioni subite dalle barriere coralline. Il Protocollo di Nagoya dovrebbe entrare in vigore nel 2012 con un sostegno finanziario di un milione di dollari fornito dal Global Environment Facility e già da molti considerato insufficiente per raggiungere gli obiettivi. Anche l’Europa ha fatto la sua parte approvando recentemente una nuova strategia, che andrà a coprire il periodo fino al 2020, e che si concentra in particolare su sei obiettivi prioritari con le relative misure d’attuazione: attuare la normativa dell'UE sulla protezione degli uccelli e degli habitat; preservare e migliorare gli ecosistemi, ripristinando almeno il 15% delle aree danneggiate; ricorrere al settore agricolo e forestale per migliorare la biodiversità; assicurare l'uso sostenibile della pesca riducendo le catture ai limiti determinati scientificamente entro il 2015; contrastare le specie esotiche che invadono gli habitat e che oggi minacciano il 22% delle specie indigene dell'UE; intensificare l'azione dell'UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale. “Gli impegni assunti a Nagoya – conclude Nicoletti - e la Strategia Europea impegnano il nostro Paese ad avere un comportamento più coerente e virtuoso per contenere la perdita di biodiversità. Non bastano solo i proclami ma servono politiche attive per tutelare le specie a rischio, come l’orso, e soprattutto investimenti finanziari adeguati, partendo dalle risorse sulle aree protette, che non vanno tagliate ma incrementate”.

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