Magistrati, giuristi e associazioni: «No alla proroga dello stato di emergenza»

Tante le voci di magistrati, giuristi, intelettuali e associazioni che si stanno levando per chiedere che non venga prorogato lo stato di emergenza in Italia, come invece sembre essere nell'intenzione del presidente del Consiglio.

Magistrati, giuristi e associazioni: «No alla proroga dello stato di emergenza»

L'appello arriva da Lettera 150, che riunisce circa 250 tra magistrati, intellettuali e giuristi, dal comitato Rodotà e anche da Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale: il loro è un no alla proroga dello stato di emergenza in Italia, come invece sembre essere nell'intenzione del presidente del Consiglio. Un no motivato da argomentazioni che hanno diffuso attraverso i media e anche inviato al capo dello Stato.

L’Osservatorio Permanente sulla Legalità Costituzionale, istituito presso il Comitato Popolare Difesa Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà, ha scritto a Mattarella.

«Il Presidente del Consiglio sarebbe in procinto di prorogare lo stato di emergenza sulla base di una non meglio precisata “esigenza di tenere sotto controllo il virus, per la presenza di alcuni contagi in territorio italiano.” - scrive il comitato - Laddove ciò si verificasse ci troveremmo di fronte a uno strappo gravissimo dell’ ordine costituzionale, a causa del quale la democrazia di un Paese viene di fatto congelata per un anno intero, ad arbitrio del Potere Esecutivo oggi ancor più in assenza di qualunque presupposto giustificativo».

«Dalla lettera del Codice della Protezione Civile, infatti, lo stato di emergenza si riferisce “a eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo.” (art. 24, 7 comma 1 lett. c) Codice Protezione Civile). Il testo della norma, e del Decreto nel suo complesso, è evidentemente destinato a disciplinare quelle situazioni nelle quali vi sia necessità di azione tempestiva ed immediata».

«A conforto di tale interpretazione lo stesso art. 24 comma 1 del Codice di Protezione Civile prevede che, con la delibera di stato di emergenza, vengano immediatamente destinate “risorse finanziarie al soccorso della popolazione”, a conferma quindi che si tratti di situazioni nelle quali il ricorso agli ordinari strumenti democratici, financo a quelli per definizione destinati a fronteggiare situazioni di estrema gravità ed urgenza (come il decreto legge) costituiscono in quel frangente un lusso, uno spreco di tempo che l'Ordinamento non può permettersi perché ogni minuto è sacro - prosegue il Comitato Rodotà - D'altronde il termine stesso “calamità di origine naturale” difficilmente si attaglia a un problema sanitario ed emerge, con tutta evidenza, come già l'originario ricorso, a gennaio 2020, allo strumento dello stato di emergenza (peraltro seguito da un mese di completa inerzia da parte dell'esecutivo) fosse molto discutibile. A maggior ragione appare oggi del tutto sproporzionato ed illegittimo il ricorso a questi strumenti di eccezione».

«La sola presenza di sparuti focolai, peraltro circoscritti in alcune zone del Paese e ad oggi perfettamente gestibili dal Servizio Sanitario, non costituisce requisito sufficiente a introdurre un regime di eccezione che consenta di derogare alla dialettica democratica di uno Stato di Diritto. Nè lo stato di eccezione è giustificato dal mero timore di possibili scenari futuri, sui quali ancora nulla è dato prevedere e sui quali, peraltro, la stessa Comunità Scientifica mostra di avere opinioni divergenti. Ciò equivarrebbe a giustificare il puro arbitrio di un Potere Esecutivo che potrebbe sospendere la democrazia in qualunque momento, perchè in fondo, “del doman non v'è mai certezza.”».

«Neppure si può giustificare lo stato di emergenza con la presenza di focolai in Paesi stranieri, essendo sufficienti le ordinarie misure di contenimento dei flussi in entrata e uscita del Paese per arginare qualunque pericolo in tal senso - proseguono dal Comitato - Che dello stato di emergenza, inoltre, mai si possa abusare lo conferma anche l'art. 25 comma I del Codice di protezione Civile, laddove  impone anche in questi frangenti “il rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'Unione europea.” E' di palmare evidenza che oggi come a maggio, quando il Comitato fu costretto ad intervenire per evitare una minacciata proroga inserita in un decreto legge a fronte di una urgenza inesistente, posto che mancavano più di due mesi alla scadenza originale del primo periodo emergenziale, ci troviamo di fronte a una inaccettabile distorsione di norme che sono  nate per la tutela dei cittadini e che vengono invece distorte al fine di blindare il potere esecutivo e legittimare atti normativi, spesso privi di forza di legge, che possono incidere profondamente sui diritti garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU, (inclusi la libertà di circolazione (Art. 16 – Art. 2 Prot. 4 CEDU), la libertà di riunione (Art. 17 – Art. 11 CEDU), il diritto di professare la propria fede religiosa nei luoghi di culto (Art. 19 – Art. 9 CEDU), il diritto allo studio (Artt. 33-34 – Art. 2 Prot. 1 CEDU), la libertà di iniziativa economica e di utilizzo della proprietà privata (Artt. 41-42 – Art. 1 Prot. 1 CEDU), finanche la libertà di espressione del pensiero (Art.21 – Art. 10 CEDU) e soprattutto la libertà personale (Art. 13 – Art. 5 CEDU) e i diritti inalienabili della persona (Art. 2 e CEDU) -  ledendoli sino quasi ad annullarli, come già è accaduto da gennaio ad oggi».

