Libia: gli interventi militari e la crisi dei movimenti pacifisti

L'intervento ONU in Libia scatena le polemiche sulla liceità dell'intervento armato e rivela una volta di più la debolezza strategica dell'organizzazione internazionale, ma anche le difficoltà dei movimenti pacifisti a far valere la propria posizione contro la guerra. Gli interventi di Flavio Lotti (Tavola della pace), Pierluigi Sullo (Democrazia Km Zero) e Giorgio Gallo (ScienzaePace) pongono la necessità di un dibattito sul ruolo dei movimenti

Libia: gli interventi militari e la crisi dei movimenti pacifisti
Con l'autorizzazione dell'ONU, diffusa lo scorso giovedì 18 Marzo, a procedere a tutte le misure necessarie in Libia, sono in molti a chiedersi se si stia per scongiurare un bagno di sangue o, piuttosto, avviarne di nuovi all'insegna di una nuova Srebrenica, come ha dichiarato recentemente Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace. Ancora una volta le trattative diplomatiche non escludono l'uso di forze militari, attestando l'incapacità, da parte della comunità internazionale, di valersi di strumenti adeguati di mediazione. Nel fuoco delle polemiche l'ultimo intervento del portavoce del Tavolo della pace permette di fare un passo indietro e di mettere in evidenza il ruolo, sempre più indebolito, delle organizzazioni internazionali. Si tratta di un indebolimento dovuto - spiega Lotti - “alla documentata accusa di usare due pesi e due misure. Il silenzio e la sostanziale inazione della comunità internazionale di fronte a tante tragedie in corso (come quella della Somalia) o grandi violazioni dei diritti umani (come quelle perpetrate da oltre sessant’anni nei confronti del popolo palestinese) rende la comunità internazionale poco credibile e la espone a pesanti accuse. A questo si aggiungono anche le ombre lasciate da altri interventi militari occidentali come in Somalia, Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan”. Tuttavia, nelle scorse settimane, prima dell'intervento militare, c'è stato anche chi, come Pierluigi Sullo, si è chiesto: “perché sinistre, movimenti, sindacati, centri sociali, pacifisti e società civile variamente attiva sembrano più che altro indifferenti a quel che sta avvenendo in Libia? Nel paese nostro dirimpettaio, sul Mediterraneo, un dittatore al potere da più di quaranta anni sta macellando il suo popolo e qui nessuno o quasi sembra turbato..”. Dove sono i pacifisti e perché non riescono mai ad impedire il ricorso massiccio all'intervento armato? Della crisi che attraversa movimenti e sinistre (non ultimo il Manifesto) di fronte alle guerre degli ultimi decenni ha fornito un'analisi Giorgio Gallo sulla rivista ScienzaePace del Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace dell'Università di Pisa. Citando un recente intervento di Giulio Marcon, Gallo ricorda che “il pacifismo continua ad essere un movimento che riemerge nei momenti di frattura e di rottura dell'ordine dato (conflitti, tensioni internazionali, ecc.), ma che rimane sotterraneo (nel bene e nel male) di fronte alla stabilità delle condizioni di dominio o di equilibrio interno ed internazionale”. Gallo osserva ancora la specificità del caso libico, in cui un tiranno più o meno anti-statunitense crea una frattura nei calcoli di convenienza degli altri Stati, ed è lo stesso dittatore - potenziale “vittima” dell'intervento armato occidentale - a non porsi come possibile interlocutore per i movimenti pacifisti, essendo del tutto impermeabile all'opinione pubblica internazionale. Ma, se le difficoltà ad esprimere solidarietà ai libici si possono giustificare con le ambiguità politiche e le lacune delle documentazioni, la debolezza dei movimenti pacifisti a far valere la propria posizione si spiega anche con la reale difficoltà a disegnare strategie alternative a causa della perdita di credibilità degli organismi preposti al controllo delle tensioni. Delle proposte sono state avanzate da Flavio Lotti del Tavolo della pace, il quale ha ribadito la necessità di: 1. agire con determinazione per raggiungere un cessate il fuoco immediato, fermare l’escalation della violenza e impedire un nuovo massacro; 2. inviare immediatamente in Libia gli osservatori internazionali dell’Onu; 3. soccorrere le popolazioni bisognose di assistenza umanitaria; 4. monitorare l’assoluto rispetto da parte degli stati dell’embargo sulle armi deciso con la Risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Soprattutto, sarebbe necessario disegnare un quadro di prevenzione dai conflitti e di tutela dei civili, invece di lasciare che le tragedie siano annunciate dalle cronache e rivelate all'opinione pubblica quando è ormai troppo tardi per impedire il massacro (come rischia di accadere adesso nel Bahrain). A tale scopo, Lotti ricorda ancora la necessità di: (1) un sistema di pre-allarme, di identificazione e monitoraggio dei conflitti più pericolosi prima che possano scoppiare; (2) uno strumento di mediazione tra le parti; (3) una forza di polizia internazionale, una forza militare e civile dell'Onu, istituita in modo permanente sulla base della Carta delle Nazioni Unite, pronta ad intervenire quando si deve impedire o fermare lo scoppio della violenza; (4) corpi civili di pace; (5) il Tribunale Penale Internazionale, uno strumento per processare ogni persona accusata di genocidio o di crimini di guerra. Tuttavia, le norme del diritto internazionale risultano sempre vaghe quando si tratta di assicurare concretamente la risoluzione dei conflitti. Così anche la recente risoluzione ONU 1970, pur non implicando l'impiego della forza, è valsa nei fatti da premessa per la successiva risoluzione 1973 ('No-fly zone'), che non ha escluso gli attacchi delle ultime ore. Analogamente le missioni di pace si sono contraddistinte per una tragica inefficacia, come attestano i casi della Somalia e del Ruanda. Che fare? sembra essere, allora, una domanda terribilmente attuale; per questo sarebbe auspicabile che movimenti, gruppi e organizzazioni si confrontassero in un dibattito produttivo. Soprattutto, occorre trovare il modo di unire le forze in una realtà che non rimanga più solo “sotterranea”.

Commenti

L'interventismo di un Ministro della Repubblica (l'articolo 11 è carta straccia da anni) è semplicemente rivoltante. La Russa: "I nostri aerei pronti in 15 minuti". Il premier: "Non credo servirà". Siete sicuri o dovete ancora discuterne? Ma fate pure con comodo: http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/19/dirette/diretta_libia_19_marzo-13804964/ Secondo, per "fermare Gheddafi" e "l'inevitabile intervento" (secondo il Corriere della sera...) bisognerebbe non averlo rifocillato di armi fino all'altro giorno: http://www.ilcambiamento.it/diritti_umani/cooperazione_militare_italia_libia.html Terzo, verranno sicuramente usate armi al D.U. (uranio impoverito) così l'occidente nucleare si libererà di un po' delle sue scorie. Si ammaleranno le popolazioni civili come i militari senza protezioni che andranno a presidiare il territorio libico? Pazienza. Sono le guerre "umanitarie" del terzo millennio: http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2109-le-verita-arricchite-sulluranio-impoverito.html Unica notizia confortante per i romani: per l'estate 2011 si potrà passeggiare nei parchi di Roma senza il rischio di imbattersi in tende beduine, cammelli e Gheddafi a braccetto col nostro amato Premier: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-08-30/berlusconi-incontra-gheddafi-parla-191314.shtml (Un amarcord struggente: ..."il ponte di congiungimento culturale e civile tra la grande Jamaryiha e la Repubblica italiana") Rob
Rob, 20-03-2011 12:20

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