Marea nera, una catastrofe dimenticata troppo in fretta

A poco più di un anno dal suo accadimento, il disastro petrolifero avvenuto il 20 aprile scorso nel Golfo del Messico rischia di essere dimenticato. Colpa di altre tragedie che lo hanno seguito ma anche dell'atteggiamento della BP, la società gestore della piattaforma esplosa, che è stata pronta a ricoprire d'oro chi avrebbe potuto protestare e chi avrebbe potuto raccontare.

Marea nera, una catastrofe dimenticata troppo in fretta
Da diverso tempo le 'catastrofi naturali' si moltiplicano ad un ritmo tale da non sorprendere più. Ad elencare solo le più gravi degli ultimi anni c'è da rimanere senza fiato: Tsunami Thailandese, terremoto dell'Aquila, altri terremoti in Cina ed India, inondazioni in varie zone del pianeta e poi ancora l'esplosione della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, il terremoto haitiano, il 'problema' nucleare a Fukushima e molte altre ancora. Ogni catastrofe cancella la precedente e catalizza tutta l'attenzione dei media. Eppure ci sono catastrofi che non andrebbero dimenticate e che invece purtroppo lo sono anche più di altre. Sono le catastrofi direttamente collegate all'attività umana, sono le catastrofi come quelle della marea nera nel Golfo del Messico in cui la natura non c'entra niente, dove anche la più piccola responsabilità è riconducibile all'uomo. Sono le catastrofi dalle quali si potrebbe imparare e che in futuro si potrebbero evitare. Il 20 Aprile di un anno fa la piattaforma della BP esplodeva facendo 11 vittime e riversando in mare per i successivi 4 mesi oltre 5 milioni di litri di petrolio: il peggior disastro petrolifero ed ambientale della storia. Eppure oggi non se ne parla più, perché? Nei mesi successivi la chiusura della falla nel giacimento diverse ricerche hanno dimostrato come il problema del petrolio nel Golfo del Messico è di quelli che avrà conseguenze sull'aria, l'economia, e la vita animale e vegetale dell'area per anni e anni. Samantha Joye, ricercatrice dell'Università della Georgia, ha rilevato sui fondali sopra i quali si trovava la Deepwater, chiazze di petrolio disposte a macchia di leopardo dello spessore di oltre 4 cm. Inoltre, tranne qualche granchio, la Joye non ha rilevato alcun segno di vita animale nella zona. Sempre parlando di vita animale, diverse tartarughe e delfini sono stati trovati sulle spiagge della costa nei mesi successivi al disastro e i pescatori del Mississippi - quelli che coltivano i famosi gamberetti della zona - continuano a tirare su reti sporche di greggio. Eppure il silenzio su questa storia diventa ogni giorno più assordante. Una spiegazione potrebbe essere legata ai famosi miliardi di risarcimento che la BP da tempo ha patteggiato con il governo USA. Durante l'emergenza la BP mise in moto una macchina imponente per ripulire le coste e le spiagge - e anche in questo caso non mancarono le polemiche - e cominciò a distribuire 1500 euro mensili alle famiglie dei pescatori che per colpa del disastro persero ogni fonte di sussistenza. Di sicuro la BP ha fatto quello che ci si aspettava, ma è legittimo pensare che questi risarcimenti parziali abbiano fiaccato la voglia di verità dei pescatori? Allo stesso modo qualunque operazione di pulizia e di ricerca venne pagata dalla British Petroleum, pure quelle del Noaa - National Oceanic and Atmosphere Administration - che non a caso nel suo rapporto conclusivo, come nei precedenti, si dichiarava ottimista e rassicurante. Leggendo i vari rapporti si moltiplicano le dichiarazioni quali: “Tutto va bene”, “I pellicani sono ormai tutti in salvo”, “la quantità di sostanze nocive è drasticamente diminuita”. Eppure, ancora oggi, la situazione è quella che abbiamo descritto poche righe fa. Solo pochi mesi fa poi, a Marzo, una enorme macchia di una sostanza oleosa si trovava non lontana dalla zona in cui è affondata la piattaforma offshore, non sì è arrivati a capire se effettivamente si trattasse di petrolio oppure no, di certo il sospetto rimane e di certo i mass media non hanno praticamente affrontato l'argomento. Altrettanto distratti si sono poi dimostrati sui guadagni delle Big Oil che quest'anno hanno praticamente abbattuto ogni record e sulle ultime concessioni di trivellazione rilasciate dal Boemre - Bureau of Ocean Energy Management, Regulation and Enforcement - tra cui una alla Noble Energy, una controllata BP, a 70 miglia a sud-est di Venice e a 1980 metri di profondità. Questa e diverse altre licenze ad aziende quali Shell, Eni, Exxon e Chevron USA sono state rilasciate in quanto: “L’industria sta dimostrando la sua capacità di contenere una perdita in profondità (…). Continueremo a considerare e approvare quelle richieste che dimostrano la capacità delle aziende di operare in profondità in tutta sicurezza. Il numero di richieste di permessi per esplorazioni in profondità sta crescendo, il che riflette una crescita nella sicurezza dell’industria sulle proprie capacità di soddisfare tutti requisiti, compresi quelli per il contenimento delle perdite”. Parola di Michael Bromwich membro del Boemre. La sicurezza sarebbe, in caso di perdita, un enorme tappo alto 9m e pesante 100 tonnellate, capace di incanalare 60.000 barili di petrolio al giorno fino a 2500 metri di profondità. Tutto questo fino al prossimo imprevisto, tutto questo fino al prossimo errore umano o al prossimo comportamento criminale dell’ennesimo manager spregiudicato. Tanto poi, anche dovesse succedere, basta pagare, pagare per risarcire i danni e pagare per il silenzio delle vittime disperate e senza alternative. Che i grandi media riempiano questo silenzio poi non c’è il minimo rischio.

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