«Nemmeno il Governo può dimenticare gli impegni, su di esso gravanti, che discendono dai Trattati Internazionali! Ci troviamo così costretti a rammentare, ancora una volta, l'art. 15 della CEDU che consente allo Stato Contraente di esimersi dal rispetto dei diritti fondamentali in essa sanciti in caso di urgenza, ma solo “nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale” - si legge ancora nella lettera del Comitato Rodotà a Mattarella - L’esistenza di una situazione di emergenza, pur rimessa alla valutazione discrezionale dei singoli Stati, deve palesarsi in un evento concretamente verificatosi, che coinvolga l’intera nazione e non comporti l’adozione di misure restrittive a tempo indeterminato e ciò non è dato riscontrare nella odierna situazione sanitaria italiana. L’Italia, inoltre, non ha mai provveduto alle notifiche di cui all'art. 5 CEDU, pur avendo accettato l'art. 15 CEDU senza riserve ed è quindi inadempiente, oggi come a gennaio, rispetto ai suoi obblighi internazionali. In conclusione, qualora lo “stato di  emergenza” venisse prorogato nella attuale situazione, in carenza di qualsivoglia presupposto, ci troveremmo di fronte a un abuso di potere contro il quale il Comitato Rodotà farà di tutto per resistere in ogni forma compatibile con i principi del costituzionalismo liberale. Non si può infatti celare al popolo l’esistenza di un “diritto /dovere di resistenza all'oppressione ogni qual volta i poteri pubblici violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione”, principio che condivide con lo stato di Emergenza il fatto di non aver trovato collocazione ufficiale all'interno della Carta Costituzionale, ma che fu spesso richiamato dai Padri Costituenti e rappresenta, oggi più che mai, un monito in qualunque Stato di Diritto. Illustre Presidente siamo qui a pregarla, come già nella scorsa occasione, affinché Lei possa accogliere questo appello dettato da puro amore per il diritto e per la democrazia, esercitando la sua moral suasion ed il suo alto compito di difesa preventiva dell’ordine costituzionale ancora una volta gravemente minacciato».

Appello al capo dello Stato "perché non si verifichino rotture ingiustificate e gravi della legittimità costituzionale" viene lanciato anche da Lettera 150, il think tank che riunisce circa 250 docenti universitari, magistrati e intellettuali. "Desta particolare preoccupazione - rileva Lettera 150 in un documento - l'annunciata volontà del Governo Conte di prorogare al 31 dicembre 2020 lo Stato di emergenza per la pandemia, tramite una semplice deliberazione del Consiglio dei Ministri o, peggio, un decreto del Presidente del Consiglio (DPCM)". Ci sono "gravi preoccupazioni" in particolare perché la proroga interferisce con le elezioni regionali di settembre, che potrebbero subire intralci o rinvii.

Sull'affermazione da parte del Governo che il provvedimento amministrativo farebbe comunque "un passaggio" in Parlamento, Lettera 150 osserva che "il verbo 'passare' è "inopportuno e privo di significato" perché "a prescindere dall'andamento della pandemia, la fase di cosiddetta emergenza in senso giuridico è definitivamente conclusa per lasciare il posto ad una ordinaria situazione di allerta grave", con "interventi anche urgenti, magari attraverso decreti legge, ma riconducibili alla ordinaria gestione legislativa parlamentare". E' infatti "venuta meno, definitivamente, quella condizione che ha permesso, sino ad oggi, la sospensione di diritti costituzionali fondamentali". Lo stato di emergenza, infatti, è "una grave circostanza imprevista che richiede misure immediate di intervento non compatibili con i normali tempi di elaborazione e proclamazione di leggi o provvedimenti amministrativi ordinari".

È intervenuto sul Corriere della Sera anche il professor Sabino Cassesse, costituzionalista e giudice emerito della Corte Costituzionale. "Sono molte le ragioni per non prorogare al 31 dicembre lo stato di emergenza, dichiarato il 31 gennaio e in vigore fino al termine di luglio. In primo luogo, manca il presupposto della proroga. Perche' venga dichiarato o prorogato uno stato di emergenza, non basta che vi sia il timore o la previsione di un evento calamitoso. Occorre che vi sia una condizione attuale di emergenza" ha scritto Cassese. "Perche' prorogare lo stato di eccezione, se e' possibile domani, qualora se ne verificasse la necessita', riunire il Consiglio dei ministri e provvedere?". "L'urgenza non vuol dire emergenza".

Per Cassese, un altro motivo per non abusare dell'emergenza e' quello di "evitare l'accentramento di tutte le decisioni a Palazzo Chigi. E questo non solo perche' finora si sono gia' concentrati troppi poteri nella Presidenza del Consiglio dei ministri, o perche' in ogni sistema politico una confluenza eccessiva di funzioni in un organo e' pericolosa, ma anche e principalmente perche' l'accentramento crea colli di bottiglia e rallenta i processi di decisione". Il suo intervento sul quotidiano milanese si conclude con una terza valutazione: la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza, scrive sempre Cassese, "e' inopportuna perche' il diritto eccezionale non puo' diventare la regola. Proprio per questo sia la legge che lo prevede, sia la costante giurisprudenza della Corte costituzionale hanno insistito sulla necessaria brevita' degli strumenti derogatori, perche' non e' fisiologico governare con mezzi eccezionali. Questi possono produrre conseguenze negative non solo per la societa' e per l'economia, creando tensioni nella prima e bloccando la seconda, ma anche per l'equilibrio dei poteri, mettendo tra le quinte (ancor piu' di quanto non accada gia' oggi) il Parlamento e oscurando il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, al cui controllo sono sottratti gli atti dettati dall'emergenza".

 

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